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La chiesa cristiana è fondata sull’amore, altrimenti non è cristiana

Stiamo nuovamente diffondendo questo materiale dello scorso anno proveniente da Londra, dall’Assemblea della Sofferenza, così chiamata per ricordare i martiri degli Amici in Europa.

Questo documento fu elaborato dopo 23 anni da quello precedente che riguardava la semplice benedizione delle coppie dello stesso sesso.

Abbiamo riconosciuto il nostro peccato per i ritardi e le limitazioni imposte dalle nostre visioni teologiche pregresse intrise di peccato e di discriminazione.

Ci siamo aperti semplicemente all’Amore di Dio per tutte le sue creature.
Buona lettura
Maurizio Benazzi

PS: Il documento e’ stato inviato anche alla radio libera valdese con invito alla diffusione al Sinodo.

(Ecumenici 1 agosto 2009) Documento ufficiale.

Traduzione di www.ecumenici.eu , Prof. A. Pinto

I Quaccheri concludono oggi in Gran Bretagna un lungo e approfondito processo di riflessione sul modo di avvicinarsi al matrimonio e alla convivenza con un compagno dello stesso sesso.

Il documento riporta le loro decisioni in questo modo: Documento numero 25 dell’Assemblea Annuale della Sofferenza del 31 luglio 2009, con riferimento al Documento numero 17 (accluso); si è tenuto un incontro lo scorso martedì pomeriggio durante il quale alcuni relatori hanno condiviso le personali esperienze dei loro anniversari e ammissioni pubbliche sugli scambi dei reciproci impegni d’amore. Questi Amici si sono sentiti sostenuti dai partecipanti ai vari incontri nei loro rapporti, ma hanno espresso rammarico sul fatto che laddove c’è un percorso chiaro e delineato a sostegno delle coppie formate da rappresentanti di sesso opposto, non sono altrettanto chiare le possibilità di riconoscimento di coppie formate da rappresentanti dello stesso sesso ed esse possono cambiare ampiamente da incontri a incontri. Amici che sentono che il loro rapporto di coppia è normale e privato piuttosto che fuori dal normale e pubblico; essi si sono sentiti chiari pionieri nel raccontare e testimoniare le loro esperienze.

Questa pubblica condivisione di esperienze nei rapporti personali ci ha spinti ad aggiungere al nostro chiaro senso che, a 22 anni di distanza dall’aver delineato alcune linee guida all’Assemblea della Sofferenza, consideriamo allo stesso modo sia le coppie formate da rappresentanti dello stesso sesso di quelle rappresentate da matrimoni di rappresentanti di sesso opposto, riaffermando la nostra visione centrale che il rapporto di coppia o il matrimonio è prodotto dal Signore e noi siamo semplici testimoni di tutto ciò. Il problema di un riconoscimento legale da parte dello Stato è una faccenda secondaria.

Noi perciò chiediamo all’Incontro della Sofferenza di prendere posizione per mettere in pratica questa presa di posizione e di mettersi d’accordo per delineare una revisione delle parti principali della fede e della pratica dei Quaccheri, in modo tale che matrimoni tra membri dello stesso sesso possano essere preparati, celebrati con testimoni, legalmente legittimati dallo Stato, tanto quanto lo sono quelli tra membri di sesso opposto. Noi ancora chiediamo all’Assemblea della Sofferenza di intraprendere con i rappresentanti dei nostri Governi di cercare di trovare un cambiamento determinante nella legislazione corrente in modo tale che matrimoni dichiarati tra membri dello stesso sesso siano riconosciuti come legalmente validi, senza ulteriori sviluppi, allo stesso modo dei matrimoni tra membri di sesso opposto celebrati nei nostri incontri. Noi non chiederemo per ora ai nostri ministri di operare contro la legge, ma è comprensibile che la legge non deve precludere loro il fatto di giocare un ruolo centrale nella celebrazione e registrazione dei matrimoni con membri dello stesso sesso.

Abbiamo ascoltato voci dissenzienti durante la fase di passaggio che ci hanno portato a prendere una tale decisione e ci è stato ricordato della necessità di esprimere tenerezza verso coloro che non sono con noi e che troveranno questo cambiamento difficile. Ma noi abbiamo anche bisogno di ricordare, inclusa nella nostra revisione della fede e pratica quacchera, quegli Amici che vivono da soli, che lo facciano o no per scelta personale.

Noi sentiamo il bisogno di spiegare la nostra decisione alle altre comunità cristiane, a comunità di altre fedi religiose e certamente ad altre Assemblee Annuali quacchere, e pregare perché ci sia un dialogo continuativo d’amore, persino con coloro che probabilmente dissentono fortemente con ciò che affermiamo come nostra interpretazione della volontà di Dio per ora e per noi.

Come conseguenza di tale decisione, Martin Ward, ministro dell’Assemblea Annuale Quacchera, ha affermato: “Questo documento è il risultato di un lungo periodo di consultazioni e di ciò che noi chiamiamo trebbiatura nei nostri incontri locali, culminate in due Assemblee Annuali di raccolta. Durante tali incontri, secondo la pratica, abbiamo ascoltato la voce di un ministro levarsi alta nel silenzio di una funzione religiosa per guidarci nell’interpretazione della volontà di Dio per una società religiosa e l’abbiamo registrata in questo documento”.

Media Information

Anne van Staveren

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La violenza vinta solo dall’amore

Ringraziamo Alberto per la testimonianza che ci propone come antitesi radicale alle logiche di violenza imperanti in questi giorni in Medio Oriente.

Ricevo e inoltro. Alberto Milazzo

TESTIMONIANZE. MARINO PARODI INTERVISTA SUOR EMMANUELLE (2008) [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) rirpendiamo la seguente intervista apparsa su “Club3”, anno XX, n. 11, novembre 2008 col titolo “Una vita accanto ai piu’ poveri”]

L’hanno ribattezzata la “Madre Teresa del Cairo”, figura alla quale viene sovente accostata.
In effetti, suor Emmanuelle e’ per tanti Paesi in via di sviluppo, a cominciare dall’Egitto, cio’ che Madre Teresa e’ stata per l’India.
Francese di origine, anche se la madre e’ belga, suor Emmanuelle Cinquin e’ una straordinaria figura di religiosa e di donna. Icona francese della solidarieta’ e del sostegno ai poveri, si e’ spenta, il 20 ottobre, nella casa di riposo in cui viveva. Il 16 novembre avrebbe compiuto cento anni.
Figura di primissimo piano nel campo della spiritualita’ mondiale, e’ stata un’affascinante “grande vecchia” lucida fino all’ultimo respiro. In mezzo alla tragedia delle bidonville africane, suor Emmanuelle ha fondato scuole, ricoveri, ospedali e centri di formazione professionale. Ha mobilitato cattolici, ortodossi, musulmani, nonche’ molti uomini di buona volonta’, formando eserciti di volontari e creando tante associazioni allo scopo.
Come se tutto cio’ non bastasse, l’infaticabile religiosa e’ stata pure un’apprezzata giornalista, nonche’ una gettonata conferenziera pronta a saltare su un aereo per testimoniare il suo impegno e la sua fede in ogni luogo.
Abbiamo incontrato suor Emmanuelle nel Sud della Francia nella casa di riposo in cui viveva dal 1993. Questa e’ la sua ultima intervista rilasciata a “Club3”.
*
– Marino Parodi: Dove ha trovato la forza per il suo impegno a favore del prossimo?
– suor Emmanuelle: Le do la stessa risposta che diedi a un giornalista, il quale, intervistandomi, mi chiedeva come potessi sopportare l’inferno delle bidonville, restando sempre cosi’ serena, addirittura felice. Ebbene, l’amore e’ piu’ forte della morte, piu’ forte del denaro, della vendetta e del male: alla base della mia missione vi e’ sempre stata questa consapevolezza. Non a caso, nelle mie bidonville ho sempre incontrato piu’ sorrisi e gioia di quanti ne abbia trovati ovunque in Europa e in America.
Ho viaggiato a lungo in tutti e cinque i continenti: nei Paesi devastati dalla guerra, dalla fame, dalla violenza, dalla prostituzione. Ebbene, dovunque ho incontrato donne e uomini capaci di lavorare per la pace e l’amore, malgrado tutto. Dovunque imperversasse la violenza, ho assistito alla fioritura della vita. Persino negli angoli piu’ bui non mancavano mai oasi di Paradiso e cio’ proprio in virtu’ dell’amore.
*
– Marino Parodi: Qualcosa mi dice comunque che lei ha pure un segreto da svelarci al riguardo…
– suor Emmanuelle: Si’, qualunque sia l’inferno nel quale siamo precipitati, e’ sempre possibile uscirne. Non solo: e’ persino possibile creare un paradiso sulla terra, benche’, naturalmente, non sara’ mai perfetto come quello che ci attende in Cielo. Basta smettere di preoccuparsi per se stessi per dedicarsi agli altri, sorridendo e donando loro la gioia. Ecco che la nostra vita diventera’ piu’ interessante e felice. Io corrispondo tuttora con donne e uomini di tutto il mondo. Molti mi fanno sapere quanto soffrono, sentendosi imprigionati in un’esistenza che a loro pare priva di significato. Al che io rispondo con questo messaggio: davvero non avete ancora compreso che la vostra felicita’ dipende da voi? Non da vostra moglie, ne’ da vostro marito, ne’ dalla bellezza o dalle dimensioni della vostra casa, ne’ dalla vostra carriera, ne’ dal vostro stipendio. Dipende soltanto da noi, dal nostro atteggiamento nei confronti della vita, dalla nostra capacita’ di ascoltare il prossimo, in una parola sola: dal nostro cuore. Sa che le dico, sulla base della mia esperienza di tanti anni di condivisione fraterna della vita di tanti poveri? Non ho mai incontrato donne e uomini piu’ felici dei miei amici delle bidonville. Prendiamo, ad esempio, l’emancipazione femminile che abbiamo conosciuto in Occidente.
Sicuramente un grande passo avanti. Tuttavia, se guardiamo alle donne del nostro Occidente moderno o postmoderno, constatiamo che esse godono si’ di margini di liberta’ per lo piu’ sconosciuti a tante donne del globo, sconosciuti del resto pure alle loro madri, nello stesso Occidente, cio’ nonostante nella stragrande maggioranza dei casi non sembrano ne’ felici ne’soddisfatte.
*
– Marino Parodi: Mentre nel Terzo mondo la situazione e’ diversa?
– suor Emmanuelle: In linea generale, direi proprio di si’. Non dimentichero’ mai, al riguardo, un’esperienza straordinaria che vissi diversi anni fa in Senegal. Mi trovavo in una capanna coi muri di cartone, in compagnia di un gruppo di donne le quali mi raccontavano in tutta tranquillita’ che, non disponendo di un lavoro, si arrabattavano raccogliendo un po’ di frutta e di verdura da vendere al mercato. Eppure, durante tutta la durata del mio soggiorno, quelle donne non cessarono un solo istante di sorridere e di divertirsi. Davvero mi sono sembrate le donne piu’ felici del mondo. Tutto cio’ e’ dovuto alla fede sincera degli africani in Dio che e’ amore, un Padre a cui la felicita’ dei suoi figli sta veramente a cuore.
*
– Marino Parodi: Suor Emmanuelle, non di rado lei e’ stata al centro di iniziative clamorose, vero?
– suor Emmanuelle: Lei si riferisce, immagino, alla lettera aperta da me indirizzata una quindicina di anni orsono al nostro beneamato Giovanni Paolo II…
*
– Marino Parodi: Si’, proprio a quella. Vogliamo brevemente spiegare di che cosa si tratto’?
– suor Emmanuelle: Si trattava di una lettera in cui invitavo l’allora Santo Padre ad autorizzare e financo a incoraggiare la distribuzione di strumenti contraccettivi in alcune regioni del globo particolarmente segnate da una certa ben nota malattia.
*
– Marino Parodi: Questa non e’ stata certo l’unica sua iniziativa eclatante.
Vogliamo ricordarne un’altra, risalente piu’ o meno allo stesso periodo, particolarmente attuale in tempi come questi, in cui tanto si parla di Islam?
– suor Emmanuelle: Avevo organizzato una colletta per permettere a una piccola comunita’ musulmana di edificare un minareto. Sono contenta di averlo fatto e lo rifarei. Infatti, la preghiera e’ un diritto che va assolutamente riconosciuto a tutti. Conoscendo il mondo musulmano da ormai tantissimi anni, sono in grado di garantire che, al di la’ di ogni apparenza e delle paure di tanti occidentali, i fondamentalisti musulmani non sono in realta’ che una piccola minoranza. Invece i musulmani, nella stragrande maggioranza, sono assolutamente aperti al dialogo e all’amore nei confronti delle altre religioni, ne’ piu’ ne’ meno di quanto d’altra parte siano i cristiani autentici nei loro confronti.
*
– Marino Parodi: L’ecumenismo e’ sempre stato, non a caso, un suo cavallo di battaglia…
– suor Emmanuelle: Sicuramente, a livello non solo teorico ma possibilmente anche pratico e questo gia’ in tempi, precedentemente al Concilio, in cui non era certo ancora di moda. Ho sempre ritenuto ogni religione ricca di luce e, per tornare ancora una volta all’Islam, non sono affatto d’accordo con coloro che pretendono di “convertire” i musulmani. Illudersi in tal senso non significa rendere un buon servizio ne’ alla fede cristiana ne’ all’Islam. Sarebbe come pretendere di sradicare un albero dalla sua terra.
*
– Marino Parodi: Proprio grazie a questo amore senza frontiere per la famiglia umana lei e’ riuscita a scuotere tante coscienze in Occidente, realizzando imprese che nessuno sino a quel punto era riuscito ad attuare…
– suor Emmanuelle: Sia chiaro che io non mi attribuisco alcun merito, il quale caso mai va a nostro Signore nonche’ agli uomini (e soprattutto alle donne) di buona volonta’. Sono partita da una semplice constatazione di fatto, per scuotere le coscienze dell’opulento Occidente: l’egoismo dei ricchi e’ in fondo affar loro, ma come e’ possibile dirsi cristiani e mettersi a posto la coscienza andando a messa, davanti ai problemi del Terzo mondo? E’ inaccettabile. Leggiamo il Vangelo di Matteo: avevo fame e mi avete sfamato… Si tratta di decidersi ad amare il prossimo: soltanto cosi’ si realizza il cristianesimo. Con queste premesse, siamo allora riusciti a motivare tanti giovani di vari Paesi occidentali a condividere per qualche tempo la vita dei diseredati del Terzo mondo.
*
– Marino Parodi: Varie associazioni da lei fondate offrono da decenni a chiunque di vivere la straordinaria esperienza di una “vacanza-volontariato” in diversi Paesi del Terzo mondo. Lei e’ da sempre una grande amica dei giovani…
– suor Emmanuelle: Certo, io amo moltissimo i giovani e le diro’ di piu’: la stragrande maggioranza di loro mi sembra assai piu’ aperta e solidale, nei confronti della sofferenza e in particolare dei poveri, di quanto lo fosse, in linea generale, la mia generazione. Oggi i giovani partono, zaino in spalla. Non hanno paura di nulla. Insomma sono meravigliosi i nostri giovani! Le ragazze, poi, se la sanno sbrigare ancor meglio dei ragazzi!
Dobbiamo veramente essere grati al Signore per il fatto di vivere in un’epoca in cui i giovani hanno compreso un punto essenziale: se vuoi vivere un’esistenza piena e autentica, non puoi far a meno di uscire da casa, varcare le frontiere.
*
– Marino Parodi: E siamo giunti pure a un importante consiglio di suor Emmanuelle per mantenersi giovani…
– suor Emmanuelle: La maggior parte della gente vive ancora rinchiusa entro i limiti della propria testa, per cosi’ dire, ossia frequentano soltanto la propria famiglia e un ristretto gruppo di amici, leggendo un solo giornale, pochi libri, non andando al di la’ del proprio lavoro. Col risultato, appunto, di finire inscatolati in un piccolo mondo. Invece, i giovani d’oggi giungono alla nostra missione con una conoscenza dell’essere umano assai piu’ profonda di quella di cui disponevo alla loro eta’. Bene, mi permetto di fare una proposta a tutti i giovani, termine che certo non e’ da intendersi soltanto in senso anagrafico: andate a vivere per qualche mese in un villaggio del Terzo mondo, oppure condividete lo stesso periodo di tempo con una famiglia completamente priva di mezzi! Vi renderete ben presto conto di aver ricevuto assai piu’ di quanto abbiate dato.

3. MEMORIA. SUOR EMMANUELLE
[Dal sito http://www.santiebeati.it riprendiamo la seguente notizia del 21 ottobre 2008]

Suor Emmanuelle del Cairo (Madeleine Cinquin), Bruxelles, Belgio, 16 novembre 1908 – Callian, Francia, 20 ottobre 2008.
Nata a Bruxelles ma francese d’adozione, avrebbe compiuto cent’anni il 16 novembre prossimo. Conformemente alla sua volonta’, le esequie avranno luogo nel piu’ stretto riserbo. Una Messa di suffragio verra’ celebrata nei prossimi giorni a Parigi.
“L’Osservatore Romano” ricorda che nel 1971, quanto aveva 63 anni, suor Emmanuelle scelse di condividere la propria vita con quella degli straccivendoli del Cairo, e per tale motivo venne soprannominata la “petite soeur des chiffonniers”.
“Parlava in modo schietto, senza giri di parole, ed era questa una delle caratteristiche che la faceva amare da tutti”, sottolinea il quotidiano vaticano.
“Nella bidonville di Ezbet el-Nakhl, al Cairo, diede tutta se stessa per far costruire scuole, asili e ricoveri. L’associazione che porta il suo nome (“Asmae – Association Soeur Emmanuelle”), da lei fondata nel 1980, continua ad aiutare migliaia di bambini poveri in tutto il mondoî.
La religiosa lascio’ l’Egitto nel 1993, a 85 anni, e torno’ in Francia, stabilendosi nella comunita’ di Notre-Dame de Sion e dedicando il suo tempo alla preghiera e alla meditazione, senza abbandonare il sostegno a senzatetto e immigrati irregolari.
Laureata alla Sorbona, suor Emmanuelle insegno’ lettere e filosofia a Istanbul, Tunisi, Il Cairo e Alessandria.
Era anche scrittrice: il suo ultimo libro, J’ai cent ans et je voudrais vous dire, e’ stato pubblicato due mesi fa.
Il 31 gennaio scorso il Presidente francese Nicolas Sarkozy l’aveva elevata al rango di Grande ufficiale della Legion d’onore.
Secondo un recente sondaggio, ricorda “L’Osservatore Romano”, era la donna piu’ popolare e amata di Francia.
“Icona della solidarieta’ e del sostegno ai poveri e agli emarginati”: cosi’ il quotidiano vaticano ha ricordato questo lunedi’ suor Emmanuelle del Cairo, scomparsa all’eta’ di 99 anni.
Suor Emmanuelle, al secolo Madeleine Cinquin, si e’ spenta nella notte fra domenica e lunedi’ nella casa di riposo di Callian, nel Var, dove risiedeva.
Fonte: http://www.zenit.org

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Le nostre radici nonviolente profonde

Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza.

1Co 13:1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.

4 L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

8 L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.

13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.

 

VEGLIA ECUMENICA PER IL CESSATE IL FUOCO IMMEDIATO A GAZA

 

Non pregare Iddio
prima della battaglia,
signor generale,
ne’ lei, signor presidente,
prima della guerra che vuol scatenare
contro un popolo di fatto innocente:
non preghi per niente.

Il Dio che vuoi pregare non sta
con coloro che armati procedono
allo sterminio di un nemico,
reale o fabbricato,
perche’ sempre Lo troverai
fra le macerie di un villaggio distrutto
dalle tue bombe,
e Lo troverai che tiene fra le braccia
il bambino che hai privato
dei suoi genitori…

Il Dio dell’amore universale
non e’ tecum,
ne’ contro di te:
quel Dio e’ contro ogni violenza

(DAVIDE MELODIA)*

 

 

*Nato a Messina nel 1920, nella sua vita è stato pastore battista (dal 1948 al 1954), pittore e poeta, maestro carcerario, giornalista, consigliere comunale e provinciale per il partito dei Verdi. L’impegno che lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza è stato però quello per la nonviolenza, un percorso di riflessione e azione iniziato durante la sua prigionia di guerra 1940-1946) e sempre legato alla sua profonda fede evangelica. È stato segretario della Lega per il disarmo unilaterale (1979) e successivamente del Movimento nonviolento (1981-83), nonché membro attivo del Movimento internazionale per la riconciliazione (MIR). Dal 1984 aveva aderito al movimento dei Quaccheri, la “Società degli amici” nata in Gran Bretagna nel XVII secolo che da sempre pone la nonviolenza come espressione essenziale della fede cristiana. Ha conosciuto Ecumenici pochi anni prima dalla morte (2006) in occasione di un servizio informativo contro gli sgomberi degli immigrati da Milano. Non ci ha più lasciati… riteniamo neanche dopo la morte.  Ce ne siamo resi conto strada facendo nella battaglia contro l’ergastolo in Italia, per la scelta esistenziale della nonviolenza, della non demonizzazione dei nostri avversari senza per questo  rinunciare alla lotta serrata ma sempre nel rispetto della vita. 
 

Segnaliamo che il vincitore del biglietto d’auguri 2008 più bello è assegnato a Massimo Aprile per l’inventiva dimostrata.

 

Le nostre radici nonviolente profonde

Leonhard Ragaz, per un’etica della politica e un giornalismo profetico

 ragaz

(VE) Quasi dimenticato in Svizzera, pressoché sconosciuto all’estero, solo il movimento del ‘68 e la teologia della liberazione

 hanno riscoperto il significato dell’opera del teologo svizzero Leonhard Ragaz, nato a Tamins, nei Grigioni, il 28 luglio 1868

 
(Markus Mattmüller) Il villaggio di Tamins, nel quale Ragaz è nato, figlio di una famiglia modesta di contadini, gli fornisce una buona illustrazione delle strutture politiche e sociali: il sistema delle cooperative nel villaggio montano, in cui gran parte del suolo è di proprietà pubblica, dove molti compiti vengono svolti in comune, in cui annualmente ad ogni famiglia – anche a quella più povera – viene assegnata una parcella di terreno. Tutto ciò rafforza in Ragaz la convinzione delle possibilità inerenti a un socialismo istituzionalizzato, a una democrazia comunitaria viva e al federalismo.
Spinto a studiare teologia solo per la facilità d’accesso a una borsa di studio, dopo alcuni semestri a Basilea, Jena e Berlino, a 22 anni diventa pastore di tre villaggi di montagna. Successivamente è primo pastore a Coira e nel 1903 viene chiamato alla cattedrale di Basilea. Fino a quel momento non si distingue in nulla dagli altri teologi liberali del suo tempo, coronati da successo e popolarità.
Nella città industriale di Basilea però, la lotta sociale, che sta raggiungendo il suo culmine, lo costringe a una presa di posizione. Nella quaresima del 1903, nasce un conflitto operaio tra i mastri costruttori edili da una parte e muratori e manovali dall’altra. Questi ultimi rivendicano una riduzione dell’orario lavorativo e un aumento dello stipendio. Uno sciopero di grandi dimensioni viene sciolto dall’intervento delle truppe cantonali e gli operai devono arrendersi. La domenica dopo Pasqua, Ragaz sale sul pulpito della cattedrale di Basilea e predica su Matteo 22, 34-35, il doppio comandamento (“Ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore… Ama il tuo prossimo…”). In quella occasione dichiara la questione operaia come problema più urgente del suo tempo: “Il cristiano deve sempre schierarsi dalla parte del debole, dalla parte di coloro che nella lotta sociale tendono verso l’alto. Il cristiano deve sapere che siamo fratelli, … non deve solo guardare a se stesso e pretendere che Dio guardi a tutti ‘gli altri’, ma riconoscere che come figli di Dio siamo responsabili gli uni degli altri.“
Per la prima volta Ragaz esprime la sua convinzione che nel movimento operaio si manifesti una forma di cristianesimo inconsapevole, istintiva. Nello stesso anno, Ragaz definisce il contrasto tra “,…la religione statica, immobile, quieta e quella che invece si muove dinamicamente in avanti. Il primo tipo vede nella religione un luogo di riposo, dove coltivare una pietà individualistica, …facendo del cristianesimo un potere conservatore fino ai nostri giorni. “I rappresentanti della seconda forma invece “sottolineano non la fede in Cristo, bensì la sequela di Cristo… Invece della chiesa come istituzione salvifica essi rivendicano il regno di Dio.“ Chiamato a Zurigo, nel 1908, come professore di teologia sistematica e pratica, Ragaz tiene una serie di corsi sulla filosofia della religione, sull’etica, sul cristianesimo e la questione sociale.
L’inizio del primo conflitto mondiale nel 1914 è considerato da Ragaz come il giudizio sulla società capitalista e militaristica, ma anche sulla chiesa imborghesita e troppo leale verso lo stato. Da quel momento in poi, l’ex comandante dei cadetti e cappellano militare diventa uno dei capi principali del movimento pacifista svizzero.
Gli anni 1914-1918 rappresentano un momento importante nell’opera politica e teologica di Ragaz. Nella discussione sulle origini della guerra, condotta anche da molti profughi socialisti, il movimento dei socialisti religiosi ha richiesto un ancoramento intellettuale più profondo del socialismo.
Gli anni della guerra hanno impresso al pensiero teologico di Leonhard Ragaz l’impronta definitiva (la stessa impressa anche al pensiero di Karl Barth): il regno di Dio non è interiore o trascendente, ma vuole trasformare la nostra società e liberare i poveri.
La sua critica alla chiesa, alla teologia e a un cristianesimo borghese, spingono ben presto Ragaz a percepire la contraddizione tra le sue convinzioni e il suo stato privilegiato di teologo accademico. Nel 1921, all’età di 53 anni, senza il diritto ad una pensione, dichiara le sue dimissioni dalla cattedra zurighese e si trasferisce alla Gartenhofstrasse, nel quartiere operaio di Zurigo-Aussersihl, dove fonda l’accademia popolare Educazione e formazione. Da allora in poi, si guadagna da vivere con le modeste entrate provenienti dal lavoro giornalistico.
Dopo questa grande svolta, Ragaz concentra le sue attività su tre argomenti principali, tutti di carattere “profano”: la formazione operaia, il socialismo e la pace mondiale.
Nel suo centro di formazione, Ragaz dibatte questioni sociali, giuridiche e politiche. In discussioni di gruppo vengono trattati libri e personaggi biblici, attualizzati nel contesto storico e contemporaneo. Dopo il 1921 non predica mai più in una chiesa.
Le sue considerazioni e disquisizioni nella saletta della Gartenhofstrasse e i suoi contributi pubblicati sulla rivista Neue Wege costituiscono, per molti anni, le sue uniche testimonianze teologiche.
L’approccio caratteristico ai testi biblici è quello di combinare la loro interpretazione biblica con quella contemporanea: soprattutto durante gli anni della seconda guerra mondiale questo modo di leggere la Bibbia conferisce a molti speranza e consolazione, ma mette anche in guardia di fronte ai pericoli politici negli anni bui della guerra.
In molti suoi articoli Ragaz prende posizione sul delicato argomento della “questione giudaica”. Ribadendo che la radice sia del giudaismo che dell’ebraismo è unica, rifiuta qualsiasi attività missionaria verso gli ebrei. Con lungimiranza condanna la notte dei cristalli, nel 1938, come atto barbarico di saccheggio del patrimonio degli ebrei. Riconoscendo già presto e condannando inequivocabilmente la “soluzione finale” nazista, Ragaz accoglie nel suo centro numerosi profughi ebrei e instaura con loro un rapporto di dialogo e amicizia.
Aderente all’ala sinistra del partito socialista, quella contraria alla guerra, Ragaz osserva accuratamente gli sviluppi in Russia e riconosce i pericoli totalitari: socialismo e violenza, nell’analisi ragaziana, si escludono. Nel 1919 con un gruppo di amici pubblica il programma socialista, nel quale prende posizione contro un socialismo totalitario, in favore del cooperativismo e della formazione. Nel 1935 il partito socialista, la cui esistenza, nella Germania nazista, è in pericolo, adotta una posizione favorevole al riarmo; Ragaz lascia allora il partito con le parole: “Resto socialista.“
Nel periodo tra le due guerre, Leonhard Ragaz è il principale esponente del movimento pacifista svizzero. Dopo avere giurato a se stesso, nell’agosto del 1914, un’impegno continuo per la pace, mantiene questa promessa fino alla fine. Il suo pacifismo è però tutt’altro che apolitico: lotta per istituzioni ancorate nel diritto internazionale e per garantire la pace a livello mondiale. Nel caso estremo, avrebbe anche acconsentito ad una polizia per la pace della Società delle Nazioni.
Sin dall’inizio del secondo conflitto mondiale, in Svizzera vige la censura di stampa, sottoposta al ministero della difesa. I commenti aperti di Ragaz alla situazione attuale nella sua rivista Neue Wege (Vie nuove, n.d.t.) non passano inosservati: le minaccie da parte ufficiale culminano presto nella precensura. Ragaz, irritato, interrompe la pubblicazione della rivista e spedisce d’ora in poi le sue riflessioni, meditazioni bibliche e commenti politici in busta chiusa al suo cerchio di lettori. Negli anni seguenti Ragaz scrive il suo commento a tutti i libri della Bibbia. Contemporaneamente (1944 e 1945) redige i due volumi sulle parabole e il sermone sul monte. Non esiste, tra le opere del nostro secolo, un’altra presentazione del messaggio di tutta la Bibbia condotta seguendo un unico filo rosso: “…il messaggio del regno di Dio e della sua giustizia per la terra.“
È assolutamente da rileggere, quest’opera monumentale (Die Bibel. Eine Deutung, Edition Exodus, Brig/Fribourg, 1990, ristampa in 4 volumi, n.d.r.), per conoscere e capire le posizioni teologiche di questa dottrina politica e sociale fondata sulla Bibbia. I rappresentanti della teologia della liberazione, nell’America Latina, hanno riconosciuto già presto in Ragaz un loro precursore.
Ragaz vede ancora la fine della guerra, la vittoria delle democrazie e la fondazione delle Nazioni Unite. Le commenta nella sua rivista ormai liberata dalla censura. Il 6 dicembre 1945 conclude la 39. annata della rivista Neue Wege. La sera del giorno dopo, all’età di 77 anni, soccombe a un arresto cardiaco.

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Come sopravvivere alla perdita di un amore

Al giornale Rai 3 di stamattina 22 novembre 2008, ore 6,45, si è detto che le femministe e lesbiche cercheranno oggi di ripetere il successo dell’altr’anno. Grazie della menzione?

Chiariamoci, a noi donne non ci paga nessuno, non siamo in tournee, non siamo attrici di nessuna telenovela o animali da circo da contenere in una gabbia:  saranno più quelle che rimarranno a casa per molte giustificate ragioni che quelle che potranno essere  in piazza. Noi ci saremo  e  con molte difficoltà economiche e personali, per dar voce proprio a quelle che non ce l’hanno, tantomeno visibilità, dati i Muri che vengono febbrilmente eretti e le Porte che si chiudono, sbattute in faccia. Non siamo per niente felici di riesibirci, gridando o in silenzio denunciando i numeri delle violenze che le donne subiscono quotidianamente in questa e in altre parti del mondo e non siamo per niente felici di denunciare, con innumerevoli difficoltà di spazio ed espressione nel farlo,  quale politica mortale di controllo, a titolo di Vita e di Bene, reprime e  imperversa sulle nostre esistenze.

Non siamo per niente grate dell’attenzione dei Media che continuano a contarci e immortalare la nostra diversità di esistenza: siamo e saremo dentro e fuori questo sistema che fa della nostra vita uno sbandieramento di “consumo”, grazie alla  “carità ” sempre più precaria del nostro lavoro e impegno. Siamo e saremo in piazza, tra tutte e tutti, a denunciare la violenza maschile, delle Istituzioni, delle Amministrazioni, del Vaticano, delle Chiese tutte che da sempre impongono l’Adorazione Perenne della santità e del martirio. Non siamo bambole insanguinate, non siamo manichini da esporre o bersagli di continue aggressioni fasciste, nè i figli che abbiamo sono bambolotti di pezza,  tantomeno le  nostre compagne  di cammino, come i nostri compagni di vita sono numeri di morti da giocare al Lotto o buttare in un cassonetto dopo aver grattato le Cifre e aver vinto un buon “pezzo” sui Media. Manchiamo volutamente di quella “intelligenza politica e folle coraggio” che  delega al potente di turno, il nostro presente e futuro, sfruttando il passato, scritto nella Costituzione Italiana e nella Carta dei Diritti Umani. Non ci preserva nessuna Cappellina o Cupola misericordiosa, continueremo a lottare e denunciare e resistere, decidendo noi quando stare in silenzio o gridare e come condurre la lotta per la libertà di pensiero e una vita dignitosa, per tutte e tutti, senza chiedere la Grazia e tantomeno dire grazie a chi sfrutta e usa, quotidianamente, la protesta. Non paghiamo e non pagheremo noi la crisi e la guerra: i conti li sappiamo fare e li facciamo ogni giorno, con un’esistenza sempre più precaria e un presente indegno, che preconizza futuri da incubo e allegri banchetti e balletti al Tavolo delle Contrattazioni: non siamo merce,  tantomeno di scambio e bottino, per nessuna e nessuno.

Doriana Goracci

 

Sono tante le storie personali che passano attraverso lo strumento della newsletter ma che non troverete mai scritte: storie di donne separate, di uomini delusi da compagne, di ragazzi in cerca di un altro ragazzo. Se riusciremo cercheremo di dare voce a queste esperienze attraverso il consiglio di libri, fermo restando che le e-mail o le telefonate servono non solo per comunicare informazioni in redazione ma anche stati d’animo e situazioni personali, per condividere insieme la vita, anche nelle pene e non solo nelle gioie.

Un abbraccio a chi scrive e telefona.

Maurizio Benazzi

– Harold H. Bloomfield, Melba Colgrove, & Peter McWilliams,
edizione italiana a cura di Antonio di Passa ed Enrico
Cazzaniga, 

Come Sopravvivere alla Perdita di Un Amore,

Edizioni AMA Milano-Monza Brianza, pp. 150;

Si tratta di un piccolo “manuale” che vuole essere un compagno per affiancarci nelle nostre diverse sofferenze causate da una perdita di relazione per diventare “persone nuove” ossia persone che continuano a vivere l’avventura della vita.
Sono tante le perdite, piccole e grandi, alcune grandissime, ma tutte acute a modo loro, che ci fanno soffrire in maniera diversa, e possono essere dolorosissime: un lutto,
la fine di un amore, la rottura di un’amicizia, un trasloco, la perdita di un animale domestico, il restare senza lavoro, una violenza subita, sono tante le ferite
che ci portiamo addosso, a volte dall’infanzia. citazione da p. 35:
“Domenica:
Dio, non mi posso trascinare in chiesa questa mattina. Ti prego, vieni a trovarmi a domicilio.”
Si può attraversare il deserto del dolore in quanto non siamo soli e possiamo rialzarci e riprendere il cammino.

Il libro non si trova nelle librerie, ma lo si può richiedere a:
Antonio Di Passa, pastore della Comunità Evangelica
Riformata di Poschiavo, Svizzera, recapiti:
Antonio Di Passa, Plazeta 36
CH – 7742 – Poschiavo
e.mail: antonio.dipassa@gr-ref.ch

 

tratto dalla rubrica Librarsi, a cura di Maurizio Abbà, della Rivista: Tempi di Fraternità – donne e uomini in ricerca e confronto comunitario,

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E bravo Pasquale !

(Ecumenici) Pochi giorni fa è uscito in libreria il testo ben curato da Pasquale Quaranta “Omosessualità e Vangelo – Franco Barbero risponde”, edito da Gabrielli. Lo trovate anche su IBS a 14 euro: nessuna scusa dunque per i nostri lettori e lettrici che in montagna o in alcune aree geografiche del sud si lamentano che non esistono – purtroppo – librerie ben fornite nelle vicinanze. 

 

Quaranta ha affinato lo stile dello scrivere e si rimane piacevolmente sorpresi dalla trasparenza, efficacia ed essenzialità della riflessione che precede la corrispondenza indirizzata a Franco Barbero con il mondo cattolico LGBT in Italia. Finalmente una voce coraggiosa che guarda in faccia la realtà senza inutili contorsioni apologetiche ma semmai con lo sguardo mirato all’analisi profonda del disagio, della sofferenza e della paura. Molto interessante è anche la postfazione di Paolo Rigliano che con la biografia apre l’ultima sezione del testo di 159 pagine complessive.

Dalle lettere pubblicate emerge una realtà di gay e lesbiche spesso incapaci di mettere insieme il mosaico di una positiva percezione di se stessi e talvolta incapaci di arrivare a un’identità di orientamento sessuale serena, vissuta nella Fede cristiana in modo maturo e consapevole. L’aspetto positivo di queste testimonianze è che si tratta generalmente di persone in fase di ricerca e di confronto anche se il pericolo paventato dallo stesso Barbero di rappresentare lui stesso in un certo senso la “carrozza della verità” o il “trono infallibile” è spesso sfiorato dai suoi interlocutori. Ma la responsabilità di ciò dipende essenzialmente dal fatto che generalmente si trova troppo faticoso un cammino di ricerca personale, esperienziale o di un approfondimento diretto ad esempio dei testi biblici e si preferisce la delega o il suggerimento continuo della guida spirituale o di quella del confessore.

Il processo di una fede adulta richiamato proprio da Barbero obbliga in qualche molto ad avventurarsi nel libro dei libri senza timore di scoprire l’erotismo del Cantico dei cantici da un lato o talune frasi dell’apostolo Paolo, figlio del suo tempo culturale e dell’antigiudaismo ormai di maniera che lascia ben poco  spazio alla tenerezza, al perdono e alla scelta degli esclusi da parte di Gesù. Ma quella del Figlio di Dio non è “un” ma “il” messaggio d’amore nonviolento e non sessista, mai escludente. Non lo fu nemmeno per il malfattore crocefisso.

Pasquale Quaranta riesce a parlare di temi come la masturbazione o quella della procreazione con un approccio ad ampio respiro. Non fa il teologo ma il giornalista. Colui che sa porre sul tavolo la sua analisi lucida ma anche consapevole della miseria intellettuale che caratterizza il panorama italiano. Sa prendersi ovviamente le sue responsabilità e non a caso i primi commenti negativi che ho letto di un paio di preti omosessuali su una mailing list, sono di per sé espressivi della situazione all’interno dell’ambiente ecclesiale: loro preferiscono l’anonimato e magari lo “sfogo” sessuale nella clandestinità piuttosto che esprimere posizioni di denuncia a viso aperto. Si potrebbe perdere del resto –  anzi con molta probabilità – il posto di lavoro…

Coloro che esprimano queste valutazioni senza aver mai letto il libro non sono persone serie. Vogliono sentenziare giudizi sul modo di fare, la “prassi” hanno scritto di Quaranta e Barbero. Ma non mi risulta che Quaranta e Barbero siano agli occhi di Dio (quelli delle tonache a noi francamente non interessano poi molto…) meno amati del Papa, dei sinodali valdesi o di qualche vescovo ortodosso.

E’ stato scritto nel libro di Quaranta che le lettere inviate a Barbero sono uno spaccato delle dinamiche dell’auto-oppressione e dell’avvilimento, dell’interiorizzazione di tutti i giudizi squalificanti l’attività affettiva  LGBT che di fatto circolano in famiglia, a scuola, in oratorio, nella chiesa o fra i papaboys. Sono d’accordo ma non mi è molto chiara la scelta proposta come alternativa, con l’affermazione generica di “popolo di Dio”. Si corre il rischio di creare sulla carta un’illusione che da qualche parte vi siano comunità pronte a celebrare il matrimonio omosessuale e/o a ordinare/consacrare pastori apertamente omoaffettivi.

Siamo in Italia e non in Canada o nell’Europa settentrionale. Con tutto il rispetto, l’ammirazione, la stima e l’attenzione che ho ad es. verso le comunità di base ritengo che il percorso personale di Barbero e quello comunitario di Viottoli a Pinerolo dimostrino semmai la difficoltà del cammino di crescita, i tempi lunghi e spessi del tutto incerti. Dobbiamo invece come credenti saper pronunciare come fece il IV Concilio, Lutero e molti altri ancora a oriente e a occidente che anche “fuori dalla chiesa” c’è la salvezza, poiché il soffio santo agisce nei credenti nella sua libertà, senza discriminazioni. L’amore divino ha, infatti, come direzione tutte le creature umane senza distinzioni di sorta, compresa quella dell’orientamento sessuale.

Ciascuno di noi deve saper dare fiducia al fratello e alla sorella, aiutandola – per quanto ci sia possibile – nello sviluppo autonomo della crescita dell’autostima e della relazione diretta con Dio. E’ solo Lui la nostra roccia, il nostro punto di riferimento affidabile e allo stesso tempo la nostra forza, di fronte agli smarrimenti e alle contraddizioni, fra istinto e creatività innate.

La nostra consapevolezza di credenti si fonda proprio su questa capacità di Dio di trasformarci nel tempo. Di sentirci amati anche quando si è nella distretta. Di costruire progetti che contrastino ad esempio violenza e pornografia con scelte di amore per un partner, pur in assenza di quadro normativo nel paese in cui viviamo e di modelli culturali latini. Viviamo in un paese in cui c’è ancora bisogno che un Pasquale Quaranta dica al Presidente del Consiglio di turno: perché ci negate di amare alla luce del sole come fanno gli altri? E’ questa la mia Patria e sono ancora un cittadino uguale agli altri?

Il nostro suggerimento è di acquistare il libro domani mattina stessa sul nostro sito www.ecumenici.eu , utilizzando il link per IBS. Aiuterai Pasquale, Ecumenici e le voci libere, fuori dal coro.

E bravo Pasquale!

Maurizio Benazzi

 

 

Innocenzo Pontillo ci segnala il prossimo appuntamento segnalato da Gionata: http://www.gionata.org/eventi/segnalazioni/7-9-novembre-2008-a-firenze-convegno-refo-su-chiese-e-omosessualit.html

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Solidarietà a Famiglia cristiana

La newsletter Ecumenici, principale gruppo di discussione laica in Italia per ogni Fede vivente, si rende conto dell’importanza del dibattito intorno alla polemica sollevata dagli organi governativi contro Famiglia cristiana e fa proprio l’appello del suo lettore Pierangelo Monti, assicurando che sono molte le lettere che ci pervengono in redazione per una chiara presa di posizione in favore del periodico.

Come protestante non posso non dire agli amici cattolici di Famiglia cristiana continuate a seguire il Vangelo e non le sirene del potere. L’amore di Cristo non può essere compensato dalle monete di Cesare!

 

Pace e Grazia

 

Maurizio Benazzi

Redazione di Ecumenici

http://it.groups.yahoo.com/group/newsletter_ecumenici

www.ecumenici.it

 

 

 

Cari amici,

vi scrivo in merito alla polemica di questi giorni tra Famiglia Cristiana, governo, Vaticano e organi di stampa. Mi sembra una questione rilevante, da non lasciare cadere.

Gli editoriali di Famiglia Cristiana, in particolare i due dell’ultimo numero – 33 del 17 agosto –critici verso l’operato del Governo Berlusconi, hanno suscitato un acceso dibattito a vari livelli (li trovate allegati insieme al prossimo editoriale firmato da Beppe Del Colle). 

Sulla decisa presa posizione del principale settimanale cattolico c’è stato due giorni fa anche un intervento del direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Lombardi, che si presta a differenti interpretazioni: infatti giornali e telegiornali hanno riportato la notizia tirandone la valenza a destra o sinistra, per influenzare il giudizio specialmente dei cattolici.

Già più di un mese fa ho scritto così al direttore di Famiglia Cristiana, per esprimere il mio apprezzamento per gli articoli del suo settimanale, contrari al pacchetto sicurezza del Governo, decisamente xenofobo e militarista: “Sono d’accordo con voi sia come cittadino che come cattolico, cioè in nome della Dichiarazione dei diritti umani e della Costituzione, che ricordiamo nel 60° della loro proclamazione, e in nome del Vangelo. Per troppo tempo si è sottovalutato la strisciante subcultura dell’avversione alla diversità culturale e religiosa, l’avidità materiale, la paura di perdere i privilegi propri di chi vive nella ricca Europa. La maggioranza del popolo italiano, formato dalla televisione, sta dando retta ai politici che antepongono alla solidarietà fraterna e all’uguaglianza dei diritti, la sicurezza della proprietà privata. Così anche il ceto medio-basso della nostra società pensa che a minacciare la giustizia e la pacifica convivenza non sarebbero i ricchi, che si sono presi e prendono gran parte dei beni della Terra, ma i poveri, gli oppressi, coloro che faticano a sopravvivere.  

Infatti i ricchi extracomunitari vengono accolti, mentre gli stranieri, poveri cristi, che arrivano in Italia senza ricchezze, sono respinti: oggi anche la famiglia di Gesù di Nazareth, in fuga dal suo paese, sarebbe respinta alla frontiera. Ho letto che i cattolici praticanti, in quanto a pregiudizi negativi e scelte di interventi verso immigrati e Rom, non si differenziano dagli altri. Questo è veramente grave.

I seguaci di Cristo non dovrebbero forse amare tutti, farsi ultimi e servi di tutti, a imitazione del Figlio di Dio, che, per realizzare il regno di giustizia e di pace, da Dio si è fatto uomo? Vi incoraggio dunque a continuare nell’opera di formazione delle famiglie cristiane, senza tentennamenti, senza farvi bloccare dalle critiche dei benpensanti benestanti. ”

Don Antonio Sciortino mi ha risposto ringraziando per il mio incoraggiamento, aggiungendo che “altri hanno scritto inviando solo insulti e invitando a boicottare Famiglia Cristiana”. Questo scriveva il direttore un mese fa.

C’era da aspettarsi che arrivassero giudizi e pressioni sul più diffuso giornale cattolico, che i sostenitori della destra al governo vorrebbero favorevole alla linea governativa o al di fuori della politica. Perciò, a fronte della decisa critica antigovernativa di Famiglia Cristiana, i tanti organi d’informazione filogovernativi, hanno presentato faziosamente e ipocritamente la dichiarazione di Padre Lombardi addirittura come scomunica, censura, presa di distanza dalla rivista.

Letteralmente  il portavoce del Vaticano ha detto: “Il settimanale ‘Famiglia Cristiana’ è una testata importante della realtà cattolica ma non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana. Le sue posizioni sono quindi esclusivamente responsabilità della sua direzione”.

Vedete come i titoli dei giornali hanno dato l’informazione ai lettori: ‘Il Giornale’ di ieri titolava: “Attacchi al governo, il Vaticano scomunica Famiglia Cristiana: ‘Non parli per la Chiesa’”, poi cominciava così l’articolo: “Dopo le tirate contro il «presidente spazzino», il «paese da marciapiede», contro «l’inutile gioco dei soldati» e sui timori di «rinascita sotto altre forme del fascismo» arriva, pesante come un macigno, la reprimenda del Vaticano. Una presa di distanza che, al di là delle interpretazioni, ha il sapore aspro della censura.” Anche ‘Il Tempo’ parla di “scomunica ufficiale della rivista dei Paolini” nell’articolo titolato “Famiglia Cristiana isolata dalla stampa cattolica” (poi però non dice quale). ‘La stampa’ del 14 agosto titola “Famiglia cristiana, stop del Vaticano. La Santa Sede prende le distanze dopo l’affondo del settimanale dei Paolini”. Rainews 24: “Il Vaticano a Famiglia Cristiana: non è la nostra linea, nè quella della CEI. Il Vaticano prende le distanze da Famiglia Cristiana e dai suoi scontri con il governo”. Panorama: “Il Vaticano scarica Famiglia Cristiana: non parla a nome della Santa Sede”. Stesso titolo aveva l’articolo de Il Manifesto di ieri.

Dopo questi interventi e quelli dei politici del Pdl soddisfatti per le parole di P. Lombardi, il direttore di Famiglia Cristiana ha commentato all’AGI: “Mai ci siamo sognati di rappresentare ufficialmente il Vaticano o la Cei, che hanno i loro organi ufficiali di stampa: l’Osservatore Romano e l’Avvenire. La dichiarazione di padre Lombardi e’ formalmente corretta, noi come Famiglia Cristiana ci muoviamo in perfetta sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa. Manifestiamo il nostro libero e autonomo giudizio sui fatti di attualità e di cronaca ma siamo sempre stati perfettamente allineati con il magistero della chiesa. Chi vuole portare questa dichiarazione della Santa Sede come una sconfessione di Famiglia Cristiana in toto credo faccia una operazione scorretta”.

Giustamente Don Sciortino nelle scorse settimane, dicendosi meravigliato delle reazioni del centrodestra, ha rivendicato ha spiegato la sua posizione come un “diritto dei singoli cittadini a valutare il governo sui singoli provvedimenti”  in libero dibattito e libero confronto. Questa del resto è sempre stata la linea di Famiglia Cristiana, e, come ha detto il suo condirettore don Giusto Truglia “quando ce la prendevamo con il centrosinistra, i parlamentari che adesso si stracciano le vesti lodavano Famiglia Cristiana”.

A questo punto credo sia necessario un chiarimento da parte del Vaticano e della CEI, perché le parole del direttore della sala stampa della Santa Sede “Famiglia Cristiana non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della CEI”, possono essere un’ovvia precisazione di competenze, ma anche una presa di distanza, quasi a dire che la linea di Famiglia Cristiana non è quella del Vaticano, come hanno scritto nei titoli ‘Il sole 24 ore’, ‘Il corriere della sera’ e ‘L’unità’.

Spero che le gerarchie ecclesiastiche neghino di volere censurare la linea editoriale di Famiglia Cristiana e anzi ribadiscano i principi evangelici della nonviolenza, dell’equa distribuzione dei beni, della difesa degli ultimi e della libertà di espressione. Perché questi sono i valori in gioco in questa querelle.

Nel ribadire il mio appoggio a Famiglia Cristiana, mi unisco ai messaggi di solidarietà inviati da alcuni missionari Comboniani e da Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace (che trovate allegati con l’aggiunta di un articolo di Nigrizia di p. Claudio Crimi, missionario comboniano, responsabile dell’Associazione Comboniana Servizio Emigranti e Profughi).

Invito anche voi a fare altrettanto, inviando un messaggio al direttore o alla redazione: direzionefc@stpauls.it , famigliacristiana@stpauls.it .

Cordialmente.

 

Pierangelo Monti

pierangelo.monti@fastwebnet.it

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Fra le molte lettere arrivate a ecumenici@tiscali.it eccone una significativa:

Buongiorno. Sono Asmah M.Teresa Paciotti e mi onoro di far parte della confraternita sufi Jerrahi Halveti.
Seguendo le orme del mio Maestro Gabriele Mandel, sono a favore dell’ecumenismo, del dialogo, dell’amore universale.
Siamo uomini e donne appartenenti ad una stessa razza: quella umana. Fino a che il colore della pelle  diventerà importante non più del colore degli occhi o dei capelli, non potremo affermare di vivere in un mondo civile. Il pacchetto sicurezza del governo non fa altro che sottolineare le differenze di nascita, di cultura e di pensiero e la situazione che si sta creando in Italia mi fa tornare in mente i racconti di mio nonno riguardo ai tempi del fascismo: non c’era liberta di pensiero, se si esprimevano opinioni che andassero contro quelle del governo ti aspettava l’olio di ricino o le randellate. E oggi, con la MILITARIZZAZIONE dello Stato, con lo “schedare” le persone che non si fregiano del titolo di “italiano”,si rischia di tornare a quei tempi oscuri.
Tutta la mia solidarietà a Famiglia Cristiana e l’ammirazione per essere stati capaci di esprimere le proprie opinioni senza farsi chiudere la bocca dall’olio di ricino del governo o di qualsiasi altro organo di potere.
Asmah Maria Teresa Paciotti

Azzurrocielo1@hotmail.it

“Egli è Colui che ha creato l’udito, la vista e i cuori. Eppure ben raramente Gli siete riconoscenti.”

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Una pietra vivente dell’ecumenismo

L’articolo è scritto da un cattolico e la profezia di cui fa cenno l’autore si è realizzata non tanto in senso confessionale ma in quello più propriamente ecumenico. Oscar Romero non è mai stato beatificato da Roma, per motivi politici, ma proprio per questo è divenuto pietra vivente dell’ecumenismo interconfessionale e fra i popoli. Martire riconosciuto non solo ufficialmente da luterani e dai veterocattolici ma da tutti coloro che si identificano nel dialogo fra le religioni, in quello interconfessionale e coi non credenti.

E’ il simbolo di una Fede che non si arrende al potere e alla violenza da esso esercitato. Istituzionalmente o tramite fronde armate. Che non rinuncia mai al vincolo universale degli esseri umani in virtù dell’essere tutti figli di Dio e in senso più strettamente cristiano nel vincolo della Fede nel Figlio di Dio. Anche contro l’Impero e i suoi rappresentati religiosi. L’esercito e i poteri forti. Dai tempi di re Erode fino ad oggi.

 

Oscar Romero è a ben vedere un rappresentante della teologia politica più alta che il cristianesimo abbia saputo esprimere nei tempi moderni. In tal senso è un esempio da seguire. Un cattolico che sa far luce anche nel triste buio delle stanze vaticane e nel clima di nuovo fascismo strisciante in Italia. Con Oscar Romero non temiamo infatti di riaffermare la nostra universalità di Fede vivente. I confini fra cattolici o protestanti non hanno – in questa prospettiva – alcun senso di divisione, ma di reciproca inclusività e continuità nelle diverse manifestazioni libere dello Spirito.

 

Non preghiamo Monsignor Romero come cristiani ma conformi all’invito evangelico preghiamo semmai Colui che gli ha dato la forza per aver scritto pagine di testimonianza esemplare. Siamo certi infatti che anche il cattolicesimo contemporaneo saprà dare nuovi modelli di vita cristiana alle generazioni che verranno e che il ramo continuerà a portare i suoi frutti.

 

Perché la Benedizione del Padre scende su tutti i suoi figli e le sue figlie. E  -a ben vedere – poco importa anche se si chiamano cristiani oppure no. La libertà di Dio è il valore portante su cui costruiremo le nuove pagine di storia di tutta l’Ecumene. E’ anche la nuova vita di cui attendiamo impazienti l’inizio. Possiamo al momento vedere solo dei bagliori di luce…

 

L’amore pieno non tarderà comunque ad abbracciarci. Per chi crede ma anche chi non crede, secondo disegni che non sappiamo ancora leggere in tutta la loro bellezza.

 

Ma stiamo entrando già nel campo di quello che i teologici chiamano “il salto”. E rimaniamo pertanto fermi a questo livello. Quello che tutti possono capire e discutere.

 

Maurizio Benazzi

 

 

 

Oscar Romero: il sacrificio di un uomo giusto

Monsignor Romero, l’arcivescovo di San Salvador, aveva deciso di non chiudere gli occhi davanti alle sofferenze del suo popolo. Aveva deciso di reagire con l’arma della denuncia ai responsabili dei crimini commessi contro i più deboli e gli indifesi. Nel corso della sua ultima omelia pronunciò queste parole: “Non uccidere!… Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine che sia contro la legge di Dio… Nessuno deve adempiere una legge immorale! […] Vogliamo che il governo si renda conto sul serio che non servono a niente le riforme se sono macchiate con tanto sangue… In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: Basta con la repressione!”. Ma furono proprio invettive come questa, rivolte ai potenti e ai signori della guerra, a segnare la sua condanna a morte.

Il Salvador degli anni ’70-’80 è un paese turbolento, tormentato da dissidi interni e da scandalose ingiustizie sociali. Dall’inizio del secolo una ristretta cerchia di latifondisti esercita un potere tirannico con l’aiuto dei corpi militari e paramilitari, ed impone lo sfruttamento di terre e contadini “senza il benché minimo riguardo per le effettive esigenze del paese e della popolazione”.

Alla reazione delle forze sociali che reclamano giustizia e diritti, le istituzioni e l’estrema destra rispondono con i sequestri, le torture e le stragi di coloro – sindacalisti, operai, avversari politici o semplici campesinos – che osano anche solo timidamente opporsi allo status quo. E mentre il terrore viene elevato a sistema di governo, gli Stati Uniti continuano vergognosamente ad inviare nel piccolo stato centroamericano armi e istruttori dell’esercito per sostenere la repressione militare.

In quegli anni di Guerra Fredda la Casa Bianca è ossessionata dal pericolo che la “contaminazione comunista”, dopo l’esempio di Cuba, si possa espandere in tutta l’area centroamericana. Inoltre, nel 1979 le preoccupazioni vengono ulteriormente alimentate dal successo della rivoluzione nel vicino Nicaragua, dove i sandinisti riescono finalmente ad abbattere il regime filoamericano di Somoza. Ed è proprio in questo contesto di miseria e violenza armata che si colloca la coraggiosa esperienza pastorale di Monsignor Romero.

Ordinato sacerdote nel 1942, fin dai tempi della sua formazione in seminario il futuro arcivescovo è considerato da tutti un uomo tranquillo e prudente. Anzi, dal punto di vista teologico e politico, il suo spirito conservatore e tradizionalista lo spinge a guardare con preoccupazione la scelta di una parte della Chiesa latinoamericana di schierarsi a fianco delle popolazioni oppresse. L'”opzione per i poveri” diventa in quegli anni un pilastro della nuova dottrina sociale della Chiesa, la controversa “Teologia della Liberazione” che si ispira alla linea progressista del Concilio Vaticano II.

Ma Romero è innanzitutto un sacerdote devoto. Ben presto, il suo zelo nell’attività pastorale e l’obbedienza alle gerarchie clericali gli valgono una rapida ascesa ai vertici ecclesiastici locali, finché nel 1977 gli viene affidata la diocesi di San Salvador. La nomina ad arcivescovo della capitale non turba minimamente le classi dirigenti del Paese; neppure i militari si sentono più di tanto “minacciati” da un uomo di carattere mite che ha sempre dimostrato rispetto e deferenza verso il potere costituito.

Tuttavia, nel 1979 Padre Rutilio Grande, uno tra i più stimati collaboratori di Romero, viene barbaramente assassinato da membri degli squadroni della morte per aver abbracciato la causa dei contadini sfruttati e massacrati. Il fatto suscita nell’arcivescovo un dolore immenso per la perdita dell’amico, ma anche un profondo senso di indignazione per le sempre più frequenti vittime delle “mattanze” squadriste.

Ancora oggi, sono in molti a ritenere che dopo quel tragico evento il nuovo vescovo subisca una vera e propria conversione, arrivando a considerare l’assassinio un atto contro la Chiesa e modificando il suo giudizio sui detentori del potere in Salvador. Cosicché, da quel punto in avanti il Romero spirituale “cultore di studi teologici”, da tutti conosciuto come un uomo disimpegnato politicamente e socialmente, si trasforma sorprendentemente in accanito difensore dei diritti del suo popolo oppresso.

La Cattedrale diventa il luogo in cui al commento delle letture bibliche segue l’elenco puntuale, dettagliato, anagrafico dei desaparecidos, degli assassinati della settimana e, quando possibile, anche dei loro assassini o mandanti. Romero rivolge le sue accuse contro il clima di violenza e intimidazione creato dal Governo e si schiera apertamente a favore dei meno abbienti.

Mentre vengono istituite diverse commissioni diocesane in difesa dei diritti umani, dal pulpito il vescovo continua ad inchiodare alle loro responsabilità il potere politico e quello giudiziario, spendendosi molto anche all’estero per far conoscere all’opinione pubblica internazionale la reale situazione vigente in Salvador, tanto da diventare in poco tempo “il personaggio radiofonico più ascoltato, ma anche il più odiato dall’oligarchia terriera e dal regime”.

Intanto però la repressione si fa via via più feroce. Le persecuzioni contro gli oppositori e i contadini che domandano giustizia e riforme agrarie aumentano in numero e di intensità, seminando il panico tra la popolazione. All’interno della stessa Chiesa salvadoregna molti sacerdoti, intimiditi dal clima di terrore o per ragioni politiche, cominciano a prendere le distanze da Monsignor Romero e non esitano ad attaccarlo con accuse calunniose che lo dipingono come un “incitatore alla lotta di classe” o un “sostenitore di un governo socialista di contadini e operai”. Nel maggio del 1979, a mezzo di una petizione ufficiale, alcuni alti prelati della chiesa locale arriveranno persino a chiedere con urgenza al Sant’Uffizio l’adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti del riottoso vescovo di San Salvador.

Passa un altro anno, ma il destino di monsignor Romero è ormai segnato: i suoi nemici, sempre più numerosi in tutti i livelli delle istituzioni, lo vogliono morto. L’epilogo si consuma il 24 marzo 1980. Nella cappella della Divina Provvidenza durante la messa vespertina, l’arcivescovo ha appena sollevato il calice. In quel preciso istante viene raggiunto mortalmente dai colpi di un sicario giunto in chiesa per ucciderlo.

A parecchi anni dalla sua morte la profezia si è realizzata: “se mi uccideranno – aveva detto – risorgerò nel popolo salvadoregno”. Ancora oggi, dappertutto, la gente lo ricorda e lo prega chiamandolo “San Romero d’America”.

Andrea Necciai.

“La civiltà dell’amore non è un sentimentalismo, è la giustizia, la vita… Una civiltà dell’amore che non esige la giustizia degli uomini non sarebbe una vera civiltà ma una caricatura dell’amore, in cui si vuole dare sotto forma di elemosina ciò che si deve già per giustizia.”

Oscar Arnulfo Romero

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