Pensieri liberi di un prete anomalo: Don Paolo Farinella

1. Anniversario di  una scomunica
Il 1 luglio 1949 l’allora Sant’Uffizio emise un decreto di scomunica contro i comunisti, per dirla in modo semplicistico e non esatto esegeticamente. Il testo infatti non è d’immediata lettura ed esige una interpretazione da un punto di vista teologico. Ciò che però qui conta non è l’interpretazione storica, ma come il documento fu tradotto «pastoralmente» nella Chiesa delle parrocchie. Qui si consumò il dramma perché vescovi e preti non fecero alcuna distinzione tra errore filosofico-teologico e prassi quotidiana: le masse che votavano Pci non sapevano niente dell’ateismo dialettico e di Marx, ma votavano per un partito che secondo loro faceva gli interessi dei poveri e dei lavoratori che vivevano a livello di schiavi. Votare Pci era una speranza di riscatto. Di fatto fu scomunicata quasi la metà degli stessi cattolici e circa 10 milioni (uno più uno meno) di battezzati.
I più lungimiranti giudicarono il documento un errore storico e teologico, come di fatto poi si dimostrò: la chiesa perse il mondo operaio a acquisto la Confindustria.  Secondo voi chi ha perso e chi ha guadagnato? Ha perso la Chiesa che si alienò le masse operai, contribuendo così alla secolarizzazione selvaggia che si sviluppo a partire dall’economia gestita in favore delle classi abbienti con qualche briciola per i poveri e i proletari che però restavano carne da macello per il militare, le guerre, le tasse certe e il disprezzo della persona umana. Erano i tempi in cui la violenza sulla donna era considerato un vanto da maschio e l’omicidio per tradimento un delitto d’onore a favore del maschio. La gerarchia di allora si schierò acriticamente con il capitalismo che fu una delle cause della scristianizzazione di massa.
 
2. Cronaca di una scomunica mancata
E’ facile fare un paragone. Se il Vaticano ha scomunicato i comunisti perché di fatto negavano Dio e qualsiasi riferimento etico a Lui, come mai la stessa gerarchia oggi, a distanza di 60 anni, non scomunica il «berlusconismo» che è peggiore di qualsiasi comunismo, fascismo ed eresia messi insieme? I comunisti doc dicevano: Dio non c’è; Beluskonijad dice: A me di Dio e della Chiesa me ne può interessare meno che meno; a me interessano solo i preti con cui fare affari per avere i voti loro e di quelli che controllano: il resto è panissa per poveracci. Berluskonijad è ateo e spergiuro: va al family day  a difendere l’unità della famiglia, lui divorziato ed esperto visto che ne aveva due e poi si riempie le ville di prostitute e pagamento che premia con un posto al parlamento, riservando alle più brave in opere pie d’alcova la nomina di ministro. Il parlamento è la paga del pappone alle meritevoli e impegnate. Quante volte ha detto che lui non dormiva mai, perché lavorava per il Paese? Ora lo sappiamo (Repubblica del 29 giugno 2009) passava le notti a fare il mandrillo e docce gelate e tra un colpetto a dritta e uno a manca, si ricordava di fare qualche telefonata da presidente del consiglio.
Di fronte a questo ateismo teorico e pratico che fa mercimonio dei principi a cui dice di ispirarsi, come mai i vescovi hanno indossato la palandrana delle solenni occasioni e non l’hanno dichiarato «scomunicato»? Costui ha preso le cose sacre e le ha buttate ai porci, ha sporcato tutto quello che ha toccato, ha fatto e fa i gargarismi con i principi cristiani, ma  poi frequenta le minorenni (parola della seconda moglie), è l’utilizzatore finale della filiera della prostituzione che sosta in modo permanente nelle sue ville (parola del suo avvocato, pagato da noi in quanto parlamentare e vero ministro dell’ingiustizia); compra le donne a camionate e le scarica a badilate.
I fatti che emergono giorno dopo giorno aggravano sempre più le circostanze e il capo del governo italiano, si difende nella sua protervia con: «la gente mi vuole così», confondendo voti e interessi con la democrazia che è il limite e il parafulmine dell’assolutismo.
Intanto i vescovi tacciono e io credo che non possono fare altro perché non sanno che pesci pigliare: qualsiasi cosa dicano “ora” sarebbe sbagliata perché fuori tempo massimo e perché buon’ultima dopo la reazione in massa del loro stesso popolo. Penso che i vescovi hanno una sola via d’uscita che gli offro gratis et amore Dei: Scrivere un documento di una paginetta e andare a leggerlo in tv riunite in mondovisione. La paginetta dovrebbe avere questo tenore:
 
3. La risposta del vescovo Bagnasco che avrei desiderato, ma che non è mai arrivata
 «Noi vescovi d’Italia abbiamo sbagliato e chiediamo perdono al popolo di Dio che abbiamo lasciato nel dubbio e nel disorientamento di fronte al comportamento indecoroso del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Concedendogli un credito che non meritava, siamo caduti come sempliciotti nella sua rete d’inganni e di manipolazione. Troppo tardi ci siamo accorti che tutte le sue concessioni politiche, legislative ed economiche erano solo le briglie che egli ci teneva addosso per impedirci di parlare e di guidare il nostro popolo che invece lo ha seguito incantato dalle sue promesse mirabolanti, ma senza alcun fondamento. Egli, ormai è dimostrato, ama la bugia e la crede verità. Ha usato con protervia e spudoratezza le sue tv e quelle pubbliche per creare il consenso attorno a lui, senza rispetto alcuno per le Istituzioni, la Magistratura e il senso dello Stato di cui ha dimostrato di esserne privo del tutto. Oggi alla luce dei fatti emersi che hanno confermato parola per parola e aggravato quanto detto dalla seconda moglie, Veronica Lario, abbiamo visto la sollevazione del nostro popolo che chiede a gran voce una parola su questi eventi e sulla persona che li ha messi in atto. Siamo rimasti colpiti dalle reazioni del popolo di internet che ha saputo metterci a disagio.
«Comprendiamo che la nostra parola di oggi non ha lo stesso effetto che poteva avere un mese o due mesi or sono; comunque non possiamo più tacere e dichiariamo che il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è fuori della Chiesa cattolica (se mai vi è stato dentro); è spergiuro secondo la morale cristiana come lui stesso ha dimostrato, fornendo versioni diverse dello stesso fatto, dopo avere giurato sulla testa dei suoi figli; è menzognero con l’aggravante delle recidività; è ignobile perché frequenta minorenni; è un pericolo per le istituzioni statuali perché ha saputo solo fare i suoi interessi e non quelli del popolo. Noi lo ripudiamo e restituiamo i favori che ci ha concesso, anche illegalmente, perché vogliamo recuperare la stima del nostro popolo che, sentiamo, ce l’ha ritirata da un pezzo.
«Dichiariamo che il berlusconismo è incompatibile con il cristianesimo e pertanto come sessanta anni fa dicemmo che era peccato votare comunista, oggi per essere giusti dobbiamo dire che un cattolico non può votare Berlusconi o i suoi alleati e considerarsi ancora cattolico. Chi vuole può votarlo perché non è nostra competenza dare indicazioni di voto, ma è nostro dovere dire che il cristianesimo è incompatibile con tutto ciò. Pertanto liberi di votarlo, ma per coerenza bisognerebbe anche sbattezzarsi.
«Poiché non siamo stati capaci di esercitare la profezia, ma siamo stati attenti alla diplomazia conveniente, mentre ripudiamo l’uomo e lo abbandoniamo al suo destino, chiediamo che il presidente del consiglio rassegni le dimissioni immediate e si ritiri a vita privata a fare penitenza per redimersi da tutti i misfatti che ha fatto a danno della nazione. Egli deve chiedere pubblicamente perdono alle donne che considera meno che una proprietà da diletto e deve riparare al danno, dando due terzi dei suoi averi allo Stato perché li impegni in campo sociale e assistenziale.
«Da parte nostra, noi vescovi del consiglio direttivo della Cei, ci dimettiamo in blocco e lasciamo ad altri il lavoro di guida e di stimolo del popolo di Dio. Le dimissioni sono un segno che vogliamo cambiare strada e intraprendere il cammino della verità e della libertà insieme al nostro popolo e mai contro di esso. Ultimamente ci siamo anche resi conto che di fatto noi, vescovi, abbiamo divorziato dalla nostra Chiesa, perché andavamo per una strada dove nessuno ci seguiva perché il nostro popolo aveva preso la direzione opposta. Sì, per noi è una conversione «a U», ritorniamo sui nostri passi e questa volta per non sbagliare non ci poniamo più alla testa del popolo, ma molto più umilmente ci poniamo al suo seguito, certi che lo Spirito guiderà l’uno e gli altri verso la mèta comune del Regno, di cui la società in terra è un anticipo e un assaggio. A tutte e a tutti un abbraccio insieme alla nostra richiesta di perdono».
+ Angelo Bagnasco, vescovo di Genova e Presidente della Cei.
(seguono le altre firme).
 
4. La lettera e le parole che invece sono dette in Italia e nella Chiesa
Apprendo in questo istante (lunedì 29 giugno 2009, ore 18,30) che il cardinale Bagnasco pubblica una «Lettera pastorale» per l’anno 2009 e 2010 dal titolo «Camminare nelle vie dello Spirito. Alle sorgenti della Vita Spirituale», destinata alla diocesi di Genova, ma di valenza nazionale per la carica dell’autore. In questa lettera in cui il cardinale raccomanda la «disciplina del corpo», invita «alla sobrietà nel cibo, nel vestire, nell’uso dei beni di consumo», nonché ad una «certa custodia negli sguardi» ed al «dominio dell’istinto sessuale». Mi auguro e spero che non si riferisca con queste parole al bordello berlusconiano perché sarebbe atroce pensare di filarsela per il rotto della cuffia con un invito di stampo ascetico. No, il popolo di Dio può pretendere che il vescovo dica una parola chiara e definitiva sul puttanaio che ha pervaso l’Italia e le Istituzioni e la dignità di tutte le Italiane e degli Italiani. Sig. cardinale, scenda dalle nubi dei massimi sistemi e venga a camminare con i comuni mortali per rendersi conto della giustizia tradita e a prendere le impronte alle escort che accompagnano il difensore della famiglia. Venga a vedere il porcile in cui è stata trasformata la presidenza del consiglio. Non abbia paura di sporcarsi: è materia grezza, vera, da stalla di infimo livello. Non tema di sporcare le scarpette rosse perché le forniamo un bel paio di stivali da pesca. Noi speravamo! Inutilmente! Vediamo la distanza tra lei e noi che si allarga sempre di più e se non corre ai ripari diventerà un mare, un oceano di separatezza.
 
5. Onore ai lefebvriani
I discepoli talebani cattolici del defunto talebano Marcel Lefebvre, il giorno 29 giugno 2009 in tutto il mondo hanno ordinato 27 nuovi preti che essi chiamano «sacerdoti». Dal Vaticano, oltre un buffetto di qualche mese fa, nulla, anzi una «tacita tolleranza». Questi «sacerdoti» sono congeniali a Benedetto il XVI che presto si circonderà di essi come di un manipolo di pretoriani pronti alla «battaglia contro il mondo». E’ il tempo benedettino-ratzingeriano: i talebani eretici prosperano, i cristiani languono, i vescovi tacciano e il popolo divorzia da loro. Credo che i lefebvriani (provaste a vedere come vanno vestiti: altro che teatro!) hanno trovato in Benedetto non il papa, ma il loro «papi».
 
5. Il «bene comune» tra papa e papi
Oggi il papa pubblica la sua terza enciclica «Charitas in veritate» che parla di economia e globalizzazione e quindi di dottrina sociale della Chiesa. Sembra che il punto focale sia il concetto di «bene comune» che è il cuore dell’insegnamento della Chiesa. La domanda che mi pongo è questa: come può conciliare l’affermazione solenne – a livello di enciclica – del «bene comune» con l’appoggio che il Vaticano, la Cei e i sedicenti partititi ispirati al cristianesimo hanno dato e continuano a dare a Berlusconi? Il «bene comune» come inteso dalla morale cattolica è incompatibile con tutte le leggi eversive che il governo proprietà di Berlusconi ha varato per difenderlo dalla giustizia, dal fisco, dal carcere. Esso è anche impossibile da fare combaciare con le leggi razziali sugli immigrati che comunque, in forza della Carta dei Diritti dell’ONU e del Vangelo, hanno il sacrosanto diritto di emigrare e stabilire la loro residenza dove vogliono, perché siamo tutti cittadini liberi del mondo. Se così non fosse, siamo solo burattini che giocano a fare finta di somigliare ai giganti, nani per giunta.
Il cerchio non è il quadrato e quindi il papa, il Vaticano, la Cei devono scegliere e dire apertamente da che parte stanno e devono dare le ragioni: se le ragioni sono di opportunismo come tutto lascia supporre e valutare, allora ognuno per sé e Dio per tutti. Non è sufficiente un accenno estemporaneo ad «Alcide De Gasperi, uomo integerrimo, modello dei governanti», come ebbe a dire qualche settimana fa il papa, con un velato e pudico riferimento alle orge da lupanare di Berlusconi. O il papa è in grado di parlare per nome e cognome o è meglio che taccia e si dedichi a suonare Mozart per sé e il suo gatto,  senza eccessivi danni.
 
7.  Il papa e la fede «adulta»
Per la chiusura dell’anno paolino nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il papa Benedetto XVI il pomeriggio del 29 giugno 2009,  ha detto: «S. Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi.» (Omelia dei Vespri). Ora si capisce perché cadde il governo Prodi: perché in occasione del referendum sulla procreazione assistita, boicottato dal card. Camillo Ruini, allora predecessore di Bagnasco alla Cei, dichiarò che sarebbe andato a votare perché «cristiano adulto». Veramente il dopo illumina il prima. Se questo è un modo per dire che i cattolici devono essere eterni bambini che non devono crescere mai, facciamo una bella chiesa di Peter Pan e non se ne parli più. Per noi «fede adulta» non è assolutamente intesa nel senso descritto dal papa, ma l’assumiamo nel senso dell’insegnamento del concilio Vaticano secondo che riconosce ai laici una autonomia sulle cose di loro competenza e pertinenza, come la gestione delle realtà terrestri e la mediazione politica senza dovere ricorrere anche per gli starnuti al permesso del prete di turno. Noi non ci riconosciamo in questa lettura del papa. Per quanto ci concerne, il papa ha sbagliato bersaglio e non sarebbe la prima volta.
Ultim’ora, ultima perla. Il papa ha sottolineato «l’importanza dei valori etici e morali nella politica». «Saluto – ha detto il papa – gli esponenti dell’Associazione interparlamentare “Cultori dell’etica”, la cui presenza mi offre l’opportunità di sottolineare l’importanza dei valori etici e morali nella politica».
Credo che con questo discorso pio-pio, mau-mau, il Vaticano intenda chiudere il caso Berlusconi. Leggo il presidente dei “Cultori dell’Etica” è uno dell’UDC di Cassini e di Volonté (vi ricordate? è quello delle giaculatorie), il senatore Leonzio Borea. Questa poi non l’avrei mai immaginata e nemmeno che il papa arrivasse a tanto: a tollerare come presidente dei “Cultori dell’Etica” (“E” maiuscola) uno che ha nel suo partito Casini, cattolico con plurifamiglia e Totò Cuffaro (detto Vasa-vasa) condannato per favoreggiamento mafioso. W l’Etica con la “E” maiuscola! W il papa dei «principi non negoziabili»!
 
Genova, 29 giugno 2009
 Paolo Farinella, prete

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