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Dentro l’Opus Dei…

Mi sono chiesto spesso come possano convivere dentro la chiesa di Roma le Comunità Cristiane di Base (presto in un interessante Convegno Nazionale *) con la centrale di potere di Comunione e Liberazione o ancora con l’Opus Dei.  A dir il vero sappiamo poco di quest’ultima organizzazione. C’è chi ha approfondito l’argomento e ne parla a Magenta (MI), in un bar che si trasforma in Centro culturale: ha raccolto materiale e testimonianze dirette di persone che sono state coinvolte in passato recente o sono tutt’ora inserite nella struttura, ormai “segreta” fino ad un certo punto. Credo che valga la pena partecipare o acquistare il libro. Continueremo a portare rispetto e stima profonda alle CDB ma non potremo più eludere la domanda che ci sorge spontanea…

Perché siete fedeli ancora a Roma?  Ora sapete… Questo non è affatto un invito a diventare Valdesi o altro ancora, ma a ricercare una autonomia di riferimento ecclesiale distinta. Un impegno appunto della Speranza. Del futuro che è già qui … basta solo un po’ di coraggio. Nessuno ha in realtà bisogno di eroi ma di concreti passi verso la Verità e la Luce.

Questa è un’esigenza dell’Ecumene intera.

Partecipa anche Ecumenici – Si ringrazia Sergio Prato e i volontari delle Rose di Gertrude 

* 32° INCONTRO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE che si svolgerà nei giorni 30/31 ottobre e 1 novembre 2010 a Borgaro Torinese (TO) presso l’Hotel Atlantic e che avrà per tema: “In un tempo di sopraffazione e di precarietà… Date ragione della speranza che è in voi ” – Info presso la Comunità di Viottoli

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Un’altra chiesa?

LA RICCHEZZA DELLA POVERTA’


Poveri sono gli uomini tutti; ma beati sono solo quelli che lo riconoscono e non negano questa verità del loro essere, solo quelli che non cercano disperatamente e in modi vani – perseguendo ricchezza, autosufficienza e potere – di vivere come se non lo fossero; beati sono quelli che a partire da questa riconosciuta condizione di povertà, stabiliscono il loro rapporto con Dio e con gli altri uomini.
In questo senso la povertà non è la disgrazia di qualcuno, ma è la grazia di tutti, in questi tempi cosi balordi e disuguali, tempi nei quali sempre di più si concentrano le ricchezze nella mani di pochi e, sempre di più, dilaga la miseria e la fame nel mondo.
Non ci potrà essere pace sulla terra finché ci sarà un solo povero umiliato e offeso nel Mondo e non ci renderemo conto che il “benessere” dell’Occidente è un’ingiustizia mondiale e che la civiltà del consumismo è un insulto a tutti i poveri della terra.

Da “ La ricchezza della povertà” di padre David Maria Turoldo

Difficile non apprezzare la schiettezza di Don Farinella ma temiamo che presto dovrà fare i conti col “licenziamento” in tronco: prenda umilmente atto che non esiste un’ altra chiesa (salvo che nelle menti infantili). La chiesa o meglio le chiese sono quello che sono. La cosa importante è uscirne, senza rimpianti. Conservando la Fede. Questo era il sogno o meglio la visione ispirata di George Fox quando propose il libero Amore di Dio. Dovette subire otto arresti e periodi duri di carcere ma la sua semenza oggi porta frutti…

Il cinismo dell’eminenza

 

Il 19 febbraio 2010 il cardinale Tarcisio Bertone è andato al convegno di Rete Italia  del filibustiere di comunione e liberazione Roberto Formigoni a parlare – oh, numi! – di etica.  La compagnia era all’unisono perché tutti di definiscono cattolici con tanto di griffe. Cattolici specchiati di integerrima coerenza. Al solo vederli uno s’ispira al cielo, se poi li avvicina freme di santità, se poi li sfiora il miracolo è assicurato.

Bertone è quello che ha manovrato per fare fuori Boffo e non ha esitato a servirsi fare un contratto di omicidio con il killer Feltri attraverso i buoni uffici di Berlusconi, notoriamente uomo di specchiate virtù cristiane. Bertone è quello che in nome dell’etica ha cercato di fare le scarpe a Bagnasco e appropriarsi di Avvenire e della tv Sat2000 di proprietà della Cei. Bertone è quello che ha provato in tutti i modi, riuscendovi egregiamente, a commettere atti impuri con Berlusconi pur di mantenere un rapporto privilegiato con il governo per averne utili immediati.

Bertone non si è posto il problema morale dell’etica personale del presidente del consiglio né tanto meno dell’etica delle leggi che il governo da lui sostenuto ha varato come quella contro l’umanità che dichiara  e lo stesso insegnamento della Chiesa che dichiara «la clandestinità» reato; come quella dello scudo fiscale che premia gli evasori, le mafie e i corrotti a scapito degli onesti costretti a pagare fino all’ultimo centesimo.

Partecipando ad un convegno di una parte politica, personificata da Roberto Formigoni, Bertone ha gettato la maschera ne gliene rimasta ancora qualcuna di riserva. Formigoni è il governatore della Lombardia, ma prima ancora è un «consacrato» di Comunione e Liberazione e come fratello di questa sètta purulenta egli ha privilegiato gli affari e le commesse della Compagnia delle Opere, vera holding del malaffare, seconda solo all’Opus Dei, un covo di malfattori e una tragedia per la Chiesa.

«Quella politica è una vocazione al bene comune e alla salvezza della società». Con queste parole forse il cardinale si riferiva alle 19 leggi «ad persona» fatte approvare da Berlusconi e con l’appoggio convinto e certo di tutti i suoi servi cattolici, specialmente quelli che stanno dalla parte di Formigoni, nipotini di don Giussani. Forse si riferiva allo scandalo in quei giorni montante della protezione civile di Bertolaso. Forse si riferiva alla rete di malaffare sempre in materia di corruzione ordita dal «gentil’uomo» di sua santità, Gianni Letta, sottosegretario al governo e aspirante alla presidenza della Repubblica.

Passa quindi a citare don Sturzo: «La missione del cattolico in ogni attività umana, politica economica […] è tutta impregnata di ideali superiori, perché in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa». (LUIGI STURZO, Politica e Morale, Bologna, 1972, p. 208). Spero che prima di citare don Sturzo, l’eminenza si sia fatto i gargarismi con l’acqua benedetta perché se c’è una persona che non può citare è proprio il prete di Caltagirone che la Segreteria di Sato ha sacrificato sull’altare delle convenienza al fascismo, mandandolo in esilio. Mussolini ha minacciato, il Vaticano ha ubbidito. E’ orripilante che l’istituzione ecclesiastica prima massacra gli uomini liberi e pensanti e poi quando sono morti, li cita come se niente fosse, additandoli ad esempio.

«Ideali superiori». A sentire certe espressioni viene il voltastomaco, specialmente da uno che si è affrettato a tirare fuori d’impaccio Berlusconi nello stesso momento (mai sincronismo fu più tempestivo) in cui la Corte Costituzionale dichiarava illegittimo il «lodo Alfano». Forse erano superiori gli ideali che ispirarono l’altro cardinale, Ruini (di nome e di fatto), che riceve Berlusconi a colazione per sistemare le candidature della regione Lazio? Forse sono superiori gli ideali che animano gli affari della Compagnia delle Opere del scompagnano Formigoni?

«Ideali superiori»! Dica il cardinale quali ideali ispirano i cattolici che militano nella schiavitù di Berlusconi, appoggiando ogni suo sopruso e illecito. Dica come giustifica Casini che per cinque anni ha governato contro ogni parvenza morale e partecipando attivamente ad ogni immoralità di fatto e di diritto.

Come si può impunemente parlare di «Ideali superiori» al convegno di una cricca che ha fatto voto di furto, di corruzione e di indecenza politica? Come può continuare ancora a ritenersi cattolico chi si serve della cosa pubblica per fare affari privati? Perché non una parola sull’inganno del terremoto in Abruzzo? In nome di quali principi cattolici il Vaticano continua a sostenere un governo che è esattamente l’opposto di tutto quello che il cardinale ha detto nel circolo di Formigoni? Perché il Vaticano appoggia sempre i corrotti, i corruttori, i ladri, i manipolatori della coscienza, gli immorali e gli assassini del bene comune?

Tra gli indagati per la corruzione della protezione civile vi sono tre signori nominati dal papa «gentiluomini»: perché il papa non ritira la nomina a questi immondi corrotti profittatori della sofferenza di povera gente che oltre al terremoto hanno dovuto subire i lazzi e i frizzi di chi ha si è arricchito sui morti? Perché il papa non ritira la nomina a Gianni Letta che emerge sempre più come il coordinatore della rete di corruttela?

Sig. Cardinale, per favore, ci faccia un piacere semplice: se ne vada in Cirenaica, o almeno taccia e ci risparmi i suoi pistolotti etici. Tanto, mi creda, nessuno la tiene da conto.

Paolo Farinella

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Babilonia

“Stiamo parlando di persone che non hanno ancora sottoscritto la dichiarazione sulla libertà di religione e il decreto sugli ebrei” Così si esprime Il teologo cattolico Hans Kueng sugli ultratradizionalisti lefebvriani riammessi in Vaticano, avendo come punto di riferimento specifico i documenti conciliari della chiesa di Roma.

Non si tratta a ben vedere e ad avviso di questo illustre intellettuale critico di un sostanziale riposizionamento conservatore o restauratore di una chiesa (sempre più dai caratteri locali o meglio particolari) ma di una messa in discussione dei contenuti che hanno basato ossia fondato e alimentato il dialogo negli ultimi decenni con le altre religioni e le altre confessioni religiose.

L’immagine della chiesa moderna nel mondo. E non soltanto quindi il rapporto che intercorre con gli ebrei…

Francamente, da più parti, ci si chiede – a solo titolo di esempio – che valore autentico possano avere le scuse espresse da Bernad Fellay della Confraternita di mons. Richard Williamson, noto  negazionista, per le interviste di questo spregiudicato e diabolico religioso rilasciate recentemente ai media.

Per Roma da domani non sarà nemmeno più sufficiente l’elezione – già avvenuta – di un patriarca moscovita ultraconservatore e reazionario al fine di promuovere un cammino solitario di progressiva integrazione con Mosca (già esclusa in una recente intervista dallo stesso Kirill, anche se non si escludono – a priori – reciproci scambi di visite pastorali o intese su singole tematiche etiche).  Che il Papa parlerà solo di omosessualità da condannare e di aborto è possibile ma non dimentichiamoci che Roma per sua propria natura tende ad acquisire e gestire denaro e a condizionare le lobbies politiche internazionali, non solo nel sud Europa. E difficilmente potrà sperare di farlo ad est.

Si insinua il dubbio – sempre più insistente per molti osservatori – che il Vaticano abbia imboccato una via senza alcuna uscita e che serviranno a poco le attuali sostituzioni in Olanda nei confronti dei preti e vescovi liberals così come in altri paesi dei cinque continenti. La bancarotta della chiesa di Roma negli States è un dato di fatto che condiziona fortemente il suo agire. Non c’è alcun otto per mille – grazie a Dio! – negli USA.

Il problema tutto interno al cattolicesimo è la tenuta complessiva di questo sistema gerarchico e il potere complessivo che lo caratterizza ancora oggi. L’organizzazione insomma. Quello che per molti e per circa due millenni hanno individuato proprio come il suo principale punto di forza.

La postmodernità potrebbe riservare insomma amare, amarissime sorprese al rappresentante ecclesiastico di origine bavarese. E non serviranno i patti col diavolo questa volta. Come in una scacchiera il re non riesce a muoversi liberamente. E se lo fa rischia di farsi mangiare i pedoni. Da altri cristiani e perfino da ebrei e dagli islamici e non solo dal mondo secolarizzato.

Si iniziano a sentire le prime crepe fra le mure vaticane…  Lutero aveva quindi ragione?

Io mi auguro solo che Oscar Cullman sia già un autore da considerarsi superato nel Protestantesimo moderno. Almeno per quanto concerne la sua visione ecumenica. Diciamo per cause di forza maggiore. Quello che non aveva proprio previsto si sta delineando all’orizzonte.

Teniamo gli occhi ben aperti. E auguriamoci di avere presto profeti, che ci indichino il nuovo cammino.

 

Maurizio Benazzi

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Franco Barbero e le terre lontane dall’Italia…

Terre lontane dall’Italia….

 

Germania: diritti coppie pastorali omosessuali
17 gennaio 2009 – (ve/dpa) Pastori evangelici omosessuali al servizio della Chiesa evangelica nella Renania, uomini e donne, che vivono in un’unione registrata, avranno diritto da ora in poi a un trattamento salariale uguale a quello applicato per le coppie pastorali composte da moglie e marito. Lo ha deciso ieri il sinodo della Chiesa evangelica nella Renania. Coppie pastorali omosessuali avranno dunque diritto ad esempio alle medesime rendite, attualmente in vigore per le coppie pastorali eterosessuali, in caso di decesso del partner. Si tratta, hanno precisato i responsabili della Chiesa renana, “di una decisione di principio”. La decisione riguarda attualmente dodici casi di coppie registrate e comporta una spesa, per la chiesa, di poco meno di 20’000 euro l’anno.
La Chiesa evangelica nella Renania comprende l’intero territorio dell’antica provincia prussiana della Renania e dunque parti degli attuali Land Nordrhein-Westfalen, Hessen, Rheinland-Pfalz e Saarland.

Il sito della Chiesa evangelica nella Renania
http://www.ekir.de/ekir/ekir.php

 
La newsletter invierà già dalle prossime ore dei biglietti di invito personali per l’adesione al gruppo Ecumenics di Facebook, chiunque puo’ aderire a questo gruppo previa l’iscrizione su quel portale, attraverso questo link
http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/group.php?gid=59416993134  ; questo primo gruppo dialoga solo in lingua inglese ed ha 3 moderatori, fra cui un giovane olandese; il prossimo mese – sempre su Facebook – verrà attivato il gruppo in lingua italiana. …

Per il francese, lo spagnolo bisognerà attrezzarsi col tempo e strada facendo. Offrite la Vostra disponibilità fin da ora.

Chiediamo cortesemente di aderire a questa prima opportunità solo se effettivamente interessati alla partecipazione di un gruppo internazionale che si esprime in una lingua differente da quella italiana.

Grazie a tutt* e buona partecipazione diretta

 
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Al dibattito partecipa Ecumenici …

 

Gruppo del Guado – Via Soperga 36 – Milano
Sabato 24 Gennaio – Ore 17.00

Dentro il cammino di Abramo
Tavola rotonda di presentazione del libro Omosessualità e Vangelo
don Franco Barbero
CDB Viottoli di Pinerolo – Autore del libro
Pasquale Quaranta
Giornalista – Curatore del libro
Paolo Rigliano
Psichiatra e psicoterapeuta – Autore della postfazione

Tutti sono invitati
Infoline 347 73 45 323
Infomail gruppodelguado@gmail.com

 

(Ecumenici 21/10/08) Pochi giorni fa è uscito in libreria il testo ben curato da Pasquale Quaranta “Omosessualità e Vangelo – Franco Barbero risponde”, edito da Gabrielli. Lo trovate anche su IBS a 14 euro: nessuna scusa dunque per i nostri lettori e lettrici che in montagna o in alcune aree geografiche del sud si lamentano che non esistono – purtroppo – librerie ben fornite nelle vicinanze. 

Quaranta ha affinato lo stile dello scrivere e si rimane piacevolmente sorpresi dalla trasparenza, efficacia ed essenzialità della riflessione che precede la corrispondenza indirizzata a Franco Barbero con il mondo cattolico LGBT in Italia. Finalmente una voce coraggiosa che guarda in faccia la realtà senza inutili contorsioni apologetiche ma semmai con lo sguardo mirato all’analisi profonda del disagio, della sofferenza e della paura. Molto interessante è anche la postfazione di Paolo Rigliano che con la biografia apre l’ultima sezione del testo di 159 pagine complessive.

Dalle lettere pubblicate emerge una realtà di gay e lesbiche spesso incapaci di mettere insieme il mosaico di una positiva percezione di se stessi e talvolta incapaci di arrivare a un’identità di orientamento sessuale serena, vissuta nella Fede cristiana in modo maturo e consapevole. L’aspetto positivo di queste testimonianze è che si tratta generalmente di persone in fase di ricerca e di confronto anche se il pericolo paventato dallo stesso Barbero di rappresentare lui stesso in un certo senso la “carrozza della verità” o il “trono infallibile” è spesso sfiorato dai suoi interlocutori. Ma la responsabilità di ciò dipende essenzialmente dal fatto che generalmente si trova troppo faticoso un cammino di ricerca personale, esperienziale o di un approfondimento diretto ad esempio dei testi biblici e si preferisce la delega o il suggerimento continuo della guida spirituale o di quella del confessore.

Il processo di una fede adulta richiamato proprio da Barbero obbliga in qualche molto ad avventurarsi nel libro dei libri senza timore di scoprire l’erotismo del Cantico dei cantici da un lato o talune frasi dell’apostolo Paolo, figlio del suo tempo culturale e dell’antigiudaismo ormai di maniera che lascia ben poco  spazio alla tenerezza, al perdono e alla scelta degli esclusi da parte di Gesù. Ma quella del Figlio di Dio non è “un” ma “il” messaggio d’amore nonviolento e non sessista, mai escludente. Non lo fu nemmeno per il malfattore crocefisso.

Pasquale Quaranta riesce a parlare di temi come la masturbazione o quella della procreazione con un approccio ad ampio respiro. Non fa il teologo ma il giornalista. Colui che sa porre sul tavolo la sua analisi lucida ma anche consapevole della miseria intellettuale che caratterizza il panorama italiano. Sa prendersi ovviamente le sue responsabilità e non a caso i primi commenti negativi che ho letto di un paio di preti omosessuali su una mailing list, sono di per sé espressivi della situazione all’interno dell’ambiente ecclesiale: loro preferiscono l’anonimato e magari lo “sfogo” sessuale nella clandestinità piuttosto che esprimere posizioni di denuncia a viso aperto. Si potrebbe perdere del resto – con molta probabilità – il posto di lavoro…

Coloro che esprimano queste valutazioni senza aver mai letto il libro non sono persone serie. Vogliono sentenziare giudizi sul modo di fare, la “prassi” hanno scritto di Quaranta e Barbero. Ma non mi risulta che Quaranta e Barbero siano agli occhi di Dio (quelli delle tonache a noi non francamente non interessano poi molto…) meno amati del Papa, dei sinodali valdesi o di qualche vescovo ortodosso.

E’ stato scritto nel libro di Quaranta che le lettere inviate a Barbero sono uno spaccato delle dinamiche dell’auto-oppressione e dell’avvilimento, dell’interiorizzazione di tutti i giudizi squalificanti l’attività affettiva  LGBT che di fatto circolano in famiglia, a scuola, in oratorio, nella chiesa o fra i papaboys. Sono d’accordo ma non mi è molto chiara la scelta proposta come alternativa, con l’affermazione generica di “popolo di Dio”. Si corre il rischio di creare sulla carta un’illusione che da qualche parte vi siano comunità pronte a celebrare il matrimonio omosessuale e/o a ordinare/consacrare pastori apertamente omoaffettivi.

Siamo in Italia e non in Canada o nell’Europa settentrionale. Con tutto il rispetto, l’ammirazione, la stima e l’attenzione che ho ad es. verso le comunità di base ritengo che il percorso personale di Barbero e quello comunitario di Viottoli a Pinerolo dimostrino semmai la difficoltà del cammino di crescita, i tempi lunghi e spessi del tutto incerti. Dobbiamo invece come credenti saper pronunciare come fece il IV Concilio, Lutero e molti altri ancora a oriente e a occidente che anche “fuori dalla chiesa” c’è la salvezza, poiché il soffio santo agisce nei credenti nella sua libertà, senza discriminazioni. L’amore divino ha, infatti, come direzione tutte le creature umane senza distinzioni di sorta, compresa quella dell’orientamento sessuale.

Ciascuno di noi deve saper dare fiducia al fratello e alla sorella, aiutandola – per quanto ci sia possibile – nello sviluppo autonomo della crescita dell’autostima e della relazione diretta con Dio. E’ solo Lui la nostra roccia, il nostro punto di riferimento affidabile e allo stesso tempo la nostra forza, di fronte agli smarrimenti e alle contraddizioni, fra istinto e creatività innate.

La nostra consapevolezza di credenti si fonda proprio su questa capacità di Dio di trasformarci nel tempo. Di sentirci amati anche quando si è nella distretta. Di costruire progetti che contrastino ad esempio violenza e pornografia con scelte di amore per un partner, pur in assenza di quadro normativo nel paese in cui viviamo e di modelli culturali latini. Viviamo in un paese in cui c’è ancora bisogno che un Pasquale Quaranta dica al Presidente del Consiglio di turno: perché ci negate di amare alla luce del sole come fanno gli altri? E’ questa la mia Patria e sono ancora un cittadino uguale agli altri?

Il nostro suggerimento è di acquistare il libro domani mattina stessa sul nostro sito www.ecumenici.eu , utilizzando il link per IBS. Aiuterai Pasquale, Ecumenici e le voci libere, fuori dal coro.

E bravo Pasquale!

Maurizio Benazzi

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Uno dei diversi punti di contatto FGEI sulla rete

La Federazione giovanile evangelica italiana (FGEI) è nata nel 1969, sull’onda delle lotte studentesche, dall’unione della Federazione delle unioni valdesi, della Gioventù evangelica metodista e del Movimento giovani battisti. È una rete di gruppi locali e singoli giovani legati alle chiese evangeliche, che si propone come luogo di riflessione e di impegno per esprimere una comune testimonianza cristiana nella società.

Le decisioni sull’attività della FGEI, sul piano organizzativo e tematico, vengono assunte dal congresso nazionale, costituito dalle delegazioni di gruppi locali, che si riunisce ogni due anni e mezzo e ha il compito di eleggere un consiglio nazionale e definirne il mandato per i successivi 30 mesi.

La FGEI mantiene relazioni stabili con i centri giovanili evangelici italiani e in particolare è rappresentata nei comitati dei centri di Adelfia (Scoglitti, Ragusa), Agape (Prali, Torino), Ecumene (Velletri, Roma).

La FGEI è attiva nel movimento ecumenico giovanile. A livello internazionale è membro della World Student Christian Federation (WSCF) e dell’Ecumenical Youth Council of Europe (EYCE). A livello nazionale la FGEI è tra i promotori del primo convegno giovanile ecumenico italiano “Osare la pace per fede”, svoltosi a Firenze il 29 e 30 gennaio sui temi di pace, giustizia e salvaguardia del creato.

La FGEI pubblica inoltre un bollettino e una rivista. Il Notiziario FGEI è uno strumento di collegamento e di informazione per i gruppi giovanili, pubblicato circa ogni due mesi come inserto del settimanale evangelico Riforma. Gioventù evangelica (GE) è una rivista trimestrale che da più di 30 anni offre alla FGEI e al protestantesimo italiano nel suo complesso uno strumento di riflessione e dibattito, con approfondimenti e studi su temi di carattere politico e teologico.

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Potete trovare sul web diversi spunti interessanti di analisi. Uno in particolare ci sembra di estrema attualità. Insomma, cercate e troverete…

 

In preparazione al rito buonista della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si terrà il prossimo mese ripropongo uno splendido scritto del grande pastore e teologo valdese Gino Conte. Nel numero del settembre 1999 del mensile “Diaspora evangelica”, Conte scrisse questo testo in polemica con autorevoli voci valdesi che, in prospettiva ecumenica, insistevano sul concetto di “diversità riconciliata” come modello di unità tra le chiese cristiane. Con straordinaria attualità, Conte tratteggia alcuni concetti che trovo molto interessanti e sempre vivi, come il fatto che nel dialogo ecumenico “sembra non si vedano più o non si vogliano più vedere le alternative, ma solo delle diversità”, oppure che il dialogo ha senso “a condizione di essere chiari, espliciti, di non rimestare sempre “quello che già ci unisce” rimandando alle calende greche quello che ci divide”.
Ma adesso vi lascio allo scritto di Conte.
DIVERSITA’ RICONCILIATA?
Come si fa a sostenere che la varietà e diversità effettivamente presente all’interno di ogni chiesa, anche nella nostra, è analoga alla diversità che ci distingue e divide, ad esempio, dal cattolicesimo, romano e non? L’intossicamento “buono”, tenerissimo, causato dall’andazzo che l’ecumenismo ha preso, sta proprio nel fatto che sembra non si vedano più o non si vogliano più vedere le alternative, ma solo delle diversità e il panorama ecumenico diventa una splendida serra, un giardino policromo in cui eucaristia e cena del Signore, sacerdote e laico ministro della Parola, indulgenza penitenziaria e confessione di peccato, struttura gerarchica e struttura presbiteriano-sinodale, chiesa “madre e maestra” e chiesa testimone e così via si riducono semplicemente a “cultivar”, varietà compatibili. (…) Di Valdesi “riconciliati” ce ne sono già stati, anche se minoranza, all’inizio del XIII secolo; se fosse dipeso da loro non saremmo qui. Per parte mia, e spero e credo di non essere solo fra noi, rifiuto recisamente di vedere in questa pretesa “diversità riconciliata” un valido “modello d’unità”. Detto senza iattanza arrogante, anzi con sincero dispiacere che così stanno le cose. Non stanno forse così? Io, comunque, questa lezione non la “imparo”, non mi “abituo”. Con molti altri, spero.

(Altri spunti su questo tema indussero Conte ad integrare il suo intervento):

Ho fieri dubbi che la chiesa primitiva e le testimonianze neotestamentarie nelle quali essa si riflette siano un modello di diversità riconciliata. Ad Antiochia Paolo dice di essere stato costretto a “resistere in faccia” a Pietro che deviava e sviava gravemente (Galati 2,11), “aveva torto”. Nel libro degli atti, Luca tace e sorvola, in base alla sua teologia irenica e conciliatoria che gli fa stendere un resoconto del cosiddetto “concilio apostolico” di Gerusalemme, nel quale resoconto mi domando se Paolo si sarebbe ritrovato. Di certo, il fatto di Antiochia non è stato un incidente irrilevante, dovuto a intransigenza biliosa e settaria di Paolo. Così, pure, la chiesa antica ha insegnato au pair, nel canone, l’epistolario di Paolo e la lettera di Giacomo; ma anche qui non penso che Paolo avrebbe sottoscritto quello scritto, anzi, se avesse ancora potuto leggerlo, lo avrebbe discusso apertamente e del resto anche ‘Giacomo’, anche se con formale gentilezza… ecumenica, non lesina attestati di stima al “caro fratello Paolo”, di fatto afferma il contrario di quanto sostiene Paolo, sul tema non marginale della giustificazione. Non mi si faccia dire quel che non dico, non voglio fare la “Selezione del Nuovo Testamento”. Ma è certo che nella chiesa primitiva, e fino in certi aspetti nel canone neotestamentario non troviamo un’unità in diversità riconciliata, ma tensioni e scontri belli e buoni (mi correggo, duri e penosi). C’è diversità, ma per nulla riconciliata; e una certa unità si mantiene perché non c’è ancora alcuna struttura generale, ‘ecumenica’ e si procede ancora molto in ordine sparso. La tesi della chiesa neotestamentaria come modello unitario di diversità riconciliata mi pare una forzatura storica e teologica e ricordo il giudizio di Ernst Käsemann (teologo luterano e professore univrsitario, ndr), secondo cui il nuovo testamento non fonda l’unità della Chiesa, ma la diversità delle Confessioni.
In ogni caso, mi pare, ancora, storicamente e teologicamente contestabile, inaccettabile applicare alla situazione dell’ecumene cristiana odierna, dopo secoli e talvolta millenni di divaricazione, un preteso “modello unitario” tutt’al più valido, anche se zoppicante, per l’ecumene del I secolo. Pur nella diversificazione forte e nelle tensioni considerevoli, all’epoca della stesura dei testi del Nuovo Testamento non si delineava certamente la ricostituzione del sacerdozio, un rinnovamento (sia pure incruento) del ‘sacrificio’, una visione ‘sacramentale’, un episcopato (e men che meno un papato) di tipo cattolico (romano e non romano), una mariologia, una venerazione di ‘santi’… e si potrebbe continuare a lungo. Ecco perché, quand’anche ci fosse, chiaro, un ‘modello neotestamentario’ (e, ripeto, con molti ritengo che non ci sia), non sarebbe assolutamente applicabile all’oggi (e alo ieri): le diversità, ma si deve dire le divergenze confessionali, non sono manifestazioni attuali della diversità dei ‘carismi’ dello Spirito, anche se a sostenerlo (e non sono mai riuscito a capirlo) è stato un esegeta della Chiesa antica della taglia di Oscar Cullmann, al quale del resto sono stato molto affezionato e al quale sono anche largamente debitore, in tante altre direzioni.
Ecco perché per me, come per molti altri, penso, mentre è possibile e anche doverosa una diversità riconciliata come programma e modello di unità con le altre chiese evangeliche, sia pure a volte con qualche limite (segnato ora da noi, ora da altri) non penso si possa, allo stato dei fatti, parlare di “diversità riconciliata” con il cattolicesimo, romano e non. Una cosa è il confronto, l’ascolto reciproco, il dialogo, certi aspetti di ricerca (anche e anzitutto biblica) comune, a condizione di essere chiari, espliciti, di non rimestare sempre “quello che già ci unisce” rimandando alle calende greche quello che ci divide (…); altra cosa è l’unità. Come protestanti (il cattolicesimo è altrimenti onnivoro nella sua tendenza alla sintesi degli opposti) restare convinti che lo Spirito, attraverso l’Evangelo, non può dire e animare cose opposte, non può volere e una chiesa testimone e una chiesa mediatrice, e una chiesa fraterna di discepoli e una chiesa madre e maestra, e una chiesa laica (non laicista) e una chiesa clericale, e una chiesa paritaria di fratelli e una chiesa gerarchica, con padri e figli, e una chiesa della Parola e una chiesa dei sacramenti; preti e pastori non sono semplici e ugualmente legittime (biblicamente) varianti; nelle varie confessioni si può parlare ugualmente di sinodi, ma sono realtà del tutto diverse e contrastanti. Questo, e molto altro, perché il modo di vivere il rapporto con Dio è diverso e contrastante: i solus, sola della Riforma continuano a evidenziarlo, a porre degli aut-aut, delle alternative (…)
Gino Conte

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Percorsi alternativi nella chiesa di Roma

Professor Ratzinger
di Andrea Milani

 

Una Chiesa ripiegata su se stessa. Spaventata dal nuovo. Che punta su dottrina e disciplina, non sulla speranza. L’atto di accusa al papa del teologo della liberazione Leonardo Boff

 

Il contrario della fede, nella Bibbia, non è l’ateismo. È la paura. In questo senso la Chiesa di papa Ratzinger vive una profonda crisi di fede, attanagliata come è dal terrore di tutto ciò che la circonda… Il volto di Leonardo Boff, solitamente sorridente, si fa pensieroso.
 
Il più noto teologo brasiliano, alle soglie dei 70 anni, non mostra risentimento verso il Vaticano, che l’ha inquisito, censurato e poi messo a tacere con punizioni canoniche fino a spingerlo ad abbandonare la tonaca di frate francescano. Con la sua storia personale Boff ha fatto serenamente i conti e vive, da anni, una nuova vita di ‘libero pensatore’, cristiano laico senza voti. Ma per la Chiesa, che resta la ‘sua’ Chiesa, mostra apprensione e un poco di sconforto.

“I credenti non possono avere paura delle novità. Sanno che il mondo è stato salvato in Gesù Cristo”, dice convinto: “E un vero pastore sa che la barca di Pietro non corre il rischio di affondare anche se affronta il mare aperto perché è assistita dallo Spirito Santo. Invece questo papa non è un pastore, è solo un professore. Si preoccupa di fare ogni genere di appunto critico alla modernità, ma non ha irradiazione spirituale, non ha carisma, non mostra il cristianesimo come una cosa buona, una fonte di gioia per l’umanità. In una parola, non fa la cosa più evangelica, quella che Ernst Bloch riteneva la più importante per ogni religione: suscitare speranza. Una Chiesa così, che non è fonte di fiducia nella vita e nel futuro, tutta ripiegata su se stessa, sulla propria identità e sul potere sacrale della gerarchia, completamente paralizzata dalla paura di ciò che sta ‘fuori’, non è più una Chiesa. È una ‘ecclesìola’, una piccola chiesa, con forti tendenze fondamentaliste”.

Di Chiesa, Boff se ne intende: al suo interno ha passato quasi 40 anni. E conosce bene anche Benedetto XVI: quando Leonardo era solo un promettente dottorando alla Facoltà teologica di Monaco di Baviera, il giovane professor Ratzinger era stato suo mentore e protettore. “Era un teologo brillante e aperto che noi studenti ascoltavamo con entusiasmo”, dice con una nota di affetto nella voce: “Ma è sempre stata una persona estremamente timida e i timidi non sanno gestire il potere. Inoltre, da professore è diventato subito cardinale, senza fare mai il parroco né il vescovo. E questo non l’ha aiutato”.
Dai tempi di Monaco tanti anni sono trascorsi. E le traiettorie di vita si sono divaricate. Boff, insieme a Gustavo Gutierrez e altri, ha fondato la Teologia della liberazione, la corrente di pensiero che tra gli anni Sessanta e Settanta ha cambiato il volto della Chiesa latinoamericana, trasformandola da pilastro della società feudale in avvocata dei poveri, degli emarginati e degli oppressi. Ratzinger, invece, ha messo radici nella cittadella fortificata della Curia vaticana, la Congregazione per la dottrina della fede. E una volta prefetto dell’ex Sant’Uffizio, ha preso di mira il suo pupillo di un tempo. Le sue colpe? Aver ‘inquinato’ la ricerca teologica con l’utilizzo degli strumenti di analisi sociale di scuola marxista e aver ricordato troppo chiaramente che la Chiesa è, come dicevano i Padri dell’antichità, “casta meretrix”, santa ma anche profondamente peccatrice.

Dopo un doloroso processo canonico durato oltre un decennio, nel 1992 Boff ha lasciato il sacerdozio. Ma non ha abbondato le comunità cristiane latino-americane. Ha continuato a scrivere (un centinaio di libri) e a far discutere, dentro e fuori la Chiesa. Oggi la sua criniera di capelli neri si è totalmente imbiancata e una leggera zoppìa lo costringe a camminare con un bastone, ma lui ci scherza: “È solo una stampella epistemologica”. La sua franchezza, comunque, è rimasta quella di un tempo. In Italia per un ciclo di conferenze organizzato dalla Rete Radié Resch, un’associazione di solidarietà con il Sud del mondo, spiega i prezzi che ha pagato la Teologia della liberazione: “I processi ecclesiastici subiti da tanti teologi latinoamericani hanno indebolito la Teologia della liberazione, che prima era affermata, riconosciuta e, in alcuni casi come il Brasile, abbracciata ufficialmente persino dalla Conferenza episcopale.
(30 ottobre 2008)

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