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Etica del lavoro

Sono state diverse le persone che ci hanno richiesto lo scritto della Conferenza di Milano sull’etica del lavoro: ne abbiamo estrapolato la parte piu’ significativa per la diffusione. E’ un lavoro in stato di continua elaborazione e che verrà presto arricchito con le recenti acquisizioni librarie dell’opera di Ragaz e dei socialisti religiosi in lingua italiana edito da Jaca Book negli anni 70. A dir il vero, sono disponibili anche testi in lingua tedesca, ma ci mancano i traduttori per svolgere questo lavoro…

Ci sembra comunque interessante proporre la riflessione fatta a novembre, come sempre senza peli sulla lingua. Immagino che sappiate che la fatica e spesso la sofferenza della ricerca hanno sempre un prezzo da pagare. Intendo nella vita della persona. Del resto conoscete senza ombra di dubbio lo stato di abbandono spirituale dei lavoratori e delle lavoratrici da parte delle chiese cristiane. E’ una situazione che viene da lontano: ha radici profonde e ben consolidate nel pietismo, nell’individualismo, nell’opportunismo e nel cinismo politico-economico delle strutture ecclesiastiche.  Protestanti e in quella cattolica.

Ci rimane però la consapevolezza che non saranno le chiese a cambiare se stesse ma i cristiani a prendersi cura della propria dimensione lavorativa, che e’ centrale nella loro vita. E’ su questa convinzione forte che vediamo un orizzonte di speranza anche per le generazioni che verranno. E poche ore fa siamo venuti a conoscenza dei nomi delle persone e dei loro messaggi che sono stati inviati al prete operaio Artioli. Grazie perché abbiamo avuto il riscontro che il nostro lavoro non e’ fatto invano.

…Anche di questo riscontro vive una rivista fabbricata a Milano, ma col cuore nel mondo. Grazie anche a chi invierà un contributo.

Prima parte della conferenza di etica delle religioni

Buona sera a tutte e a tutti,

mi presento subito: mi chiamo Maurizio Benazzi, sono un attraversatore di chiese, di templi e sinagoghe; mi occupo dal 1997 di Teologia sociale e dialogo fra le religioni.

Nel ringraziare in modo particolare la gentile dottoressa Grazia Aloi per l’opportunità concessa, colgo l’occasione per precisare l’intento che anima questo incontro sulla figura di Martin Lutero, figlio di un minatore, e un pastore luterano dell’età moderna, il teologo Dietrich Bonhoeffer, martire della resistenza al nazismo. Intento non scontato e per nulla apologetico.  Il mio superamento di scelte operate in passato è sereno, pacato e lucido. Senza rimpianti né nostalgie. La mia strada era camminare attraverso. Non fermarmi semplicemente.

Cercherò  oggi andare di là dalla classica esposizione fatta a scaletta che sviluppa dei tratti biografici e di altre informazioni generiche che potete trovare nelle enciclopedie; vorrei invece – se mi è consentito – far parlare la storia nell’oggi. Vorrei capire il senso delle cose a voce alta. A partire dal mondo del lavoro.

La chiesa luterana in Italia – detto fra parentesi – è ancora una chiesa fortemente germanizzata, controllata da  pastori  di provenienza rigorosamente tedesca, e chiusa in un pseudo bilinguismo che sembra concedere solo qualche presenza molto controllata (in quanto minoritaria) anche agli italiani. Questi ultimi sono cultori del mondo culturale dell’Europa del nord. Soprattutto interessati a temi musicali e filosofici. Questa chiesa è anche beneficiaria di lauti fondi otto per mille dello stato italiano. Dirottati anche in Austria per ristrutturazioni di templi.

La storia deve insomma smettere d’avere pagine solo impolverate e acritiche dal tempo che passa e proporre ipotesi di analisi e riflessione per gli uomini e le donne d’oggi, basandosi sulla ricerca storica ma anche sulle capacità critiche di ciascuno/a. La tesi sostenuta qui dell’uomo che diventa sempre più adulto da Lutero a Bonhoeffer non è ben inteso una verità assoluta, semmai una buona pista di ricerca. Abbiamo ben presente nella nostra memoria i campi di concentramento e allo stesso tempo i talari, che alzavano le braccia con saluti di fedeltà ad Hitler. Esattamente come avveniva in quell’epoca in ambiente cattolico.

La teologia luterana sulla pienezza della salvezza oltre alla completa libertà da colpa e pena nella fede suscita in me degli interrogativi ad es. in quel contesto, riserve che mantengo anche di fronte alle bombe atomiche, i gulag e la semplice stupidità umana del non senso che a volte ci accompagna.

Stasera valorizziamo semplicemente l’apporto luterano nello scenario moderno dell’uomo, che diventa adulto e si emancipa sostanzialmente dall’autorità ecclesiale. Non solo del XVI secolo ma anche all’epoca del nazismo.

Mi riferisco all’esperienza della chiesa confessante e a quelle forme di messa in discussione della chiesa collegata al potere politico e economico. Come quacchero questi temi mi stanno particolarmente a cuore e ricerco anche dentro di voi quella scintilla divina che fa generare il rifiuto all’obbedienza cieca all’autorità religiosa. Perfino se questa e’ stata democraticamente eletta dai fedeli, come avveniva nella chiesa evangelica, compromessa col potere, in Germania nel 1933, tramite la banda dei criminali ecclesiastici detti dei “cristiani tedeschi” che si presentò e alle elezioni.

Il Pastore luterano D. Bonhoeffer nella cella 92 della sua prigione scriveva in quell’epoca dei lager in una lettera alla fidanzata: non intendo (vivere) la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele (a Dio) e malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura.

Vorrei dunque soffermarmi ora sull’etica del lavoro sostenuta dalla Riforma, che si inquadra storicamente nella fortissima ripugnanza per il lavoro manifestata dalla tradizione cristiana precedente, rappresentata prevalentemente dagli autori monastici.

Il lavoro nel 1500 era considerato da loro un’attività degradante e avvilente che era meglio lasciare a persone socialmente e spiritualmente inferiori. Se già i patrizi dell’antica Roma consideravano il lavoro manuale inferiore al loro rango, occorre affermare che nel cristianesimo si sviluppò un’aristocrazia spirituale che aveva un atteggiamento negativo e liquidatorio nei confronti del lavoro manuale; nel medioevo un tal modo di vedere le cose esercitò la sua massima influenza, giacché il lavoro era considerato come impedimento di un perfetto rapporto con Dio. Solo in alcuni ordini monastici il motto laborare est orare (lavorare è pregare) esprimeva che la vita contemplativa non era necessariamente turbata da un lavoro manuale, come occuparsi dei vigneti del convento o sovrintendere ad altri aspetti dei suoi affari mondani. Da questa minoranza di ordini era però inteso come una delle attività all’interno della vita monastica e ausilio a praticare l’umiltà. In generale però la spiritualità monastica considera il lavoro come qualcosa di degradante. Così risulta anche dagli scritti di Erasmo da Rotterdam.

Per la mentalità di allora era praticamente impossibile che un cristiano comune, che viveva nel mondo tutti i giorni, potesse venir considerato una persona che seguiva una vocazione religiosa o che potesse pretendere di essere un cristiano di prima classe. Potevano essere considerati – nel migliore dei casi – con indulgente carità.

La Riforma produsse un rovesciamento di questo modo di pensare, rifiutando innanzitutto la distinzione fra sacro e profano, tra l’ordine spirituale e quello temporale. Tutti i cristiani sono sacerdoti e tale vocazione si estende al mondo di tutti i giorni. I cristiani sono chiamati ad essere sacerdoti per il mondo perché per Lutero quelli che sembravano lavori profani sono in realtà una lode a Dio e costituiscono un’obbedienza che Dio gradisce. Lutero esaltò perfino il significato religioso delle faccende domestiche affermando che, “sebbene non abbiano nessun evidente connotato di santità, pure tali lavori domestici devono avere una stima più alta di tutte le opere di monaci e suore”. William Tendale, un suo discepolo inglese, osservò che lavare i piatti e predicare la parola di Dio sono attività umane molto diverse, ma che per quanto riguarda ciò che piace a Dio, non c’è alcuna differenza.

Alla base di ciò c’è ovviamente un nuovo concetto di vocazione.

Dio chiama il suo popolo alla fede ma anche ad esprimerla in settori ben definiti. Il singolo è chiamato a vivere l’essere cristiano in un campo d’attività ben determinato all’interno del mondo.

Vocazione non è uscire dal mondo, per entrare in clausura o in isolamento ma, sia per Lutero che per Calvino, è un entrare nel mondo della vita di tutti i giorni.

L’idea di una chiamata, ruf in tedesco, che vuol dire anche vocazione, riguarda essenzialmente il fatto che Dio chiama a servirlo qui in questo mondo. Il lavoro deve essere visto come il più alto impegno per Dio. Fare qualche cosa per Dio, e farlo bene, è il contrassegno distintivo di una fede cristiana autentica. Qualsiasi lavoro umano può essere perfettamente rispettabile ed essere considerato della massima importanza agli occhi di Dio. Cristo, nostro salvatore era un lavoratore, forse proprio falegname come Giuseppe, e si guadagnava il pane con fatica, perciò nessuno disdegni di seguirlo esercitando un mestiere o una professione. Egli non solo ha benedetto la nostra natura umana assumendo la forma di uomo ma nella sua attività ha benedetto tutte le arti e i mestieri.

E al di là dei risultati visibili della fatica, dello stress, del sudore, agli occhi di Dio ha importanza la persona che lavora almeno altrettanto del risultato del suo lavoro. E non c’è distinzione tra lavoro spirituale o temporale, fra sacro e profano. Poiché tutti i lavori glorificano Dio. Poiché essi sono un atto di lode, una risposta naturale all’iniziativa che Dio, nella sua Grazia, assume nei nostri confronti.

Calvino scriverà più tardi: Il vero scopo della nostra vita è di servire Dio servendo gli uomini.

I paesi protestanti europei si sono trovati ben presto in una situazione di prosperità economica, conseguenza involontaria e non proposito premeditato del nuovo significato religioso attribuito al lavoro e dell’etica protestante connessa anche con la funzione del risparmio. I riformatori non si stancavano di sottolineare che noi siamo quel che siamo per pura grazia di Dio e non per effetto degli sforzi umani. Ecco perché l’Evangelo è importante anche per le “persone che si fanno da sé”, che esistevano comunque già prima della Riforma. Loro non sono cristiani di secondo ordine come pensavano i monaci medioevali ma sono al servizio di Dio così come chi suona il piano, coltiva l’orto, scrive libri o vive fra gli ultimi della società. I cristiani sono chiamati a essere il sale e la luce nel mondo, senza conformarsi ad esso pur partecipandovi ma rimanendo legati all’esempio di Cristo.

Certo oggi vi sono tanti teologi, alcuni anche non credenti. Ci dovrebbe essere tanta Speranza (teoricamente) ma non è così purtroppo. Adriana Zarri, nel libro “Essere teologi oggi” scrive che la passione teologica le è nata dentro con la vita, io sono d’accordo.. Riferendosi all’episodio narrato in Esodo 33,20ss Lutero scriveva solo chi contempla le spalle di Dio, visibili nella sofferenza e nella croce, merita di essere chiamato teologo. La croce mette infatti alla prova ogni cosa, anche la teologia della gloria che cerca Dio al di fuori di Gesù Cristo, attraverso i trionfalismi, le manifestazioni di forza e sapienza umana. Pensate alle croci d’oro o altre statue che svettano sulle cattedrali, come simbolo di forza. Il che non ha nulla a che fare su sul recente dibattito sul crocefisso nelle scuole. Il comandamento di Dio di non fare scultura e immagine alcuna vale anche per noi cristiani. La nostra fede nel dio unico è quella di Abramo, Isacco e Giacobbe. E’ il Dio Padre che Gesù pregava da osservante in sinagoga e fuori di essa. Nessuno ha mai abrogato i comandamenti dati a Mosé. Di certo il comandamento dell’Amore non sostituisce i comandamenti di Mosé ma è il coronamento e la realizzazione piena.

Dio non permetterà a Mosé di vedere la sua faccia, ma questi potrà avere una visione indiretta di Dio, da dietro, mentre Dio passa. Mosé vede  Dio ma non gli è concesso di vedere il volto. Dio contesta amabilmente la nostra tendenza naturale a pensare che Egli si affidi al buon senso per parlarci di se stesso. Il nostro buon senso vorrebbe, infatti, che Dio si rivelasse in circostanze di grandissima gloria e potenza. Non veramente nel nostro cuore ma negli esterni. Ma la croce ci dice invece che Dio ha scelto di rivelarsi nella tribolazione dell’ignominia e della debolezza. L’affidabilità della nostra ragione è messa in crisi. Ci si chiede di imparare la più difficile delle lezioni di teologia cristiana, cioè di umiliarci e di accettare Dio così come Egli si rivela, anziché come noi vorremmo che fosse. La folla che si raccoglieva attorno alla croce, si aspettava che accadesse qualche cosa di straordinario. Un intervento di Dio affinché potesse salvare suo Figlio. Ma Gesù morì e coloro che erano sotto la croce, che basavano la propria concezione di Dio unicamente sulla propria esperienza ne trassero l’ovvia conclusione che in quel luogo Dio non c’era. La risurrezione rovesciò quel giudizio ma sotto la croce non ci si rendeva conto della presenza nascosta. E lì nella sofferenza agì Dio; eppure la nostra esperienza percepisce solo l’assenza e l’inattività di Dio. Ebbene Dio è passato per l’abbandono, per le ferite, sanguinante e morente, attraverso le tenebre della morte.

Così scrisse Lutero per esprimere quella presenza di Dio nel lato oscuro alla ragione della fede e della vita: Abramo chiuse gli occhi e si nascose nell’oscurità della fede e in essa trovo la luce eterna.

A noi piccoli uomini e piccole donne si chiede di dire sì a quella Luce. La vera pace non è la mancanza di difficoltà, ma la capacità di aver fiducia in Dio in mezzo alle difficoltà incontriamo ogni giorno.

Le nostre gambe iniziano a tremare quando sentiamo parole che individuano il Cristo uscire anche dalle altre religioni. Non siamo ancora pronti seriamente ad allargare il nostro orizzonte… non siamo ancora capaci di percepire quello che la mistica può enunciare senza troppi sforzi. Si forse Dio si spiega anche nella mistica. Oltre i nostri schemi, oltre il pensiero umano e la ragione. E’ il Dio totalmente altro. Altro anche da quello che pensava perfino Barth.

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Secondo incontro ciclo Etica delle religioni

Cara  Amica, Gentile Amico,

a fine novembre si è svolto il primo degli otto incontri del programma “Etica delle Religioni”, in particolare il primo di quelli previsti sul Cristianesimo.

E’ stato molto bello osservare e cogliere il sentimento e la passione che Maurizio Benazzi metteva nelle sue parole, caricandole di quel senso di umanità di cui tutti abbiamo molto bisogno.

Dal punto di vista dei contenuti, la sua relazione è stata brillante e competente, oltre che istruttiva ed interessante.

Abbiamo trascorso insieme più di due ore in totale rilassatezza e amicalità, nonostante la (o forse per merito della)  pregnanza dell’argomento.

Le domande hanno trovato esauriente spiegazione in termini chiari, senza mai trascurare la loro correttezza.

Infine, la grande umanità ed esperienza relazionale e intellettuale dell’amico Maurizio hanno fatto da ottima cornice.

Bravo Maurizio e grazie ancora da parte dei presenti di quella sera.

Ora sta per arrivare la seconda serata: come si può vedere dal sito www.officinadellapsiche.it essa si terrà martedì 15 dicembre 2009, sempre alle 20.30 presso la sede di via Carducci, 8 – Milano.

Stiamo raccogliendo le adesioni per le presenze e ci piacerebbe contare molto sulla tua, di te che stai leggendo.

Iscritivi presso info@officinadellapsiche.it .

Il costo è di 20,00 euro se parteciperai solamente a questo incontro, oppure di 15,00 se acquisterai una tessera (da 4, da 8, da 10 ecc partecipazioni) che potrai utilizzare sia per questo programma che per gli altri previsti dal calendario dell’Officina.

Per favore, comunicaci la tua risposta in ogni caso; noi ci auguriamo che essa sia positiva e ti ringraziamo.

Cordialità.

g.a.

Grazia Aloi – Psicoanalista
Via Carducci 8 – Milano
Telefono/Fax 02/80.53.925
http://www.officinadellapsiche.it
g.aloi@officinadellapsiche.it

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Pensieri liberi di un prete anomalo: Don Paolo Farinella

1. Anniversario di  una scomunica
Il 1 luglio 1949 l’allora Sant’Uffizio emise un decreto di scomunica contro i comunisti, per dirla in modo semplicistico e non esatto esegeticamente. Il testo infatti non è d’immediata lettura ed esige una interpretazione da un punto di vista teologico. Ciò che però qui conta non è l’interpretazione storica, ma come il documento fu tradotto «pastoralmente» nella Chiesa delle parrocchie. Qui si consumò il dramma perché vescovi e preti non fecero alcuna distinzione tra errore filosofico-teologico e prassi quotidiana: le masse che votavano Pci non sapevano niente dell’ateismo dialettico e di Marx, ma votavano per un partito che secondo loro faceva gli interessi dei poveri e dei lavoratori che vivevano a livello di schiavi. Votare Pci era una speranza di riscatto. Di fatto fu scomunicata quasi la metà degli stessi cattolici e circa 10 milioni (uno più uno meno) di battezzati.
I più lungimiranti giudicarono il documento un errore storico e teologico, come di fatto poi si dimostrò: la chiesa perse il mondo operaio a acquisto la Confindustria.  Secondo voi chi ha perso e chi ha guadagnato? Ha perso la Chiesa che si alienò le masse operai, contribuendo così alla secolarizzazione selvaggia che si sviluppo a partire dall’economia gestita in favore delle classi abbienti con qualche briciola per i poveri e i proletari che però restavano carne da macello per il militare, le guerre, le tasse certe e il disprezzo della persona umana. Erano i tempi in cui la violenza sulla donna era considerato un vanto da maschio e l’omicidio per tradimento un delitto d’onore a favore del maschio. La gerarchia di allora si schierò acriticamente con il capitalismo che fu una delle cause della scristianizzazione di massa.
 
2. Cronaca di una scomunica mancata
E’ facile fare un paragone. Se il Vaticano ha scomunicato i comunisti perché di fatto negavano Dio e qualsiasi riferimento etico a Lui, come mai la stessa gerarchia oggi, a distanza di 60 anni, non scomunica il «berlusconismo» che è peggiore di qualsiasi comunismo, fascismo ed eresia messi insieme? I comunisti doc dicevano: Dio non c’è; Beluskonijad dice: A me di Dio e della Chiesa me ne può interessare meno che meno; a me interessano solo i preti con cui fare affari per avere i voti loro e di quelli che controllano: il resto è panissa per poveracci. Berluskonijad è ateo e spergiuro: va al family day  a difendere l’unità della famiglia, lui divorziato ed esperto visto che ne aveva due e poi si riempie le ville di prostitute e pagamento che premia con un posto al parlamento, riservando alle più brave in opere pie d’alcova la nomina di ministro. Il parlamento è la paga del pappone alle meritevoli e impegnate. Quante volte ha detto che lui non dormiva mai, perché lavorava per il Paese? Ora lo sappiamo (Repubblica del 29 giugno 2009) passava le notti a fare il mandrillo e docce gelate e tra un colpetto a dritta e uno a manca, si ricordava di fare qualche telefonata da presidente del consiglio.
Di fronte a questo ateismo teorico e pratico che fa mercimonio dei principi a cui dice di ispirarsi, come mai i vescovi hanno indossato la palandrana delle solenni occasioni e non l’hanno dichiarato «scomunicato»? Costui ha preso le cose sacre e le ha buttate ai porci, ha sporcato tutto quello che ha toccato, ha fatto e fa i gargarismi con i principi cristiani, ma  poi frequenta le minorenni (parola della seconda moglie), è l’utilizzatore finale della filiera della prostituzione che sosta in modo permanente nelle sue ville (parola del suo avvocato, pagato da noi in quanto parlamentare e vero ministro dell’ingiustizia); compra le donne a camionate e le scarica a badilate.
I fatti che emergono giorno dopo giorno aggravano sempre più le circostanze e il capo del governo italiano, si difende nella sua protervia con: «la gente mi vuole così», confondendo voti e interessi con la democrazia che è il limite e il parafulmine dell’assolutismo.
Intanto i vescovi tacciono e io credo che non possono fare altro perché non sanno che pesci pigliare: qualsiasi cosa dicano “ora” sarebbe sbagliata perché fuori tempo massimo e perché buon’ultima dopo la reazione in massa del loro stesso popolo. Penso che i vescovi hanno una sola via d’uscita che gli offro gratis et amore Dei: Scrivere un documento di una paginetta e andare a leggerlo in tv riunite in mondovisione. La paginetta dovrebbe avere questo tenore:
 
3. La risposta del vescovo Bagnasco che avrei desiderato, ma che non è mai arrivata
 «Noi vescovi d’Italia abbiamo sbagliato e chiediamo perdono al popolo di Dio che abbiamo lasciato nel dubbio e nel disorientamento di fronte al comportamento indecoroso del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Concedendogli un credito che non meritava, siamo caduti come sempliciotti nella sua rete d’inganni e di manipolazione. Troppo tardi ci siamo accorti che tutte le sue concessioni politiche, legislative ed economiche erano solo le briglie che egli ci teneva addosso per impedirci di parlare e di guidare il nostro popolo che invece lo ha seguito incantato dalle sue promesse mirabolanti, ma senza alcun fondamento. Egli, ormai è dimostrato, ama la bugia e la crede verità. Ha usato con protervia e spudoratezza le sue tv e quelle pubbliche per creare il consenso attorno a lui, senza rispetto alcuno per le Istituzioni, la Magistratura e il senso dello Stato di cui ha dimostrato di esserne privo del tutto. Oggi alla luce dei fatti emersi che hanno confermato parola per parola e aggravato quanto detto dalla seconda moglie, Veronica Lario, abbiamo visto la sollevazione del nostro popolo che chiede a gran voce una parola su questi eventi e sulla persona che li ha messi in atto. Siamo rimasti colpiti dalle reazioni del popolo di internet che ha saputo metterci a disagio.
«Comprendiamo che la nostra parola di oggi non ha lo stesso effetto che poteva avere un mese o due mesi or sono; comunque non possiamo più tacere e dichiariamo che il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è fuori della Chiesa cattolica (se mai vi è stato dentro); è spergiuro secondo la morale cristiana come lui stesso ha dimostrato, fornendo versioni diverse dello stesso fatto, dopo avere giurato sulla testa dei suoi figli; è menzognero con l’aggravante delle recidività; è ignobile perché frequenta minorenni; è un pericolo per le istituzioni statuali perché ha saputo solo fare i suoi interessi e non quelli del popolo. Noi lo ripudiamo e restituiamo i favori che ci ha concesso, anche illegalmente, perché vogliamo recuperare la stima del nostro popolo che, sentiamo, ce l’ha ritirata da un pezzo.
«Dichiariamo che il berlusconismo è incompatibile con il cristianesimo e pertanto come sessanta anni fa dicemmo che era peccato votare comunista, oggi per essere giusti dobbiamo dire che un cattolico non può votare Berlusconi o i suoi alleati e considerarsi ancora cattolico. Chi vuole può votarlo perché non è nostra competenza dare indicazioni di voto, ma è nostro dovere dire che il cristianesimo è incompatibile con tutto ciò. Pertanto liberi di votarlo, ma per coerenza bisognerebbe anche sbattezzarsi.
«Poiché non siamo stati capaci di esercitare la profezia, ma siamo stati attenti alla diplomazia conveniente, mentre ripudiamo l’uomo e lo abbandoniamo al suo destino, chiediamo che il presidente del consiglio rassegni le dimissioni immediate e si ritiri a vita privata a fare penitenza per redimersi da tutti i misfatti che ha fatto a danno della nazione. Egli deve chiedere pubblicamente perdono alle donne che considera meno che una proprietà da diletto e deve riparare al danno, dando due terzi dei suoi averi allo Stato perché li impegni in campo sociale e assistenziale.
«Da parte nostra, noi vescovi del consiglio direttivo della Cei, ci dimettiamo in blocco e lasciamo ad altri il lavoro di guida e di stimolo del popolo di Dio. Le dimissioni sono un segno che vogliamo cambiare strada e intraprendere il cammino della verità e della libertà insieme al nostro popolo e mai contro di esso. Ultimamente ci siamo anche resi conto che di fatto noi, vescovi, abbiamo divorziato dalla nostra Chiesa, perché andavamo per una strada dove nessuno ci seguiva perché il nostro popolo aveva preso la direzione opposta. Sì, per noi è una conversione «a U», ritorniamo sui nostri passi e questa volta per non sbagliare non ci poniamo più alla testa del popolo, ma molto più umilmente ci poniamo al suo seguito, certi che lo Spirito guiderà l’uno e gli altri verso la mèta comune del Regno, di cui la società in terra è un anticipo e un assaggio. A tutte e a tutti un abbraccio insieme alla nostra richiesta di perdono».
+ Angelo Bagnasco, vescovo di Genova e Presidente della Cei.
(seguono le altre firme).
 
4. La lettera e le parole che invece sono dette in Italia e nella Chiesa
Apprendo in questo istante (lunedì 29 giugno 2009, ore 18,30) che il cardinale Bagnasco pubblica una «Lettera pastorale» per l’anno 2009 e 2010 dal titolo «Camminare nelle vie dello Spirito. Alle sorgenti della Vita Spirituale», destinata alla diocesi di Genova, ma di valenza nazionale per la carica dell’autore. In questa lettera in cui il cardinale raccomanda la «disciplina del corpo», invita «alla sobrietà nel cibo, nel vestire, nell’uso dei beni di consumo», nonché ad una «certa custodia negli sguardi» ed al «dominio dell’istinto sessuale». Mi auguro e spero che non si riferisca con queste parole al bordello berlusconiano perché sarebbe atroce pensare di filarsela per il rotto della cuffia con un invito di stampo ascetico. No, il popolo di Dio può pretendere che il vescovo dica una parola chiara e definitiva sul puttanaio che ha pervaso l’Italia e le Istituzioni e la dignità di tutte le Italiane e degli Italiani. Sig. cardinale, scenda dalle nubi dei massimi sistemi e venga a camminare con i comuni mortali per rendersi conto della giustizia tradita e a prendere le impronte alle escort che accompagnano il difensore della famiglia. Venga a vedere il porcile in cui è stata trasformata la presidenza del consiglio. Non abbia paura di sporcarsi: è materia grezza, vera, da stalla di infimo livello. Non tema di sporcare le scarpette rosse perché le forniamo un bel paio di stivali da pesca. Noi speravamo! Inutilmente! Vediamo la distanza tra lei e noi che si allarga sempre di più e se non corre ai ripari diventerà un mare, un oceano di separatezza.
 
5. Onore ai lefebvriani
I discepoli talebani cattolici del defunto talebano Marcel Lefebvre, il giorno 29 giugno 2009 in tutto il mondo hanno ordinato 27 nuovi preti che essi chiamano «sacerdoti». Dal Vaticano, oltre un buffetto di qualche mese fa, nulla, anzi una «tacita tolleranza». Questi «sacerdoti» sono congeniali a Benedetto il XVI che presto si circonderà di essi come di un manipolo di pretoriani pronti alla «battaglia contro il mondo». E’ il tempo benedettino-ratzingeriano: i talebani eretici prosperano, i cristiani languono, i vescovi tacciano e il popolo divorzia da loro. Credo che i lefebvriani (provaste a vedere come vanno vestiti: altro che teatro!) hanno trovato in Benedetto non il papa, ma il loro «papi».
 
5. Il «bene comune» tra papa e papi
Oggi il papa pubblica la sua terza enciclica «Charitas in veritate» che parla di economia e globalizzazione e quindi di dottrina sociale della Chiesa. Sembra che il punto focale sia il concetto di «bene comune» che è il cuore dell’insegnamento della Chiesa. La domanda che mi pongo è questa: come può conciliare l’affermazione solenne – a livello di enciclica – del «bene comune» con l’appoggio che il Vaticano, la Cei e i sedicenti partititi ispirati al cristianesimo hanno dato e continuano a dare a Berlusconi? Il «bene comune» come inteso dalla morale cattolica è incompatibile con tutte le leggi eversive che il governo proprietà di Berlusconi ha varato per difenderlo dalla giustizia, dal fisco, dal carcere. Esso è anche impossibile da fare combaciare con le leggi razziali sugli immigrati che comunque, in forza della Carta dei Diritti dell’ONU e del Vangelo, hanno il sacrosanto diritto di emigrare e stabilire la loro residenza dove vogliono, perché siamo tutti cittadini liberi del mondo. Se così non fosse, siamo solo burattini che giocano a fare finta di somigliare ai giganti, nani per giunta.
Il cerchio non è il quadrato e quindi il papa, il Vaticano, la Cei devono scegliere e dire apertamente da che parte stanno e devono dare le ragioni: se le ragioni sono di opportunismo come tutto lascia supporre e valutare, allora ognuno per sé e Dio per tutti. Non è sufficiente un accenno estemporaneo ad «Alcide De Gasperi, uomo integerrimo, modello dei governanti», come ebbe a dire qualche settimana fa il papa, con un velato e pudico riferimento alle orge da lupanare di Berlusconi. O il papa è in grado di parlare per nome e cognome o è meglio che taccia e si dedichi a suonare Mozart per sé e il suo gatto,  senza eccessivi danni.
 
7.  Il papa e la fede «adulta»
Per la chiusura dell’anno paolino nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il papa Benedetto XVI il pomeriggio del 29 giugno 2009,  ha detto: «S. Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi.» (Omelia dei Vespri). Ora si capisce perché cadde il governo Prodi: perché in occasione del referendum sulla procreazione assistita, boicottato dal card. Camillo Ruini, allora predecessore di Bagnasco alla Cei, dichiarò che sarebbe andato a votare perché «cristiano adulto». Veramente il dopo illumina il prima. Se questo è un modo per dire che i cattolici devono essere eterni bambini che non devono crescere mai, facciamo una bella chiesa di Peter Pan e non se ne parli più. Per noi «fede adulta» non è assolutamente intesa nel senso descritto dal papa, ma l’assumiamo nel senso dell’insegnamento del concilio Vaticano secondo che riconosce ai laici una autonomia sulle cose di loro competenza e pertinenza, come la gestione delle realtà terrestri e la mediazione politica senza dovere ricorrere anche per gli starnuti al permesso del prete di turno. Noi non ci riconosciamo in questa lettura del papa. Per quanto ci concerne, il papa ha sbagliato bersaglio e non sarebbe la prima volta.
Ultim’ora, ultima perla. Il papa ha sottolineato «l’importanza dei valori etici e morali nella politica». «Saluto – ha detto il papa – gli esponenti dell’Associazione interparlamentare “Cultori dell’etica”, la cui presenza mi offre l’opportunità di sottolineare l’importanza dei valori etici e morali nella politica».
Credo che con questo discorso pio-pio, mau-mau, il Vaticano intenda chiudere il caso Berlusconi. Leggo il presidente dei “Cultori dell’Etica” è uno dell’UDC di Cassini e di Volonté (vi ricordate? è quello delle giaculatorie), il senatore Leonzio Borea. Questa poi non l’avrei mai immaginata e nemmeno che il papa arrivasse a tanto: a tollerare come presidente dei “Cultori dell’Etica” (“E” maiuscola) uno che ha nel suo partito Casini, cattolico con plurifamiglia e Totò Cuffaro (detto Vasa-vasa) condannato per favoreggiamento mafioso. W l’Etica con la “E” maiuscola! W il papa dei «principi non negoziabili»!
 
Genova, 29 giugno 2009
 Paolo Farinella, prete

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Vietato ai maggiori di 24 anni

Festeggiamo domani 19 giugno il compleanno della leader birmana in carcere, Aung San Suu Kyi. A Lei auguriamo una lunga vita di nonviolenza e di lotta  per il sogno della sua terra libera….

Regimi politici ma anche dottrine religiose posso forse piegare i testimoni coraggiosi di oggi contro l’autoritarismo e le ideologie teocratiche o dittatoriali ma non potranno sperare di prevalere sulla dignità di tutte le persone, al di la di ogni credo.

Non nel sud est asiatico, non a Mosca e nemmeno altrove.

Libertà di religione per tutt* ma anche libertà di chi non crede.

 

Diritti umani e etica cristiana

Le critiche dei protestanti europei a un documento degli ortodossi russi

 

17 giugno 2009 – (ve/nev) I diritti umani sono “inviolabili, inalienabili e indivisibili” e, per un credente, trovano la loro legittimazione nel fatto che ogni essere umano è stato creato a immagine di Dio. È quanto la Comunità delle chiese protestanti in Europa (CPCE) ha voluto ribadire nella sua risposta a una dichiarazione della chiesa ortodossa russa su “Diritti, libertà e dignità umana”. Il documento, che alla CPCE ha suscitato qualche perplessità, è stato pubblicato l’estate scorsa e inviato alle altre chiese cristiane per avviare una discussione comune.

 

Critiche protestanti

La risposta dei protestanti europei ha evidenziato alcuni elementi di disaccordo, primo fra tutti sul rapporto tra pratica di fede e diritti umani. “Il documento”, si legge in un comunicato stampa della CPCE, “sviluppa una relazione conflittuale tra diritti umani e morale cristiana culminando nella tesi secondo cui l’osservanza dei diritti umani costringerebbe i credenti a pensare e ad agire contro i comandamenti di Dio”. Porre in questi termini la questione significa però “equivocare il significato dei diritti umani” e il loro ruolo positivo di definire uno spazio giuridico che garantisca la vita comune tra esseri umani.

 

Relativismo morale

Il documento della chiesa ortodossa cita esplicitamente “l’aborto, il suicidio, la lascivia, la perversione, la distruzione della famiglia, il culto della crudeltà e della violenza” come esempi di come “la debolezza dell’istituzione dei diritti umani” metta in pericolo la moralità della società russa. “Sono esempi che la prospettiva protestante non può seguire”, sottolinea la replica del CPCE. “I diritti umani, infatti, enfatizzano la protezione della vita e l’inviolabilità della persona, la protezione della vita privata e della famiglia”. Gli esempi che invece i protestanti europei avrebbero aggiunto, e che invece non sono stati menzionati nel documento in esame, sono piuttosto la protezione degli individui dal potere dello stato, dalla persecuzione politica, la discriminazione delle minoranze.

 

Posizioni distanti

In conclusione, la CPCE “invita la chiesa ortodossa russa a continuare nel dialogo congiunto sui diritti umani”, ricordando l’importanza da quanto affermato nelle dichiarazioni comuni a tutte le chiese, a partire dalla Carta ecumenica e dai documenti finali delle tre Assemblee ecumeniche europee di Basilea, Graz e Sibiu.

La Comunità di chiese protestanti in Europa raggruppa 105 chiese luterane, metodiste, riformate e del continente.

 

Il testo della risposta della CPCE

www.leuenberg.eu/daten/File/Upload/doc-9806-2.pdf

 
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“Un cuore che batte per la speranza”

 

Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi.    1 Pietro 3,15

 

Dal 27 giugno al 5 luglio, la chiesa evangelica battista di via dei Bastioni, ha organizzato ed ospita un incontro giovanile interculturale.

Giovani dagli Stati Uniti e giovani italiani, alcuni dei quali provenienti da altre città, si incontreranno per stare assieme una settimana, per far festa, per discutere, riflettere e per momenti di pubblica testimonianza.

Per tre pomeriggi sarà allestito un stand pubblico in cui sarà promossa la campagna contro la xenofobia e il razzismo “Non aver paura. Apriti agli altri, apriti ai diritti”. Si tratta di una iniziativa sostenuta da decine di sigle tra cui ACLI, ARCI, CGIL, Save The Children, Amnesty International e FCEI solo per citarne alcune.

In questi giorni i giovani faranno delle interviste per strada a ragazzi di Civitavecchia, tutte improntate ad esplorare i linguaggi giovanili coi quali si esprime la fiducia per il futuro, la speranza. Queste interviste di ragazzi a ragazzi, saranno poi oggetto di una riflessione che diventerà un programma televisivo che sarà trasmesso da  una rete locale.

Esperti di problemi adolescenziali hanno definito questa generazione quella delle “Passioni tristi”, o quella che vive con alla porta  “L’ospite inquietante”. Tutti titoli di saggi molto famosi che ipotizzano  il nichilismo come segno distintivo del disagio giovanile odierno. E’ così? E’ tutto così? Ci sono modi positivi di porsi rispetto al futuro? E quali responsabilità ha il mondo degli adulti?

 

Gli incontri saranno una buona occasione per fare un po’ di pratica di inglese, ma soprattutto per capire se il fattore speranza, oggetto frequente dei discorsi del presidente USA  Barak Obama, sta contribuendo all’inizio di una nuova fase anche tra i teen-ager americani.

 

Gli incontri sono aperti  a tutti  giovani tra i 16 e i 24 anni ma bisogna prenotarsi.

Per informazioni scrivere a Massimo.aprile@ucebi.it; tel 0766 23082

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Per un’etica del lavoro

SUL LAVORO Kahlil Gibran

Allora un contadino disse: Parlaci del Lavoro.
E lui rispose dicendo:
Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l’anima della terra.
Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita, che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l’infinito.
Quando lavorate siete un flauto attraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica.
Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e muta quando tutte le altre cantano all’unisono ?
Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita.
E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.
Ma se nella vostra pena voi dite che nascere è dolore e il peso della carne una maledizione scritta sulla fronte, allora vi rispondo : tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi è stato scritto.
Vi è stato detto che la vita è tenebre e nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti.
E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio,
E ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere,
E ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro,
E ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore;
E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi, con gli altri e con Dio.
E cos’è lavorare con amore ?
E’ tessere un abito con i fili del cuore, come se dovesse indossarlo il vostro amato.
E’ costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato.
E’ spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia, come se dovesse goderne il frutto il vostro amato.
E’ diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito,
E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intorno a voi.
Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno:
“Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra, è più nobile di chi ara la terra.
E chi afferra l’arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana, è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi”.
Ma io vi dico, non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno, il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d’erba;
E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore.
Il lavoro è amore rivelato.
E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l’elemosina di chi lavora con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l’uomo del tutto.
E se spremete l’uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.
E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto, renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte.

Kahlil Gibran Il profeta

 

 

Prada: made in Italy?

La Clean Clothes Campaign insieme al sindacato turco Deri Is organizzano una mobilitazione internazionale contro il prestigioso marchio italiano “per denunciare la situazione di continua repressione del diritto dei lavoratori e delle lavoratrici della DESA, sua azienda fornitrice, ad organizzarsi in un sindacato libero”
Dal 5 marzo prossimo saranno in Italia per protestare contro lo sfruttamento che subiscono in Turchia nelle fabbriche che lavorano per il lusso italiano, in particolare nella ditta Desa fornitrice del prestigioso marchio Prada. Si chiamano Emine Arslan e Nuran Gulenc, sono lavoratrici dell’impresa Desa e sindacaliste turche e dal 5 marzo saranno in Italia, ospiti della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean clothes campaign che da 15 anni opera in 12 Paesi coordinando oltre 250 organizzazioni per il miglioramento delle condizioni e il rafforzamento dei lavoratori nell’industria tessile globale.Il 7 marzo 2009 la Clean Clothes Campaign (CCC) insieme al sindacato turco Deri Is organizzeranno una giornata di mobilitazione internazionale contro Prada “per denunciare la situazione di continua repressione del diritto dei lavoratori e delle lavoratrici della DESA, sua azienda fornitrice, ad organizzarsi in un sindacato libero”. Le mobilitazioni avverranno contemporaneamente a Milano, Londra, Parigi, Madrid e Instanbul. Prima però, il 5 marzo, incontreranno la Commissione Etica Regionale della Regione Toscana a Firenze, per portare all’attenzione dell’organismo regionale il caso di violazione tuttora in corso. Il 6 marzo la stessa delegazione incontrerà il coordinamento delle Rsu di Prada ad Arezzo in un incontro organizzato dalle tre organizzazioni dei sindacati tessili italiani, Filtea-CGIL, Femca-CISL, Uilta-UIL, dall’inizio mobilitati in sostegno alla campagna internazionale.

44 persone della DESA sono state licenziate dopo essersi iscritte al sindacato Deri Is per cambiare le proprie condizioni di lavoro in fabbrica, dati i bassissimi salari, gli orari di lavoro eccessivi e le precarie condizioni di igiene come l’assenza di servizi igienici e di acqua potabile.
Prada aveva dichiarato in una lettera alla “Campagna Abiti Puliti” che “qualora emergessero prove di violazioni di normative giuslavoristiche, comprovate dalle autorità turche” sarebbe stata pronta a prendere le misure necessarie.
Il tribunale turco ha già emesso una sentenza che conferma le discriminazioni sindacali e ha ordinato l’immediato reintegro di Emine e di altri 7 lavoratori. Ma nessuna misura è stata intrapresa da Prada per indurre la Desa a rispettare la legge e le convenzioni internazionali.

Da qui la protesta internazionale, che punta ad assicurare a lavoratrici e lavoratori quattro risultati: Le richieste dei lavoratori e delle lavoratrici alla direzione della DESA sostenute dalla CCC: riassumere immediatamente e incondizionatamente tutti i lavoratori nella stessa posizione precedentemente occupata e assicurare che gli vengano corrisposti i salari per il periodo di forzato licenziamento; fornire ad ogni lavoratore una dichiarazione scritta in cui si dichiara che essi sono liberi di associarsi ad una sindacato di loro scelta; sviluppare adeguate procedure disciplinari e di denuncia; riconoscere il sindacato Deri Is come legittimo rappresentante dei suoi iscritti e assicurare ai lavoratori la libera iscrizione a sindacati indipendenti. (Leonardo Carletti – aprileonline)

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Le nostre radici nonviolente profonde

Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza.

1Co 13:1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.

4 L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

8 L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.

13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.

 

VEGLIA ECUMENICA PER IL CESSATE IL FUOCO IMMEDIATO A GAZA

 

Non pregare Iddio
prima della battaglia,
signor generale,
ne’ lei, signor presidente,
prima della guerra che vuol scatenare
contro un popolo di fatto innocente:
non preghi per niente.

Il Dio che vuoi pregare non sta
con coloro che armati procedono
allo sterminio di un nemico,
reale o fabbricato,
perche’ sempre Lo troverai
fra le macerie di un villaggio distrutto
dalle tue bombe,
e Lo troverai che tiene fra le braccia
il bambino che hai privato
dei suoi genitori…

Il Dio dell’amore universale
non e’ tecum,
ne’ contro di te:
quel Dio e’ contro ogni violenza

(DAVIDE MELODIA)*

 

 

*Nato a Messina nel 1920, nella sua vita è stato pastore battista (dal 1948 al 1954), pittore e poeta, maestro carcerario, giornalista, consigliere comunale e provinciale per il partito dei Verdi. L’impegno che lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza è stato però quello per la nonviolenza, un percorso di riflessione e azione iniziato durante la sua prigionia di guerra 1940-1946) e sempre legato alla sua profonda fede evangelica. È stato segretario della Lega per il disarmo unilaterale (1979) e successivamente del Movimento nonviolento (1981-83), nonché membro attivo del Movimento internazionale per la riconciliazione (MIR). Dal 1984 aveva aderito al movimento dei Quaccheri, la “Società degli amici” nata in Gran Bretagna nel XVII secolo che da sempre pone la nonviolenza come espressione essenziale della fede cristiana. Ha conosciuto Ecumenici pochi anni prima dalla morte (2006) in occasione di un servizio informativo contro gli sgomberi degli immigrati da Milano. Non ci ha più lasciati… riteniamo neanche dopo la morte.  Ce ne siamo resi conto strada facendo nella battaglia contro l’ergastolo in Italia, per la scelta esistenziale della nonviolenza, della non demonizzazione dei nostri avversari senza per questo  rinunciare alla lotta serrata ma sempre nel rispetto della vita. 
 

Segnaliamo che il vincitore del biglietto d’auguri 2008 più bello è assegnato a Massimo Aprile per l’inventiva dimostrata.

 

Le nostre radici nonviolente profonde

Leonhard Ragaz, per un’etica della politica e un giornalismo profetico

 ragaz

(VE) Quasi dimenticato in Svizzera, pressoché sconosciuto all’estero, solo il movimento del ‘68 e la teologia della liberazione

 hanno riscoperto il significato dell’opera del teologo svizzero Leonhard Ragaz, nato a Tamins, nei Grigioni, il 28 luglio 1868

 
(Markus Mattmüller) Il villaggio di Tamins, nel quale Ragaz è nato, figlio di una famiglia modesta di contadini, gli fornisce una buona illustrazione delle strutture politiche e sociali: il sistema delle cooperative nel villaggio montano, in cui gran parte del suolo è di proprietà pubblica, dove molti compiti vengono svolti in comune, in cui annualmente ad ogni famiglia – anche a quella più povera – viene assegnata una parcella di terreno. Tutto ciò rafforza in Ragaz la convinzione delle possibilità inerenti a un socialismo istituzionalizzato, a una democrazia comunitaria viva e al federalismo.
Spinto a studiare teologia solo per la facilità d’accesso a una borsa di studio, dopo alcuni semestri a Basilea, Jena e Berlino, a 22 anni diventa pastore di tre villaggi di montagna. Successivamente è primo pastore a Coira e nel 1903 viene chiamato alla cattedrale di Basilea. Fino a quel momento non si distingue in nulla dagli altri teologi liberali del suo tempo, coronati da successo e popolarità.
Nella città industriale di Basilea però, la lotta sociale, che sta raggiungendo il suo culmine, lo costringe a una presa di posizione. Nella quaresima del 1903, nasce un conflitto operaio tra i mastri costruttori edili da una parte e muratori e manovali dall’altra. Questi ultimi rivendicano una riduzione dell’orario lavorativo e un aumento dello stipendio. Uno sciopero di grandi dimensioni viene sciolto dall’intervento delle truppe cantonali e gli operai devono arrendersi. La domenica dopo Pasqua, Ragaz sale sul pulpito della cattedrale di Basilea e predica su Matteo 22, 34-35, il doppio comandamento (“Ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore… Ama il tuo prossimo…”). In quella occasione dichiara la questione operaia come problema più urgente del suo tempo: “Il cristiano deve sempre schierarsi dalla parte del debole, dalla parte di coloro che nella lotta sociale tendono verso l’alto. Il cristiano deve sapere che siamo fratelli, … non deve solo guardare a se stesso e pretendere che Dio guardi a tutti ‘gli altri’, ma riconoscere che come figli di Dio siamo responsabili gli uni degli altri.“
Per la prima volta Ragaz esprime la sua convinzione che nel movimento operaio si manifesti una forma di cristianesimo inconsapevole, istintiva. Nello stesso anno, Ragaz definisce il contrasto tra “,…la religione statica, immobile, quieta e quella che invece si muove dinamicamente in avanti. Il primo tipo vede nella religione un luogo di riposo, dove coltivare una pietà individualistica, …facendo del cristianesimo un potere conservatore fino ai nostri giorni. “I rappresentanti della seconda forma invece “sottolineano non la fede in Cristo, bensì la sequela di Cristo… Invece della chiesa come istituzione salvifica essi rivendicano il regno di Dio.“ Chiamato a Zurigo, nel 1908, come professore di teologia sistematica e pratica, Ragaz tiene una serie di corsi sulla filosofia della religione, sull’etica, sul cristianesimo e la questione sociale.
L’inizio del primo conflitto mondiale nel 1914 è considerato da Ragaz come il giudizio sulla società capitalista e militaristica, ma anche sulla chiesa imborghesita e troppo leale verso lo stato. Da quel momento in poi, l’ex comandante dei cadetti e cappellano militare diventa uno dei capi principali del movimento pacifista svizzero.
Gli anni 1914-1918 rappresentano un momento importante nell’opera politica e teologica di Ragaz. Nella discussione sulle origini della guerra, condotta anche da molti profughi socialisti, il movimento dei socialisti religiosi ha richiesto un ancoramento intellettuale più profondo del socialismo.
Gli anni della guerra hanno impresso al pensiero teologico di Leonhard Ragaz l’impronta definitiva (la stessa impressa anche al pensiero di Karl Barth): il regno di Dio non è interiore o trascendente, ma vuole trasformare la nostra società e liberare i poveri.
La sua critica alla chiesa, alla teologia e a un cristianesimo borghese, spingono ben presto Ragaz a percepire la contraddizione tra le sue convinzioni e il suo stato privilegiato di teologo accademico. Nel 1921, all’età di 53 anni, senza il diritto ad una pensione, dichiara le sue dimissioni dalla cattedra zurighese e si trasferisce alla Gartenhofstrasse, nel quartiere operaio di Zurigo-Aussersihl, dove fonda l’accademia popolare Educazione e formazione. Da allora in poi, si guadagna da vivere con le modeste entrate provenienti dal lavoro giornalistico.
Dopo questa grande svolta, Ragaz concentra le sue attività su tre argomenti principali, tutti di carattere “profano”: la formazione operaia, il socialismo e la pace mondiale.
Nel suo centro di formazione, Ragaz dibatte questioni sociali, giuridiche e politiche. In discussioni di gruppo vengono trattati libri e personaggi biblici, attualizzati nel contesto storico e contemporaneo. Dopo il 1921 non predica mai più in una chiesa.
Le sue considerazioni e disquisizioni nella saletta della Gartenhofstrasse e i suoi contributi pubblicati sulla rivista Neue Wege costituiscono, per molti anni, le sue uniche testimonianze teologiche.
L’approccio caratteristico ai testi biblici è quello di combinare la loro interpretazione biblica con quella contemporanea: soprattutto durante gli anni della seconda guerra mondiale questo modo di leggere la Bibbia conferisce a molti speranza e consolazione, ma mette anche in guardia di fronte ai pericoli politici negli anni bui della guerra.
In molti suoi articoli Ragaz prende posizione sul delicato argomento della “questione giudaica”. Ribadendo che la radice sia del giudaismo che dell’ebraismo è unica, rifiuta qualsiasi attività missionaria verso gli ebrei. Con lungimiranza condanna la notte dei cristalli, nel 1938, come atto barbarico di saccheggio del patrimonio degli ebrei. Riconoscendo già presto e condannando inequivocabilmente la “soluzione finale” nazista, Ragaz accoglie nel suo centro numerosi profughi ebrei e instaura con loro un rapporto di dialogo e amicizia.
Aderente all’ala sinistra del partito socialista, quella contraria alla guerra, Ragaz osserva accuratamente gli sviluppi in Russia e riconosce i pericoli totalitari: socialismo e violenza, nell’analisi ragaziana, si escludono. Nel 1919 con un gruppo di amici pubblica il programma socialista, nel quale prende posizione contro un socialismo totalitario, in favore del cooperativismo e della formazione. Nel 1935 il partito socialista, la cui esistenza, nella Germania nazista, è in pericolo, adotta una posizione favorevole al riarmo; Ragaz lascia allora il partito con le parole: “Resto socialista.“
Nel periodo tra le due guerre, Leonhard Ragaz è il principale esponente del movimento pacifista svizzero. Dopo avere giurato a se stesso, nell’agosto del 1914, un’impegno continuo per la pace, mantiene questa promessa fino alla fine. Il suo pacifismo è però tutt’altro che apolitico: lotta per istituzioni ancorate nel diritto internazionale e per garantire la pace a livello mondiale. Nel caso estremo, avrebbe anche acconsentito ad una polizia per la pace della Società delle Nazioni.
Sin dall’inizio del secondo conflitto mondiale, in Svizzera vige la censura di stampa, sottoposta al ministero della difesa. I commenti aperti di Ragaz alla situazione attuale nella sua rivista Neue Wege (Vie nuove, n.d.t.) non passano inosservati: le minaccie da parte ufficiale culminano presto nella precensura. Ragaz, irritato, interrompe la pubblicazione della rivista e spedisce d’ora in poi le sue riflessioni, meditazioni bibliche e commenti politici in busta chiusa al suo cerchio di lettori. Negli anni seguenti Ragaz scrive il suo commento a tutti i libri della Bibbia. Contemporaneamente (1944 e 1945) redige i due volumi sulle parabole e il sermone sul monte. Non esiste, tra le opere del nostro secolo, un’altra presentazione del messaggio di tutta la Bibbia condotta seguendo un unico filo rosso: “…il messaggio del regno di Dio e della sua giustizia per la terra.“
È assolutamente da rileggere, quest’opera monumentale (Die Bibel. Eine Deutung, Edition Exodus, Brig/Fribourg, 1990, ristampa in 4 volumi, n.d.r.), per conoscere e capire le posizioni teologiche di questa dottrina politica e sociale fondata sulla Bibbia. I rappresentanti della teologia della liberazione, nell’America Latina, hanno riconosciuto già presto in Ragaz un loro precursore.
Ragaz vede ancora la fine della guerra, la vittoria delle democrazie e la fondazione delle Nazioni Unite. Le commenta nella sua rivista ormai liberata dalla censura. Il 6 dicembre 1945 conclude la 39. annata della rivista Neue Wege. La sera del giorno dopo, all’età di 77 anni, soccombe a un arresto cardiaco.

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Archiviato in Pace, Quaccheri del mondo

La pace o la vendetta di Dio?

Spesso le parole sembrano non bastare più, i riti e le liturgie stanche delle chiese del mondo occidentale si ripetono senza senso per il solo fatto che vi sia una tradizione da preservare, ma da qualche parte – proprio in questa zona del mondo – c’è sempre qualcuno/a che si accorge che non vale più la pena di mentire a se stessi e farsi trascinare nel circolo del non senso o dell’intellettualismo fine a se stesso. Anche il Gesù predicato dai pastori protestanti non serve a mettersi la coscienza a posto, con le miserie della nostra umanità. Gesù – con Schweitzer -viene ripensato alla luce della domanda esistenziale e permanente. Noi continuiamo ad avere sete di giustizia! Non ci sono più dogmi ecclesiastici da osservare né teorie di predestinazione che tengano: serve invece solo il coraggio di amare. Cosa che in Occidente si è perso da anni. Grazie verosimilmente anche ai cristiani e alla loro ideologia ormai deformata (definita con sfrontatezza cristianesimo) e mai fondata dal rabbi crocefisso.

Il grido di Albert Schweitzer per il rispetto della vita risuona ancora oggi nelle opulenze di questo periodo di Avvento sia pur nelle ristrettezze della crisi economica –finanziaria mondiale. Il nuovo palazzo della Rinascente a Milano grida la vendetta di Dio contro chi ti imbelletta e ti profuma, rendendoti sempre più imbecille e assuefatto. Con l’illusione che la pace di Dio sia prossima al 25 dicembre…

Noi chiediamo al Signore degli eserciti celesti di spegnere le luci luminarie di questo Natale e accendere la luce delle coscienze di ciascuno e ciascuna. Questa è la nostra preghiera. Anche per te.

Ecumenici

 

asfam

 

Albert Schweitzer da Bach al Rispetto per la vita

 

(Luca Lovisolo – Associazione Albert-Schweitzer di Trieste) Fra i dischi di casa ce n’era uno che aveva lo stesso diametro dei 45 giri, ma era più spesso, e si ascoltava con una certa solennità. Nella foto sulla copertina sedeva un vecchio rubicondo con folti baffi e capelli grigi, la camicia bianca, e sul colletto un vistoso strambo papillon. L’espressione era una curiosa mescolanza di bonarietà, severità, paternità e stanchezza: il dottor Schweitzer, l’unico organista della storia ad aver ricevuto un premio Nobel.

Albert Schweitzer nacque il 14 gennaio 1875 a Kaysersberg, un nido medievale fra i vigneti nebbiosi dell’Alsazia di fine autunno, ma non è lì che deve fermarsi chi vuole trovare il luogo dove nacque la sua anima. Pochi chilometri ancora sotto una pioggerella inopportuna, su di un pullman di studenti che motteggiano in francese con l’autista mentre due vecchine conversano due sedili più indietro nel dialetto di qui, dall’inconfondibile radice tedesca. Albert Schweitzer percorse queste valli di frontiera appena cinque anni dopo la loro annessione all’Impero germanico: vivevano ancora Johannes Brahms, Franz Liszt, César Franck, Victor Hugo. Poche settimane dopo la nascita del figlio Albert, Ludwig Schweitzer era stato trasferito per esercitare il proprio ministero di pastore protestante a Gunsbach, un villaggio di circa mille abitanti seduto in silenzio ai piedi di un modesto pendìo rugiadoso, a nord della strada principale che unisce Colmar a Munster. La famiglia Schweitzer ne abitò da allora la casa parrocchiale. Dalla canonica si può raggiungere la chiesa per due vie: per la carrozzabile, aggirando il municipio e poi salendo una scala, oppure insinuandosi tra i vicoli del borgo, passando sul ponte del mulino e ritrovandosi a monte della chiesa appena il suono del ruscello si attutisce. Ancora oggi questa chiesa è il luogo di culto comune a due paesi – Gunsbach e Griensbach-au-val – e a due confessioni religiose, cattolica e protestante. Le celebrazioni si suddividono inoltre fra riti in lingua francese, riti in lingua tedesca e riti bilingui. L’orario liturgico appeso alla porta finisce così col somigliare a un cruciverba. “Da questa chiesa aperta ai due culti ho ricavato un alto insegnamento per la vita: la conciliazione […] Le differenze tra le Chiese sono destinate a scomparire. Già da bambino mi sembrava bello che nel nostro paese cattolici e protestanti celebrassero le loro feste nello stesso tempio (1)”.

Terminate le scuole elementari di Gunsbach, a sinistra appena sotto la chiesa, scesa la scala, Albert Schweitzer passò alle scuole medie di Munster: raggiungeva ogni giorno il capoluogo della valle percorrendo il sentiero di circa tre chilometri che sale diritto dietro la parrocchia e dopo qualche decina di metri svolta repentinamente a sinistra, per tagliare a metà il pendìo sotto il bosco, fino alla città. “La cattedra di religione della scuola media di Munster era tenuta dal pastore Schäffer, una personalità notevole in campo religioso, e, nel suo genere, un eccellente oratore. Sapeva raccontare gli episodi biblici in modo stupendo. […] Mi appioppò il soprannome di Isacco, cioè «colui che ride», poiché ridevo di ogni sciocchezza […] Il registro di classe portava spesso l’annotazione «Schweitzer ride». In verità non avevo un carattere allegro, ero piuttosto timido e chiuso. Avevo ereditato questo carattere dalla mamma (2)”.

Terminate le scuole medie, le condizioni economiche della famiglia non gli avrebbero permesso la prosecuzione degli studi presso il liceo più vicino, a Mulhouse. Qui, però, due zii anziani e senza figli si offersero di ospitarlo: “Solo in seguito compresi il bene che mi avevano fatto gli zii, ospitandomi in casa. In un primo tempo mi resi conto soltanto della severa disciplina che m’imponevano […] La vita era regolata fin nelle faccende meno importanti. […] Obbligandomi a suonare, mia zia soleva dirmi: «Tu non sai quanto la musica ti potrà essere utile nella vita!». […] Neppure a Mulhouse la mia carriera scolastica ebbe inizio felice. Ero ancora troppo trasognato, le brutte pagelle diedero molte preoccupazioni ai miei genitori (3)”.

Al liceo Albert Schweitzer ebbe come insegnante di musica Eugen Munch, organista a Mulhouse della chiesa di Santo Stefano e capostipite di una famiglia che diede all’Alsazia numerosi e distinti musicisti (4). Munch era stato alla Scuola Superiore di Musica di Berlino, dove aveva respirato il clima di entusiasmo che circondava la rivalutazione delle opere di Johann Sebastian Bach, la cui grandezza fece conoscere a Schweitzer durante le lezioni di organo che questi ne ricevette a partire dall’età di quindici anni. Schweitzer liceale trovò nella musica di Bach il canale collettore delle sue prime sensazioni musicali, che rimontavano all’infanzia, all’organo sentito suonare durante i riti protestanti celebrati dal padre e ai Corali cantati a scuola. “Durante i primi anni del soggiorno a Mulhouse soffrivo molto di nostalgia per la chiesa di Gunsbach. Mi mancavano le prediche di mio padre e il servizio divino cui ero stato abituato sin da piccolo […]Dalle funzioni religiose cui partecipai da bambino ricevetti quel senso del solenne e quell’aspirazione al silenzio e al raccoglimento senza i quali la vita mi sembrerebbe sterile (5)”. Dopo inizi non propriamente incoraggianti, Eugen Munch fu sempre più convinto dal talento musicale del giovane Schweitzer e prese a volerlo come proprio organista sostituto. Il 16 novembre 1892 gli affidò in concerto la parte dell’organo nel Requiem tedesco di Johannes Brahms (6).

Ospitato a Parigi da un fratello maggiore di suo padre, commerciante, nell’ottobre del 1893 Albert Schweizer diciottenne poté incontrare per la prima volta Charles Marie Widor, organista della chiesa di Saint Sulpice. L’istruzione avuta da Eugen Munch gli valse la possibilità di riceverne lezioni private, sebbene il maestro insegnasse unicamente a favore degli iscritti al Conservatorio della capitale. Accadde a Saint Sulpice che Widor fece notare al nuovo allievo come i Preludi ai Corali di Bach cambiassero repentinamente condotta senza ragioni apparenti. Qui, suscitando lo stupore del celebre organista – che aveva trent’anni più di lui – Schweizer replicò che la spiegazione stava nel testo del Corale: la sua tesi sulla relazione diretta fra la composizione musicale di Bach e i testi poetici è oggi cosa indiscussa, ma era insospettata sino a meno di un secolo fa anche dai più grandi organisti (7).

Tornato in Alsazia, alla fine del mese di ottobre Albert Schweitzer s’iscrisse all’Università di Strasburgo e vi frequentò contemporaneamente la facoltà di teologia e quella di filosofia. Abitò nel seminario protestante, che si trova presso la chiesa di San Tommaso, adibito ancora oggi a ospitare studenti: un lato dell’edificio bianco, antico e ben tenuto, è circondato da un alto muro di cinta che lo divide dal lungofiume e da una stretta via traversa. Dalle finestre dei piani alti che l’occhio raggiunge di là del muro penzolano magliette colorate e pantaloni, quasi per certo stesi abusivamente. Il lato interno guarda su un cortile di pietra piccolo e silenzioso, presso a poco quadrato, al cui centro è piantato un alto albero di gaggia. Dietro il cortile esce dalla nebbia la massa architettonica della chiesa di San Tommaso, con il grandioso organo Silbermann. “Dal 1 aprile 1894 svolsi il mio servizio militare […] Quando, in autunno, nei dintorni di Hochfelden (bassa Alsazia) cominciarono le manovre […] portai con me il Nuovo Testamento in greco. La sera e nei giorni di riposo riuscivo veramente a lavorare […] Così, già alla fine del mio primo anno di studi avevo dubbi circa la concezione storica allora diffusa della vita di Gesù (8)”. Nel frattempo Albert Schweitzer era stato nominato organista dei concerti bachiani tenuti dal coro di Ernst Munch. “Alla venerazione per Bach si accompagnava in me quella per Wagner. Quando a sedici anni, liceale, potei andare per la prima volta a teatro, a Mulhouse, davano il Tannhäuser. Questa musica mi sopraffece talmente che ci vollero giorni, prima che potessi nuovamente prestare attenzione alle lezioni scolastiche (9)”.

Per elaborare la propria tesi di dottorato sulla filosofia della religione di Immanuel Kant (10), Albert Schweitzer tornò a Parigi, dove frequentò la facoltà filosofica della Sorbona e prese nuove lezioni d’organo, impartitegli da Widor gratuitamente. Allo stesso tempo ebbe lezioni di pianoforte dalla didatta Marie Jaëll-Trautmann, che era stata allieva di Franz Liszt. “Viveva dedicata ai suoi studi sul tocco pianistico, cui cercava una fondazione fisiologica. Le servivo da cavia, e come tale prendevo parte agli esperimenti che svolgeva con il fisiologo Féré. Quanto devo a quella donna geniale! (11)”. A ventitré anni Albert Schweitzer viveva la Parigi fin de siècle (quella di Debussy e dei pittori di Montmarte), non senza lottare contro difficoltà economiche ricorrenti: “A Widor debbo l’incontro con importanti personalità della Parigi di allora. Egli si occupava anche del mio benessere materiale. Se aveva l’impressione che a causa del mio poco denaro non avessi mangiato abbastanza, spesse volte dopo la lezione mi portava al ristorante che frequentava abitualmente, il Foyot, vicino al Luxembourg, affinché potessi saziarmi (12)”. Per poter svolgere contemporaneamente più studi Albert Schweizer ricorse spesso al lavoro notturno: “Mi accadde di suonare l’organo a lezione da Widor la mattina senza essere stato affatto a dormire (13)”. Tornato a Strasburgo nel 1899 dopo un soggiorno estivo a Berlino discusse la tesi di filosofia e continuò gli studi di teologia. Volgendo al termine questi ultimi, ebbe l’ufficio di predicatore presso la chiesa di San Nicola. Nei periodi di vacanza e quando riusciva a trovare un sostituto per le prediche tornava a Parigi ospite di suo zio, dove proseguiva gli studi con l’organista di Saint Sulpice ed ebbe anche a tenere una serie di conferenze sulla letteratura tedesca. Cominciò dal 1900 il periodo più intenso dedicato al lavoro teologico, niente affatto esente da intrusioni nelle altre discipline. Nel 1901 pubblicò lo studio sull’Ultima Cena (14), mentre la Storia della ricerca sulla vita di Gesù uscì per la prima volta nel 1906 ed ebbe poi diverse riedizioni (15). Fu nominato nel frattempo docente della facoltà teologica di Strasburgo. La Mistica dell’Apostolo Paolo uscì solo nel 1930 (16). Il celebre libro su Johann Sebastian Bach, nel quale Schweitzer enunciò le sue tesi circa la relazione fra immagini musicali e testi poetici, vide la luce in questi anni su stimolo di Charles Marie Widor. “Mentre ero impegnato a scrivere la Ricerca sulla storia della vita di Gesù, scrissi un libro in francese su Bach […] Al Bach custode del Gral della musica pura contrappongo nel mio libro il Bach poeta e pittore in musica. Tutto ciò che sta nelle parole del testo, sia il sensibile sia il figurativo, egli lo rende nel materiale sonoro con la maggior vivezza e chiarezza possibili (17)”. Il libro uscì in francese nel 1905 (18) ma poco dopo l’editore Breitkopf & Härtel ne chiese a Schweitzer una versione in tedesco, pubblicata nel 1908 con un numero di pagine quasi raddoppiato da approfondimenti e nuove ricerche (19). Intanto, ancora nel 1905, Schweitzer fu confondatore della Società Bach di Parigi, insieme a Paul Dukas, Gabriel Fauré, Charles Marie Widor, Alexandre Guilmant e Vincent d’Indy. Nello stesso anno uscì il suo studio comparato sull’arte organaria e organistica francese e tedesca (20). Dal 1892 al 1908 Albert Schweitzer aveva già tenuto 98 concerti d’organo fra Germania, Francia, Spagna e Belgio (21). Compiva 33 anni: da tre aveva comunicato agli amici e ai familiari che all’inizio del nuovo semestre scolastico si sarebbe iscritto alla Facoltà di Medicina dell’Università di Strasburgo, allo scopo di diventare medico e di esercitare questa professione nell’Africa equatoriale. “Il progetto che stavo per mettere in atto lo portavo in me già da lungo tempo. La sua origine rimontava ai miei anni di studentato. Mi riusciva incomprensibile che io potessi vivere una vita fortunata, mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti da ansie e dolori […] Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una cosa ovvia, ma che dovessi dare qualcosa in cambio […] Quando mi annunciai come studente al professor Fehling, allora decano della Facoltà di Medicina, egli avrebbe preferito spedirmi dai suoi colleghi di psichiatria (22)”. Sei anni dopo tenne l’Esame di Stato di Medicina: guadagnò il denaro da versare a questo scopo sostenendo poco prima l’esecuzione della Sinfonia Sacra di Widor per organo e orchestra, sotto la direzione del compositore stesso, durante la Französische Musikfest di Monaco di Baviera. La sua tesi di dottorato concernette la valutazione psichiatrica della vita di Gesù (23). “Non mi pareva vero che la tremenda tensione dello studio di medicina fosse davvero finita. Mi rassicuravo di continuo che non era un sogno, ma che era proprio finita(24)”.

“Non predicare più, non tenere più lezioni significò per me una rinuncia pesante. Sino alla mia partenza per l’Africa evitai per quanto possibile di passare dalle parti della chiesa di San Nicola o dell’Università. Vedere quei luoghi di un agire che non sarebbe mai più ritornato era troppo doloroso. Ancora oggi non riesco a tenere lo sguardo rivolto alla finestra della seconda aula a est dell’entrata del grande edificio universitario, dove solevo tenere lezione […] Finora ero stato occupato solo da lavoro intellettuale. Adesso bisognava fare ordinazioni dai cataloghi, commissioni tutto il giorno, girare per negozi a cercare merce, verificare consegne e fatture, chiudere casse, compilare con esattezza le liste per la dogana, e simili altre cose ancora. […] Per raccogliere i fondi necessari alla mia impresa cominciai a elemosinare presso i miei conoscenti […] Quando fui sicuro di aver raccolto tutti i mezzi necessari a fondare un piccolo ospedale, feci la mia offerta definitiva alla Società delle Missioni di Parigi di mettermi al servizio a mie spese come medico nel territorio della missione sul fiume Ogooué, a partire dalla loro base di Lambaréné, situata in posizione centrale […] Ma gli osservanti più stretti fecero resistenza. Si decise di sottopormi a un esame sulla fede. Non accettai, motivando il mio rifiuto col fatto che Gesù, chiamando i suoi discepoli, non pretendeva altro se non che volessero seguirlo. […] Quando assicurai che volevo solo fare il medico, e per tutto il resto sarei stato «muto come una carpa», allora si tranquillizzarono. […] Nel febbraio del 1913, 70 casse furono chiuse a vite e spedite intanto come bagaglio a Bordeaux […] Il Venerdì Santo del 1913 mia moglie e io lasciammo Gunsbach, la sera del 26 marzo ci imbarcammo a Bordeaux […] A Lambaréné i missionari ci accolsero davvero con cordialità […] Tenni i miei primi consulti in un pollaio […] Prima ancora che avessi trovato il tempo di togliere dalle casse medicine e strumenti, fui circondato da malati […] Arrivavano da un raggio di 200 – 300 chilometri, in canoa, sull’Ogooué e sui suoi affluenti […] Com’ero contento di aver realizzato il mio progetto di venire qui, in barba a tutte le obiezioni! (25)”.

Oltre a operare da medico e a costruire materialmente l’ospedale erigendo capanne di legno, lamiera e bambù, durante il primo soggiorno africano Schweitzer proseguì l’edizione critica delle opere per organo di Bach poi pubblicata in collaborazione con Charles Marie Widor (26). La Società Bach di Parigi gli inviò in regalo un pianoforte verticale con pedaliera, sui cui tasti l’avorio era fissato a vite, anziché incollato, per evitarne l’inevitabile distacco dovuto al clima. Suonando questo strumento – grazie al quale conservò anche l’agilità delle dita necessaria a operare chirurgicamente sino a età avanzatissima (27) – il dottor Schweitzer preparò le centinaia di concerti che tenne in tutta Europa durante periodici rientri nel Vecchio Continente, e numerose, primordiali incisioni discografiche (28). Al di là degli specifici scopi culturali, quest’attività pubblica servì non di meno ad attrarre attenzione e aiuti a favore del suo ospedale.

Nel 1914 la Prima Guerra Mondiale contrappose gli Imperi Centrali (Germania e Austria-Ungheria) a Francia, Russia e loro alleati: Albert Schweitzer e la moglie Hélène Bresslau, che lo assisteva in Africa come infermiera, erano cittadini tedeschi in territorio coloniale francese. Furono dapprima piantonati: il provvedimento fu revocato dopo quattro mesi grazie alle insistenze di Widor presso le autorità di Parigi. In questi eventi Schweitzer abbozzò l’opera filosofica Cultura ed etica, poi pubblicata dopo la guerra. Di fronte ai primi abbaglianti progressi della tecnica, al crescere dei nazionalismi e alla chiusura su di sé del pensiero filosofico, Schweitzer lesse la decadenza della cultura europea come conseguenza del distacco di essa da una ragionata visione del mondo, e definì la cultura come compimento etico del singolo e della società. Il progresso universale, in quanto affermazione del mondo e della vita, è tale secondo Schweitzer solo se cammina di pari passo al progresso etico: ma quale può essere quella visione del mondo nella quale etica, affermazione della vita e affermazione del mondo possono trovare una simultanea fondazione? “Per mesi restai in agitazione continua. Senza successo occupai il mio pensiero, con una concentrazione che non fu guastata neppure dal lavoro che svolgevo ogni giorno in ospedale […] Stavo come di fronte a un portone di ferro che non voleva cedere […] In quelle circostanze dovetti intraprendere un lungo viaggio sul fiume [Ogooué]. Alla sera del terzo giorno, quando, al tramonto, navigammo in mezzo a un branco di cavalli del Nilo, si parò di fronte a me inattesa e non cercata l’espressione: «Rispetto per la vita». Il portone di ferro aveva ceduto […] Ero penetrato sino all’idea nella quale sono contenute insieme l’affermazione del mondo, l’affermazione della vita e l’etica. Ora sapevo che la concezione dell’affermazione del mondo e dell’affermazione della vita è fondata nel pensiero insieme ai suoi ideali culturali (29)”.

L’espressione “Rispetto per la vita” non è una semplice, pur nobile affermazione di principio: ha per Schweitzer una precisa dignità teoretica, e diventa la chiave di volta per la moderna capacità di giudizio sia di fronte al progresso tecnologico, sia di fronte alle sfide culturali che esso comporta (30).

Un articolo che riguardi gli anni di formazione di Albert Schweitzer deve fermarsi a questa espressione, che guiderà tutto il resto della sua vita. Nel 1917 il dottore e sua moglie furono costretti a tornare in Europa e imprigionati in Francia. L’internamento guastò seriamente la loro salute: indebolita, Hélène Schweitzer tornerà in Africa solo nel 1941. Il dottor Schweitzer vi tornò nel 1924, all’età di quarantotto anni. “Dell’ospedale rimanevano in piedi solo la piccola baracca di lamiera ondulata e lo scheletro in legno duro di una delle grandi capanne di bambù. Durante i sette anni della mia lontananza tutto era marcito e crollato […] La mia vita andava così: di mattina facevo il medico, di pomeriggio il costruttore (31)”. Rimasto solo, Schweitzer si fece aiutare nei lavori pratici dai familiari dei malati. L’ospedale riprese a funzionare, dall’Europa giunsero aiuti, personale medico e poi sua figlia Rhena. Con un preciso fine educativo, l’ospedale non offrì mai cure a titolo completamente gratuito: a ciascuno era chiesto un contributo nella misura e nelle forme che gli erano possibili, con l’eccezione dei casi di povertà estrema. Nel 1953 fu conferito ad Albert Schweitzer il Premio Nobel per la Pace. Il dottore tornò in Europa per altre dodici volte, e tenne l’ultimo dei suoi 487 concerti il 18 settembre del 1955 (32). Nel 1959, due anni dopo la morte della moglie, Albert Schweitzer si stabilì definitivamente in Africa, dove continuò a lavorare e a tenere fitti scambi epistolari con il mondo intero sino all’agosto del 1965. Il 4 settembre, alle 23.30, la sua vita vissuta ai confini dell’incredibile si spense a novant’anni, nel buio della foresta.

L’ospedale Schweitzer di Lambaréné è oggi uno dei centri medici più importanti dell’Africa equatoriale. I principali scritti di Albert Schweitzer sono ancora regolarmente ristampati. I dischi incisi dal dottor Schweitzer organista ci consegnano uno stile esecutivo cui oggi il mondo dell’organo guarda con una sufficienza ammantata di falsa coscienza. La fondazione teoretica delle sue interpretazioni di Bach non è discutibile, salvo disporre almeno della sua stessa capacità di sintesi filosofica, musicale, teologica e umana. Egli ci indica un’imbarazzante meta raggiunta dall’umanamente possibile: conseguire tre lauree, scrivere qualche decina di libri, fondare e costruire con le proprie mani un ospedale nella foresta, superare due guerre mondiali e riempire di pubblico le chiese d’Europa con mezzo migliaio di concerti d’organo. Un modello scomodo. Vi è un interrogativo cui l’opera del dottor Schweitzer deve richiamarci: quante vite costa nel Terzo Mondo la costruzione di un organo in Europa? Nell’epoca della comunicazione globale questo dilemma non può restare ignorato. La risposta non è un terzomondismo da parata che vorrebbe distruggere le nostre ricchezze a sterili fini assistenziali: il dottor Schweitzer operò in Africa senza smettere mai di lavorare per la dignità della cultura europea, dimostrando con la sua vita che le nostre ricchezze intellettuali non sono a danno di altri, a patto che sappiamo farle fruttare nel modo giusto, a vantaggio di tutti. Oggi, per noi organisti ne consegue una responsabilità: la nostra presenza all’organo deve giustificarsi eticamente. “Raccoglietevi, raccoglietevi. Abbiamo bisogno di raccoglimento più di ogni altra generazione sulla Terra, o la nostra umanità precipiterà spiritualmente. Raccoglietevi, voi che vi disperdete negli eventi […] Siate silenziosi, affinché il vostro pensiero prolifichi; credete che nell’ora solenne della solitudine con voi stessi non solo sarete migliori nell’anima e nel carattere, ma troverete la forza di portare meglio il peso che il destino e gli uomini vi preparano, di perdonare laddove non avreste potuto perdonare, di credere negli uomini laddove altrimenti sarebbe la disperazione (33)”.

 

1. Albert Schweitzer, Aus meiner Kindheit und Jugendzeit, 1924. Le traduzioni sono dello scrivente.
2. Albert Schweitzer, Aus meiner Kindheit und Jugendzeit, 1924.
3. Albert Schweitzer, Aus meiner Kindheit und Jugendzeit, 1924.
4. Eugen Munch morì di tifo in giovane età nel 1898: Albert Schweitzer ne scrisse una memoria biografica, che fu il suo primo libro stampato, sebbene uscito anonimo (Anonimo, Eugen Munch, Brinkmann, Mulhouse, 1898). Eugen Munch ebbe un figlio, Hans (Mulhouse, 9.3.1893 – 7.9.1983), violoncellista e direttore d’orchestra, che fu allievo di Schweitzer per l’organo. Il fratello di Eugen, Ernst (Niederbronn, 31.12.1859 – Strasburgo, 1.4.1928) fu a Strasburgo docente al Conservatorio e organista della chiesa di San Guglielmo, dove fondò un coro per eseguire le Cantate di Bach. Di queste esecuzioni Albert Schweitzer fu più tardi organista ufficiale e ne scrisse numerose presentazioni uscite sui giornali cittadini. Dei due figli musicisti di Ernst, Fritz (Strasburgo, 2.6.1890 – 10.3.1970) fu direttore del Conservatorio della sua città, oltre che teologo protestante, filosofo e musicologo, mentre Charles (Strasburgo, 26.9.91 – Richmond, USA, 06.11.1968) divenne celebre in tutto il mondo come violinista e direttore d’orchestra.
5. Albert Schweitzer, Aus meiner Kindheit und Jugendzeit, 1924.
6. Harald Schützeichel, Die Konzerttätigkeit Albert Schweitzers, Haupt, Bern, 1991. “Quel giorno provai per la prima volta il piacere, che assaporai poi molte volte, di fondere il suono dell’organo con quello dell’orchestra e del coro”. Albert Schweitzer, aus meiner Kindheit und Jugendzeit, 1924.
7. Devo la narrazione di questo aneddoto generalmente sconosciuto alla cortesia del noto concertista alsaziano Daniel Roth, attuale organista della Basilica parigina di Saint Sulpice. A lungo in Francia – e certamente anche in altri Paesi al di fuori della Germania – si ritenne che i Corali usati da Bach fossero melodie liberamente create da Bach stesso, ignorando che provenissero da un repertorio consolidatosi fin dai tempi di Lutero. Fu questa la ragione per la quale César Franck intitolò così i suoi Tre Corali, sebbene vi avesse impiegato temi estranei a qualunque tradizione liturgica (Cfr. Albert Schweitzer, Deutsche und Französische Orgelbau und Orgelkunst, Breitkopf & Häretel, Leipzig, 1906, 42, n. 1).
8. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, I.
9. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, I.
10. Albert Schweitzer, Die Religionsphilosophie Kants, Mohr, Freiburg, i.B., 1899. Il pensiero di Immanuel Kant (1724-1804) ha comportato una rivoluzione nei concetti di conoscenza sensibile e conoscenza intelleggibile, capovolgendo il ruolo del soggetto rispetto all’oggetto nell’atto della conoscenza stessa. Una tale trasformazione, espressa nelle opere critiche a partire dalla Critica della ragion pura (1781), oltre alle conseguenze sul pensiero, sull’agire e sulla capacità di giudizio non poté non comportare le importanti ripercussioni nel campo della religione che Kant trattò nella Religione entro i limiti della semplice ragione (1793). La tesi di laurea di Schweitzer ebbe il fine “di riascoltare Kant stesso, a fianco delle numerose opere sulla sua filosofia della religione […] Quest’opera offre un’analisi critica dei pensieri di Kant che hanno qualchessia relazione con i problemi di filosofia della religione”.
11. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, II.
12. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, II.
13. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, II.
14. Albert Schweitzer, Das Abendmahl im Zusammenhang mit dem Leben Jesu …, Mohr, Tübingen, 1901.
15. Albert Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung. Mohr, Tübingen, 1906. La prima edizione uscì sotto il titolo Von Reinmarus zu Wrede, da Reinmarus a Wrede. Infatti, l’opera è una lettura analitica della storiografia su Gesù a partire dallo storico settecentesco Hermann Samuel Reimarus fino al teologo contemporaneo William Wrede. Solo a partire dall’Illuminismo la figura di Gesù fu studiata sotto un profilo strettamente storico, per lottare contro i dogmi servendosi di un Gesù descritto storicamente, depurato di ogni pathos. Da Reinmarus in avanti lo svilupparsi della ricerca storica scosse effettivamente non poco i dogmi consolidati. Per Schweitzer la ricerca storica sulla vita di Gesù sta al di sopra della ricerca sulla storia dei dogmi, sia nel rapporto con la cultura del nostro tempo, sia per il concetto di messianità di Gesù in relazione alla cultura ebraica di allora e agli atti di Gesù stesso. Nello scoprire che il Messia consegnatoci dalla ricerca storica non coincide con quello descritto dai dogmi e dalla teologia tradizionale, egli, forte della sua esperienza di predicatore, non trascurò di chiedersi in quale modo le comunità di fedeli avrebbero recepito questa evidenza. Annotò, a questo proposito: “In ogni circostanza, la verità ha più valore della non verità […] Anche se in un primo momento essa appare estranea alla devozione e le crea difficoltà, il risultato non può mai comportare danno, ma solo approfondimento […] La religione, pertanto, non ha alcun motivo di schivare il confronto con la verità storica” (Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, VI). Si possono facilmente immaginare le reazioni sconcertate che queste affermazioni profetiche causarono anche presso le autorità religiose protestanti, per tacere di quelle cattoliche, con le quali Schweitzer dovette confrontarsi al momento di partire come medico per la missione cattolica africana di Lambaréné. E’ utile ricordare che a quel tempo le Chiese protestanti non gestivano proprie missioni, ma sostenevano, anche economicamente, quelle cattoliche.
16. Albert Schweitzer, Die Mystik des Apostels Paulus, Mohr, Tübingen, 1930. Quest’opera tratta essenzialmente la questione del ruolo di Paolo nell’ellenizzazione del Cristianesimo, fra Cristo e Ignazio di Antiochia. Schweizer dà della dottrina di Paolo una spiegazione puramente escatologica, che ne stabilisce la dipendenza diretta dalla dottrina di Gesù. Toglie così a Paolo la veste di ellenizzatore del Cristianesimo, sebbene, “nella sua mistica escatologica dell’essere in Cristo egli abbia dato [al Cristianesimo] una forma nella quale esso divenne ellenizzabile”. La prefazione del libro è firmata “Albert Schweitzer – Dal battello a vapore sul fiume Ogooué, durante il viaggio a Lambaréné, nel giorno di Santo Stefano 1929.
17. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, VII.
18. Albert Schweitzer, Jean-Sébastien Bach, le musicien-poète, Paris, 1905.
19. Albert Schweitzer, Johann Sebastian Bach, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1908. Nonostante il progresso della ricerca bachiana dopo Schweitzer, la lettura di questo libro resta la prima tappa per chi voglia accostarsi con cognizione di causa alle opere di Johann Sebastian Bach e alla musica da chiesa protestante. E’ un peccato che l’unica traduzione italiana disponibile (Albert Schweitzer, Bach, il musicista poeta, Suvini Zerboni, Milano, 1952) corrisponda alla prima edizione del libro, quella in lingua francese, priva di tutte le integrazioni contenute nella successiva edizione tedesca.
20. Prima di essere pubblicato nel 1906 a Lipsia da Breitkopf & Härtel lo studio uscì nella rivista Die Musik, 1905, pagg. 76-90 e 139-154.
21. Harald Schützeichel, Die Konzerttätigkeit Albert Schweitzers, Haupt, Bern, 1991, 80. Il 27.4.1908 Albert Schweitzer tenne a Milano l’unico concerto che ebbe occasione di dare in Italia, fra mille diffidenze causate dalla sua appartenenza alla Chiesa protestante. Il concerto fu ignorato da tutti gli organi di stampa.
22. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, X.
23. Albert Schweitzer, Die psychiatrische Beurteilung Jesu, Mohr, Tübingen, 1933.
24. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, X.
25. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, XII-XIII. Le difficoltà opposte a Schweitzer da parte dei religiosi più osservanti derivavano dalle tesi estremamente moderne espresse nei suoi studi teologici. In materia di fede Schweitzer si pronuncia sempre in senso antidogmatico e in favore della libertà di ricerca intorno ai testi e alla storia della religione. Un approccio che ancora oggi, tavolta, è accettato con diffidenza. Giunto sul posto, Schweitzer fu poi invitato a predicare dagli stessi missionari, meno usi a sottilizzare di dottrina, immersi com’erano nell’esperienza pratica della missione.
26. Il lavoro era stato commissionato dall’editore Schirmer di New York. L’opera avrebbe dovuto comportare la pubblicazione contemporanea in tre lingue negli Stati Uniti e in Europa. Gli eventi della Prima Guerra Mondiale e le loro conseguenze sul piano monetario permisero di fatto la circolazione della sola edizione americana.
27. La circostanza mi è stata riferita presso la Casa Schweitzer di Gunsbach.
28. Il repertorio del dottor Schweitzer non fu limitato a Bach, ma comprese buona parte dell’opera di Franck e di Mendelssohn, vari estratti dalle sinfonie di Widor, molte composizioni di autori meno noti e una settantina di opere per organo e altri strumenti. A fianco di alcuni dischi realizzati nel 1955 da Schweitzer ormai ottantenne, vanno ricordate le numerose incisioni degli anni Trenta, che sono le più rappresentative della sua arte. Alcune sono state riversate su CD: una buona antologia è in The art of Albert Schweitzer, 3 CD, EMI, TOCE-6918-20.
29. Albert Schweitzer, Verfall und Wiederaufbau der Kultur, Beck, München, 1923; Kultur und Ethik, Beck, München, 1923; Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, XIII. Adottiamo anche qui l’espressione italiana “Rispetto per la vita”, ormai divenuta celebre. Essa, tuttavia, non rende giustizia alla formulazione originale tedesca Ehrfurcht vor dem Leben, che, a giudizio di chi scrive, in italiano è resa meglio con Soggezione di fronte alla vita.
30. Sono esemplari per questa dialettica dell’Affermazione della vita le opere Das Christentum und die Weltreligionen [il Cristianesimo e le religioni del mondo], Beck, München, 1925; Die Weltanschauung der indischen Denker [I grandi pensatori dell’India] e i discorsi radiofonici contro gli esperimenti nucleari, tenuti nel 1958.
31. Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken, Leipzig, 1931, XIX.
32. Harald Schützeichel, Die Konzerttätigkeit Albert Schweitzers, Haupt, Bern, 1991, 75.
33. Albert Schweitzer, da un sermone tenuto in San Nicola a Strasburgo l’8.12.1918, manoscritto presso l’Archivio Centrale Schweitzer di Gunsbach. Riportato per estratto in Harald Schützeichel, Die Konzerttätigkeit Albert Schweitzers, Haupt, Bern, 1991, 197.
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Cosa leggere?

L’editoria in lingua italiana è avara con Albert Schweitzer. In materia musicale segnaliamo: Bach, il musicista poeta (Suvini Zerboni, Milano, 1952), traduzione basata purtroppo sulla prima versione del testo. Fra le opere teologiche è stata tradotta in tempi recenti solo la Storia della ricerca sulla vita di Gesù (Paideia, Brescia, 1987). L’opera più utile a conoscere la figura di Schweitzer è l’appassionante autobiografia Aus meinem Leben und Denken (La mia vita e il mio pensiero), scritta in un tedesco scrupoloso ma non insormontabile. Più ardua la lettura in lingua originale delle opere teologiche e di quelle filosofiche sul tema della cultura e dell’etica. Traduzioni italiane furono pubblicate decenni fa, ma sono ormai del tutto irreperibili, se non in qualche biblioteca ben fornita. In commercio si possono trovare l’autobiografia degli anni giovanili Infanzia e giovinezza (Mursia, Milano, 1990) e lo studio I grandi pensatori dell’India (Ubaldini, Roma, 1983). Nelle librerie religiose ci si può imbattere in antologie che raccolgono pensieri scelti di Albert Schweitzer: da queste però è impossibile ricavare un’idea esauriente del personaggio. Al lettore italiano indichiamo senz’altro i due eleganti volumi-strenna di Luigi Grisoni Albert Schweitzer (Velar, Bergamo, 1996). Oltre a complete informazioni biografiche, essi contengono un’abbondante documentazione fotografica e traduzioni inedite.

 

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Giorgio Spini: un diamante italiano

Grazie all’amico Alberto Milazzo ricordiamo qui uno degli evangelici socialisti più importanti nella storia italiana moderna. Si tratta indubbiamente della più alta espressione di impegno etico e fede politica. Alcune prime info di base sono raccolte qui http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Spini . Ecumenici nel ringraziare Alberto anche per il suo piccolo contributo finanziario lo rassicura che appena ci sarà possibile approfondiremo le opere de “il protestante italiano”. E’ una scelta strategica di esplicito rifiuto dei burocrati ecclesiastici – ad esempio dell’Agenzia di stampa NEV – e contestuale valorizzazione del pensiero finalizzato alla ricerca storica, all’analisi e al rapporto reale con la società italiana. In primis coi giovani.

 

NICOLA TRANFAGLIA RICORDA GIORGIO SPINI (2006) [Dal quotidiano “La Stampa” del 15 gennaio 2006 col titolo “Spini, l’uomo della Resistenza che studiava la liberta’” e il sommario “E’ morto a 89 anni il grane storico fiorentino, figlio spirituale dei fratelli Rosselli, Salvemini, Capitini”]

L’ultimo incontro con Giorgio Spini, il grande storico fiorentino scomparso ieri a 89 anni, l’ho avuto due anni fa in Toscana in occasione del 25 aprile. Eravamo stati chiamati tutti e due da alcuni sindaci a discutere del significato storico di quella data e fui colpito ancora una volta per l’entusiasmo fervido che caratterizzo’ l’intervento di Spini. Parlo’ in quell’occasione dell’emozione straordinaria che aveva provato il giorno della Liberazione di Firenze quando era entrato di qua dall’Arno nella citta’ mentre i partigiani stavano combattendo contro l’ultima resistenza dei nazisti e dei franchi tiratori fascisti e dal suo discorso emergeva con chiarezza come per lui che aveva vissuto con disagio e sofferenza gli anni della dittatura quello fosse stato il giorno magico della rinascita e della ripresa di un’esistenza finalmente libera cui da tempo aspirava. Nella sua generazione che ha annoverato altri grandi studiosi, da Franco Venturi ad Alessandro Galante Garrone a Gastone Manacorda, la lotta contro il regime che si conclude con la Resistenza, la Repubblica e l’approvazione di una Costituzione democratica e’ l’evento centrale decisivo per la loro formazione politica e culturale.

La sua era una famiglia approdata nel secolo precedente alla fede protestante e, nell’ultima opera autobiografica La strada della Liberazione.

Dalla riscoperta di Calvino al Fronte dell’VIII Armata pubblicato tre anni fa dalla Claudiana, Spini aveva spiegato con grande lucidita’ come la fede religiosa e quella politica volta agli ideali di democrazia e di liberta’ si fossero incrociate e fortificate a vicenda e lo avessero portato a vedere in Gaetano Salvemini, nei fratelli Carlo e Nello Rosselli e poi in Aldo Capitini i suoi maestri ideali. Cosi’ aveva aderito al partito d’Azione e si era legato a Piero Calamandrei e alla rivista “Il Ponte” su cui aveva scritto molti memorabili articoli e saggi sulla storia d’Italia.

Un’altra caratteristica essenziale del suo lungo lavoro di storico era stata la larghezza degli orizzonti di ricerca e di interesse che spaziavano dallo stato mediceo fiorentino nei secoli decisivi della sua ascesa alla storia religiosa dell’Italia e dell’Europa tra Rinascimento e Riforma, dal ruolo dei protestanti nel Risorgimento italiano all’influenza della Spagna nei primi tentativi di rivoluzione agli inizi dell’Ottocento. E’ difficile dire se il suo capolavoro sia stato il magistrale ritratto di Cosimo I dei Medici pubblicato nel 1945 e piu’ volte ritoccato e integrato fino all’edizione degli anni Settanta o invece il bellissimo saggio dedicato alla Giovane America e pubblicato da Einaudi nel 1968 in cui lo storico ripercorre la riflessione che gli storici americani fecero per piu’ di due secoli, dai Padri Pellegrini all’Indipendenza, e mette in luce, in maniera eccezionalmente chiara e convincente, il senso della ricerca identitaria degli americani nei secoli decisivi di formazione della loro nazione.

E un forte interesse per la dimensione didattica della ricerca storica, favorito da uno stile limpido e letterariamente pregevole, che gli consentirono negli anni Sessanta di scrivere uno dei manuali che ebbero maggior successo nelle scuole italiane per alcuni decenni e che ancor oggi si leggono come un esempio di testo aperto ai non addetti ai lavori e scritti anzi in modo da attrarre chi si avvicina alla storia partendo da altri interessi e altre esperienze (Storia dell’eta’ moderna da Carlo V all’Illuminismo, 1960).

La prima volta che lo avevo incontrato e’ stato invece molto tempo fa quando studiavo a Firenze, nella casa di Maria vedova di Nello Rosselli, la giovinezza di Carlo Rosselli. Allora mi rimase impresso il forte interesse dello storico fiorentino per la Firenze del primo decennio del Novecento, delle riviste letterarie che avevano avuto una notevole influenza sulla famiglia Rosselli. Ricordo che segui’ i miei studi in modo costante e quando usci’ il mio libro mi scrisse una lunga lettera di osservazioni, una sorta di dibattito alla pari, lui storico di fama internazionale (con molti anni di insegnamento nelle universita’ americane) con un giovane che incominciava allora a pubblicare la sua prima opera di impegno scientifico. Tra gli storici accademici, lui e l’indimenticabile Sandro Galante Garrone, erano le eccezioni, non la regola, per un rapporto democratico e paritario con i giovani allievi.

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Rabbi Michael Lerner di Tikkun ci chiede una mano…

E’ in corso una traduzione accurata della lettera di rav Michael Lerner da parte del generoso Antonio Pinto, per la newsletter Ecumenici: ci sembra importante sostenere tutti gli sforzi della comunità di Tikkun anche in Italia. Siamo pienamente solidali con l’impegno che l’amato rabbino americano sta compiendo da anni per il cambiamento delle prospettive etiche nel Grande Creato.

Affidiamo questa lettera innanzitutto a Te: portala nella Tua comunità di fede, diffondila sulle liste di amici e conoscenti, inviala personalmente agli Uffici di Presidenza delle Chiese cristiane presenti in Italia, ai gruppi religiosi ebraici e a quelli islamici, alle comunità di fede buddiste, induiste, Bahá’í e non trascurarne nessuna per favore. Nemmeno quelle che qui non abbiamo indicato per motivi di sola sintesi del messaggio di invito.

Unisci quello che è sparso nel tuo piccolo.

Ecumenici raggiunge oggi solo 3.687 lettori, in gran parte residenti in Italia. Solo una goccia nel mare.

Per questo abbiamo bisogno anche di Te. In piena estate.

Noi non andiamo in vacanza e restiamo a tenerTi compagnia. Per dare un contributo a trasformare il mondo.

http://it.groups.yahoo.com/group/newsletter_ecumenici/

Tikkun, per guarire, riparare e trasformare il mondo

Appunti del rabbino Michael Lerner

27 luglio 2008

Caro Maurizio,

anche se tu non sei personalmente collegato a nessuna particolare comunità religiosa, probabilmente hai amici o contatti che vorrebbero sotto firmare questa lettera. Se ce li hai potresti gentilmente contattarli e invitarli a firmare? E se facessero ciò puoi dire loro di inviare i loro nomi e come potrebbero essere identificati? Poiché questo sforzo  è  soprattutto  rivolto  a  rappresentanti  di  comunità religiose, non prenderemo in considerazione seminaristi o capi religiosi il cui orientamento religioso non è ben definito, ad eccezione di capi religiosi o comunità come quelle dei Quaccheri che non hanno strutture verticistiche al loro interno, così  come prenderemo in considerazione capi di locali comunità. Dica loro di contattarmi al seguente indirizzo di posta elettronica:

RabbiLerner@gmail.com

Nel frattempo, se vuole mettere anche lei la sua firma a questa lettera, e apportare delle aggiunte o osservazioni, lo faccia, poi la mandi direttamente all’indirizzo del Comitato Generale per l’elezione di Obama a Chicago.

 

 

Cordiali saluti, Michael.

Rabbi Michael Lerner   Autore del testo, Tikkun

RabbiLerner@Tikkun.org 

 

P.S.   Conosce o lavora con persone che potrebbero essere interessate a fare parte di uno sforzo che si sta sviluppando attualmente per cambiare l’etica del loro lavoro o il contesto in cui quel determinato lavoro si è costretti a svolgerlo –  andando dal  Materialismo  basato  sul massimo sfruttamento del danaro,  del potere e  della  fama,  da un  lato,  fino ad arrivare, dall’altro,  alla  Base della Nuova Indigenza, fatta di generosità, prendersi cura degli altri, amore, gentilezza, sensibilità etica ed ecologica, rispetto  e  stupore  reverenziale  per il Gran Creato? Se sì, vorrebbe comunicargli che la Rete per gli Sviluppi Spirituali fra Fedi Religiose sta promuovendo una conferenza presso l’Università Berkley della California per le sopraelencate figure professionali da tenersi il prossimo 21 settembre 2008, e che se non possono parteciparvi, possono comunque farne parte mettendosi in contatto tramite il seguente indirizzo di posta elettronica   dlapedis@tikkun.org     – Dica prima loro di visitare il nostro sito  www.spiritualprogressives.org   per guardare in maniera dettagliata come fare l’iscrizione al convegno o come semplicemente registrarsi.

Siete interessati a creare con me un seminario di scambio interreligioso della durata di una settimana da tenersi durante l’estate 2009 e indirizzato a persone d’età compresa tra i 20 e i 40 anni  che sia una valida alternativa  al Burning  Man  [l’Uomo  che brucia]  (l’annuale evento religioso di Novembre  che conduce  qui  40.000-50.000 giovani —  organizzato e controllato  da Googling  it, e se voi non sapete come farlo, beh allora non siete le persone giuste per aiutarci ad organizzare questa manifestazione). La nostra riunione vorrebbe essere una celebrazione degli Spiriti Progressisti il cui impegno verso Dio, lo Spirito e l’Amore li conduca e sostenga il loro lavoro fino a Tikkun Olam (il luogo della guarigione e della trasformazione del mondo). Se siete intenzionati a sostenere e costruire con me ciò, vi prego di contattarmi. Non siamo sicuri al 100% di poter realizzare tale evento entro il 2009, ma realizzeremo sicuramente la nostra conferenza di Washington di primavera (che dobbiamo fare). Lo faremo solo se avremo tutto l’appoggio economico, spirituale e organizzativo dei nostri sostenitori (indicateci pure cosa siete capaci di fare, sarà più semplice nel distribuire incarichi o nel reclutare altri volontari e sostenitori).

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