Giorgio Fox e la religione laica degli “Amici”

Giorgio Fox e la religione laica degli “Amici”

Contributo alla formazione delle coscienze religiose

Di Giovanni Pioli , nel terzo centenario della origine del  Movimento (anni ’45-49)

Circa un terzo della popolazione del nostro pianeta professa nominalmente il Cristianesimo, e di questi, meno della metà il Cattolicesimo.

Il tipo di Cristianesimo ortodosso, che al cercatore indipendente di verità offre un Credo antiquato e una raccolta voluminosa di Concilii e di Sillabi; che , quale mezzo per sublimare e trascendere se stesso, offre al fedele riti e sacramenti dotati di virtù magica; che al viandante desideroso di un amico, esperto compagno di via, offre di arruolarsi in un gregge e seguire docilmente il pastore autoritario, – il quale a sua volta dipende da un pastore supremo, assoluto sovrano, – questo tipo di Cristianesimo voi lo conoscete: come volontari frequentatori di prediche e di catechismi, ovvero come uditori obbligati nelle scuole di Stato italiane, alle quali il Concordato impose l’insegnamento cattolico: e non occorre che io ve ne parli.  Con la sua teologia d’origine ellenica, liturgia orientale, e organizzazione romana; grazie ad abilità e virtù  di suoi membri e agli stessi difetti e alle debolezze del sistema, , e livellandosi all’umanità media , esso ha posto radici vaste e tenaci, se non profonde, e offre  un aspetto massiccio e coerente a chi, sfornito di acuto senso critico e di esigenze spirituali superiori, ne esamini l’architettura esteriore e l’apparente solidità strutturale.

Vorrei oggi presentarvi invece un altro tipo di Società religiosa largamente cristiana, caratterizzata: dall’assenza di qualunque credo dottrinale, pur con libertà ai suoi membri di aderire a dottrine fondamentali e tradizionali cristiane; dall’importanza prevalente, assorbente assegnata a una concezione morale ispirata specie dal “Discorso del Monte”, ma presa sul serio, e non giocando a rimpiattino con la propria coscienza, dall’eliminazione completa , radicale , di qualunque sacerdotalismo, di qualunque sacramentalismo e ritualismo; quindi dalla completa laicità in religione, senza intermediari di sorta, ma non  senza una valida fraterna assistenza nel cammino della vita spirituale: e governata da una teocrazia democratica, che riconoscendo  la rivelazione dell’anima dell’universo nella voce di tutte le coscienze che riconoscono nell’uomo Dio. Giacchè è solo dall’esperienza di ciò  che di divino abbiamo constatato nell’uomo che ci è possibile indurre l’idea di Dio , e non già viceversa. “Qualunque cosa sia Dio, l’uomo è divino” (Pandit Nehru).

Questa Società sorse appunto tre secoli fa in Inghilterra, col nome di Società degli Amici, (Friends) , in un’epoca di fermenti spirituali, dalla ridiscoperta fatta negli anni 1647-49 dell’anima desolata e angosciata do dentro di sé della vacuità delle Chiese; la ridiscoperta del Dio entro noi, di quella luce interiore che “illumina ogni uomo che viene al mondo” ; e da tre secoli  essa vive nobilmente , opera intensamente, rende una solenne testimonianza al suo principio della costituzione divina della coscienza, mostrando coi fatti che essa non è anarchica; o piuttosto , che costruire su tale non è utopia. Giacché “E’ pienamente legittimo indurre dall’esistenza di una cosa la sua possibilità” . “A facto ad posse valet illatio”.

Scopo di questa presentazione non è già di fare del proselitismo: bensì – oltre a quello culturale di diffondere la conoscenza storica delle religioni e dei loro valori spirituali, – quello specialmente di allargare e snebbiare l’angusto orizzonte spirituale di tante anime religiose con un grande esempio storico, rispondendo alla ingenua domanda, che spesso si presenta come un’obiezione formidabile: “Come è possibile che esista una società religiosa senza dommi, senza sacramenti, senza riti , e soprattutto senza un clero? Come piò una religione fondarsi su un’esperienza religiosa personale e di carattere prevalentemente morale? “ In realtà , sotto questa diffidenza per una religione umanistica di esperienza personale, prevalentemente morale, s’indovina un’ansia patetica per quello che diverrebbe la sorte del povero Dominiddio, qualora , apparentemente messolo in disparte, nessuno sembrasse più curarsi proprio di Lui; non più spropositando sulla Sua natura, non più speculando né fantasticando sui misteri della Sua vita intima, sul numero delle Sue persone e sulla topografia dell’aldilà; non più cianciando sulla tecnica dell’azione divina sulle anime, della classificazione dei suoi attributi, la Sua Azione da tutta l’eternità, il “cachet” miracolistico e il cortes fantasmagorico delle Sue manifestazioni i suoi misteriosi piani per l’avvenire. Però questo allarme per lo spodestamento di Dio è, come vedremo, del tutto infondato: perché tutto quantociante presso un calzolaio, commer a noi possibile conoscere della realtà suprema e universale, ci è rivelato nella coscienza umana, che è per noi la perenne progressiva espressione della continua incarnazione dell’anima del mondo nell’uomo, al di là della quale continua l’incarnazione dell’anima del mondo dell’uomo, al di là della quale non è possibile per noi riuscire nella nostra ricerca di Dio. Giacché “chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede?” E tuffandosi nell’intimo della propria coscienza, in armonia con quella dei loro fratelli, è bene a un’esperienza di Dio che gli “Amici” giungono, perché “in lui viviamo, siamo , ci muoviamo” e noi possiamo rappresentarcelo come un uomo ideale.

CRISI RELIGIOSA DI GEORGE FOX

Della persona di George Fox e del decorso della sua vita non diremo qui che poche parole. Il suo ritratto ci è dato , oltreché  dal suo Giornale autobiografico, dal suo più illustre amico e seguace, il famoso William Penn.

Nato a Fenny Drayton , nella Contea di Leicester, nel 1624, da agiati genitori, – il padre suo tessitore suo tessitore di proverbiale onestà, e la madre giudicata  della “razza dei martiri”  – egli si distinse già da fanciullo per gravità , interiorità e speciale sensibilità. Ancor giovanetto, posto come apprendista presso un calzolaio, commerciante anche di bestiame e di lana, del quale presto divenne il “factotum”, egli spiccò per scrupolosa sincerità e rettitudine. Quando il giovane Giorgio aveva pronunciato il biblico “Verily” (“Amen”, ”In verità , per certo”) , si poteva con sicurezza contare sulla sua parola.

Ma presto il contrasto tra la sua anima retta e pura, sensibile, delicata, aspirante verso le ragioni ideali del bello e del buono, e la società corrotta, falsa, febbrile, furiosa di passioni politiche – siamo nel periodo della lotta fra la Monarchia degli Stuarts e il Parlamento – , lo scosse dalla sia visione serena, suscitò il tumulto nella sua anima, e gli impose l’alternativa dell’essere o non essere se stesso: del valore della vita e della diesa dei propri valori spirituali. Fu la sua “tempesta del dubbio”: la sua crisi di gioventù, rappresentativa della crisi di un’epoca. Carlyle, nel suo “Sartor Resartus” ne fa il seguente quadro, per mezzo del paradossale Teufelsdroeck.

“Forse l’incidente più notevole della Storia moderna è non già la dieta di Worms (nella quale Lutero rivendica alle supreme autorità civili ed ecclesiastiche, la supremazia della coscienza. “La Scena più grandiosa della Storia moderna” , la chiamò Carlyle stesso) e meno ancora la battaglia di Austerlitz o di Waterloo…, ma un incidente sorvolato dalla maggior parte degli storici, mentre altri lo pongono in ridicolo: cioè quello di George Fox che si foggia un abito di pelle. Questo giovane seduto nella sua bottega a lavorare pelli conciate, tra pinze, barattoli di colla, resine e setole, aveva dentro di sé uno Spirito vivente…, che non si rassegnava a restarsene lì sepolto sotto monti di cianfrusaglie… Il compito di confezionare ogni giorno un paio di scarpe, sia pire con la prospettiva del salario e di divenire un giorno uno stimato Maestro Calzolaio…, non bastava a soddisfare uno spirito ardente come il suo. Mentre lavorava di resina e di martello, gli giungevano sentori, splendori e terrori dalla sua patria lontana: giacché questo povero era un uomo : quel Tempio immenso del quale , come uomo, era stato destinato sacerdote, era per lui pieno di in sacro mistero.

Il Clero del vicinato, gli autentici e consacrati Guardiani e Interpreti di quello stesso sacro mistero, prestarono l’orecchio, senza cercare di dissimilare la loro noia, alle sue richieste di consiglio; e come soluzioni alle sue perplessità, gli suggerirono di “Gustare tabacco, di bere qualche bicchiere di bitta, e ballare con delle belle ragazze”. Ciechi, duci di ciechi! E che giustificazione avevano le loro rendite parrocchiali riscosse e divorate; che bisogno c’era di foggiare quei tricorni dalle falde larghe , e d’indossare cotte e sottane ; che necessità c’era di tanto indaffararsi, e fare riparazioni alla Chiesa e suonare d’organi e di campane, e far tanto chiasso nel loro angolo del gran mondo di Dio… , se l’uomo non fosse altro che una macchina per digerire, e il suo stomaco con le sue appendici la sola Grande Realtà?

Fox volse le spalle con le lacrime agli occhi e con un santo disgusto, e ritornò al suo tavolo di lavoratore del cuoio… e alla sua Bibbia. Una montagna di ceneri più alta dell’Etna si era adesso accumulata sul suo spirito: ma spirito esso era, e non si rassegnava ad essere soffocato. Per lunghi giorni ed altrettanti notti di silenziosa agonia egli lottò in quel negozio di calzolaio, divenuto più sacro di ogni santuario del Vaticano e della Madonna di Loreto: lottò e si dibattè per liberarsi …. “Così bendato, inceppato, con mille esigenze di lavoro, obblighi, cinghie e stracci e ritagli non posso più vederci né muovermi, non appartengo più a me stesso ma al Mondo: e intanto il Tempo passa e il Cielo è in alto e l’abisso è profondo. Uomo! Pensa ai casi tuoi se hai cervello in testa! Che cosa me l’impedisce? Che cosa mi trattiene qui? …Il bisogno? Il bisogno! E di che? Potranno tutti i guadagni di tutte le scarpe sotto la luna bastare a trasportarmi fino a quella terra luminosa laggiù? … oh! So io dove ritroverò la mia libertà spirituale: nella foresta; là dove il cavo di un albero mi darà alloggio, e frutta selvatiche saranno il mio cibo! E per abito…? Ah! E non posso io cucirmi un abito di pelle di durata eterna?” E Giorgio Fox, un bel mattino, stende per l’ultima volta la sua tavola di tagliatore e taglia pelli su un nuovo modello, e le cuce insieme a formarsene una tuta, lavoro di congedo della sua lesina. Cuci, nobile spirito! Ogni foro della tua lesina va dritto al cuore della schiavitù, del culto del Mondo e del Dio Mammone. Ogni punto ti fa avanzare di un passo nella terra della vera libertà. A lavoro compiuto, vi è nella Grande Europa un uomo libero: e quell’uomo dei tu…”.

“Se Diogene “ , conclude Carlyle dietro la maschera di Teufelsdrok , “fu il più grand’uomo dell’antichità, ( salvo un po’ più di decoro), a più forte ragione G. Fox fu il più grande tra i moderni: perché anche egli si erge sulla base adamantina della sua umanità, rigettando ogni puntello e ogni sostegno: non con un selvaggio disprezzo svalutando la Terra dal Tempio della sua botte, ma … proclamando sotto l’usbergo della sua tuta di pelle la dignità e la divinità dell’uomo, con spirito d’amore”. Fin qui Carlyle.

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(continua, IL CAPITOLO “CRISI RELIGIOSA DI GEORGE FOX”)

Quando G. Fox ebbe fatta l’esperienza fondamentale della sua vita, quella della “Luce interiore”, cioè dell’immanenza del divino nell’anima di ogni uomo, la sua vita fu trasformata: egli divenne, con frase di Wordsword, “uno spirito dedicato”. La sua bibliografia, nel periodo dal 1647-49, anni della sua “illuminazione”, al 1690, ultimo della sua vita terrena, può chiedere in due parole: apostolato e prigionia: entrambi nella serenità e nella gioia.

Quella che era stata più di venti secoli prima l’intuizione della conciliazione degli opposti del grande Eraclito di Efeso, quando scriveva: “Dio è giorno e notte, inverno ed estate, guerra e pace, abbondanza e penuria; come in noi abita la stessa cosa che è vita e morte, veglia e sonno, gioventù e vecchiaia: e la maggior parte della realtà divina sfugge alla nostra conoscenza soltanto a causa della nostra incredulità. Gli uomini non sanno quanto ciò che è diverso sia in armonia”. Quella che era stata due secoli prima l’esperienza del cardinale di Cues (il Cusano, arcivescovo di Bressanone), cioè che il pensiero  razionale, sottoposto al principio di contraddizione, è inetto ad approssimarsi a quella “conciliazione degli opposti” cioè dei terribili contrasti della vita e dell’esistenza , che è l’unità sintetica vivente dell’Universo; che solo la “intelligentia”, l’intuizione morale e religiosa, “ratio” , e ritrovare l’unità e la ragione sufficiente del mondo e della vita umana – questa stessa fu l’esperienza fondamentale dell’incolto giovane calzolaio, puro di cuore: e anch’egli pronunziò allora il suo “Everlasting Yea”; il suo “Eterno sì”: e si riconciliò con la vita.

“Vidi che, se vi era un oceano di tenebre e di morte, vi era anche un oceano di luce e di amore che si estendeva su di esso. E vidi l’immensità e la bellezza della mia missione: strappare gli uomini alle loro chiese e ai culti umani, verso il culto in spirito e verità: condurli a quella luce interiore che indicherebbe loro la strada che mena a Dio”.

INTUIZIONE RELIGIOSA DI GEORGE FOX

Tutto il nostro sforzo è rivolto a condurre gli uomini al loro vero Maestro dentro di sé (“Giornale” di G. Fox).

In questo enunziato della propria missione, che sembrava riecheggiare il monito del Buddha morente: “Monaci , siate luce a voi stessi, siate rifugio in alcun altro” , – con la sostanziale differenza, che il “dentro di sé” è sentito da George Fox in un modo immanente che è insieme trascendente – , è chiusa tutta la ridiscoperta del fondatore della Società degli Amici, di un rapporto diretto e personale dell’io cosciente con l’io profondo, il “Dio in noi” ; e della rivelazione perenne e immediata di Lui ad ogni anima individuale; “Luce in Dio” : e ciascuno, nella propria coscienza, viene a contatto con quella super-anima, superiore a quella individuale, che opera in essa e in tutte le anime per un fine universale.

Che poi G, Fox abbia tradotto in termini tradizionali cristiani questa sua originale esperienza , ed abbia interpretato costantemente la “luce interiore” , “la luce e la vita” , lo “Spirito di Dio ad ognuno accordato, la grazia di Dio che adduce salvezza e che è apparsa a tutti gli uomini”, come una presenza vivente in ognuno, del Cristo eterno o “Logos” – che egli , e molti suoi seguaci a tutt’oggi, abbiano condiviso, riguardo al Gesù storico, per essi incarnazione del “Cristo eterno” le dottrine tradizionali cristiane , anche su alcuni punti che dovevano poi essere logicamente minatI dalla sua concezione fondamentalmente immanentistica. Ciò non deve far meraviglia. Le più grandi scoperte nel mondo dello spirito vengono alla luce non già in pure intelligenze ragionanti, ma in uomini legati e circoscritti storicamente per necessità psicologiche e sociali d’’interpretazione ed espressione a se stessi e agli altri, alle forme mentali, alle formole, ai simboli, ai miti, alle costruzioni ideologiche del loro tempo e ambiente; in mentalità e coscienze condizionate dalla civiltà e coltura, che ha fornito  l’”humus” da cui è germogliato il fiore esotico della loro intuizione originale. E noi dobbiamo guardarci dallo svalutare il contributo di preziosa originalità apportato da G. Fox , perché esso ci è offerto in una cornice tradizionale , e talora è nascosto e apparentemente soffocato, da una vegetazione parassitaria.

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(Continua con la seconda e ultima parte del capitolo INTUIZIONE RELIGIOSA DI GEORGE FOX)

Quando G. Fox ebbe, nella sua angosciosa crisi giovanile, sperimentato appieno la vacuità di tutte le formole e dottrine delle Chiese e la loro importanza a riempire il vuoto immenso del suo spirito e dare un valore alla sua vita desolata, una intuizione religiosa originale affiorò in lui. “Udii una voce che mi disse: “ Vi è uno solo, Cristo Gesù , che possa dire una parola che faccia al tuo caso presente.” A queste parole il mio cuore sobbalzò di gioia… E di ciò ormai avevo l’esperienza… Vidi che la grazia di Dio che adduce la salvezza era apparsa a tutti gli uomini, e che la manifestazione dello Spirito di Dio era accordata ad ogni uomo, perché ne tragga profitto…. E questo io non vidi già con l’aiuto di uomini o per letture…., bensì nella luce del Signore Gesù Cristo e nel Suo immediato spirito e potere, PUNTO COME I SANTI UOMINI DI Dio dai quali le Sacre Scritture furono scritte” (Giornale) E ancora: “ Non conoscevo Dio che per rivelazione , come Colui che possiede la chiave che aveva aperto il cuore , e lo apre”.

La più completa emancipazione dalla schiavitù della lettera delle Scritture fu da lui raggiunta, non già rigettando la dottrina della loro divina ispirazione, ma anzi collaudandola con la sua propria esperienza. “Perché io mi trovavo già in quello stesso Spirito dal quale le Scritture emanarono: e quello che il Signore mi rendeva internamente, io lo trovavo poi concordare con esso..”; “La gente possedeva, sì , le Scritture, ma non era pervasa da quella stessa luce, da quello stesso potere e spirito da cui erano penetrati coloro che le avevano dettate; e perciò essi non conoscevano giustamente né Dio, né Cristo, né le Scritture: né avevano l’unità reciproca, trovandosi privi del potere e dello spirito di Dio” (Giornale) Fox  proclamava così antifrasando il passo di Agostino: “Non crederei ai Vangeli se non me lo persuadesse l’autorità della Chiesa” – il canone complementare di credibilità: “ Non crederei alle Scritture, né alla Chiesa, se non credessi anzitutto alla mia propria personale intuizione religiosa”.

Sua Missione fu quindi di volgere il popolo non già alle Scritture, non già direttamente ad alcuna Chiesa o setta, ma “a quella luce a quella grazia e a quello spirito dentro di loro, per cui mezzo potessero conoscere la loro salvezza e la loro vita per andare a Dio: a quel divino Spirito che li introdurrebbe in ogni Verità, e che io sapevo infallibilmente non ingannerebbe alcuno” (Giornale) “Si da sentire la Sua presenza e possanza in mezzo ad essi nelle loro assemblee” ((Idem).

Questa nota della scoperta personale, e quindi della conoscenza e certezza diretta della Verità loro rivelata internamente dalla “Luce interiore” , dall’Io sublimale, senza bisogno di uscire da sé stessi – ma pur senza disconoscere il valore della “rivelazione” affiorata nelle altre coscienze umane nella storia – ritorna assiduamente in G. Fox e negli Amici: e ad essa nel Giornale si allude generalmente, con l’espressione “la verità eterna di Dio”, o semplicemente , “la verità” . “spalancate le porte alla luce da qualunque parte essa venga; consultate pur gli altri, ma più di tutti ascoltate l’oracolo che è dentro di voi” proclamerà poi W. Channing.

E’ vero che “gli Stati mistici non recano alcuna autorità, per il semplice fatto di essere mistici” – osserva in : La Conoscenza Religiosa. “Ma i più alti fra essi accennano a direttive, verso le quali inclinano i sentimenti religiosi anche nei no mistici. Essi parlano della supremazia dell’ideale, di immensità, di unione, salvezza, riposo, con l’autorità di chi possiede queste esperienze. Essi vi sono stati, e hanno visto. Invano il razionalismo protesta: giacché i nostri stessi giudizi più “razionali” si basano su di una testimonianza esattamente simile per natura a quella che i mistici citano in favore dei loro… Anche se i cinque sensi sono assenti in tali rivelazioni, esse …. Sono altrettanto immediate quanto qualunque sensazione per noi: sono cioè presentazioni dirette di ciò che appare immediatamente esistente. Il mistico è insomma invulnerabile…

“Egli era solo un teorico e non possedeva per esperienza ciò di cui parlava” è la critica radicale che G. Fox fa di un prete a cui “turò la bocca” , e di tutte le dottrine religiose  professate da chi non ne ha esperienza propria. Al pubblico, perciò, egli non pretende di trasmettere un suo messaggio personale; ma solo parla per “dirigere gli uomini dalle tenebre alla luce, alla grazia di Dio nel loro interiore, che li istruirebbe gratuitamente”. (Giornale). Quando , in America, gli giungerà la notizia che i magistrati di Rhode Island divisavano di raccogliere fondi per assicurarsi la sua opera di ministro residente fra loro, egli esclamerà : “E’ ora che me ne vada ; perché se il loro sguardo sarà così rivolto verso di me, o su chiunque altro di noi, essi non verranno al loro vero Maestro. Questo sistema di stipendiare ministri  ha già guastato tanti, impedendo che facessero fruttare essi stessi i propri talenti: mentre il nostro sforzo tende a condurre tutti gli uomini al loro Maestro dentro di sé (Giornale)

E qui la ragione e la base dell’accanita opposizione di G. Fox a degli Amici ad ogni forma di sacerdotalismo e di ministero stipendiato.

LA LUCE INTERIORE – MISTICA DI G. FOX

Ma occorre facciamo qui un piccolo sforzo per approfondire alquanto l’esperienza e il principio fondamentale della “Luce Interiore” degli Amici. C’è una pagina del Giornale, che sembra prezioso anello di congiunzione fra la concezione fondamentale del Cardinale Cusano in: De docta ignorantia (Della dotta ignoranza (1449) , e quella del Vico in Scienza Nuova (1774) ; tra i motivi di naturalismo magico della Rinascenza , e le concezioni intuizionistiche moderne.

Il Cusano aveva lì espresso l’intuizione , anzi “rivelazione” , ricevuta “superno dono  a patre luminum” , della onnipresenza dell’universo intiero in ogni singolo oggetto, “benchè in modo contratto , si da non essere questo, in atto , che quello che esso singolo è veramente”. Sicché Dio è in tutte le cose, perché tutte le cose sono in Lui… per la mediazione dell’universo”; e “dire che qualsivoglia cosa che è in qualsiasi cosa, non è altro che dire: Dio , attraverso il tutto, è in tutto; e tutte le singole cose, attraverso il tutto, sono in Dio”. “E se si consideri un individuo in cui si sia incarnata in forma contratta l’umanità assoluta, “questa ti apparirà quasi come Dio; e quell’umanità contratta, che è l’uomo individuo, quasi come l’universo”.

Ancora, per il Cusano – “nulla l’intelletto umano può comprendere che non sia già contratto in lui, e quindi non sia se stesso in modo contratto… : giacché comprendere è esplicare , per note e segni analoghi, un certo qual modo analogo che già si trova in lui in modo contratto”.

Nel Rinascimento si faceva quindi strada l’idea naturalistico-magica, che se l’uomo è compendio ed esponente dell’universo e fuori di lui non vi sono che frammenti, egli possiede il potere non solo di comprendere ma anche di assoggettare a sé le forze della natura, svelandole, dominandole, collaborando con gli spiriti, buoni o cattivi, per ottenere i suoi intenti.

  1. Fox , con una visione più spirituale, integra quest’analisi del “Dio è in tutte le cose o ogni cosa è Dio, perché tutte le cose sono in tutte le cose”, nell’esperienza religiosa immediata dell’anima umana in Dio; e non pago di sapere che chi in ogni cosa riconosce un’espressione dell’Universo intiero ha visto in ogni cosa Dio, né di attribuire all’uomo , microcosmo, la virtù di scoprire e dominare le forze della natura, proclama che è nella unione mistica con Dio che l’uomo acquista la conoscenza e il dominio del mondo fisico, delle coscienze, e dell’arte di governo. Ecco la pagina , veramente straordinaria ed audace per un giovane incolto, all’età di 25 anni, novizio nelle vie dello spirito , ridotta con alcune recisioni:

“Dio m’introdusse in grandi verità, e mi furono rischiarate meravigliose profondità, al di là di ciò che può essere spiegato con parole…

Il Signore m’illuminò su tre punti, relativi alle tre grandi professioni del mondo: la medicina, la così detta teologia, e la legge. E’ in proporzione che gli uomini si lasciano dominare dallo spirito di Dio e crescono ad immagine e nel potere dell’Onnipotente, che essi possono ricevere la parola della sapienza che tutte le cose rivela, e giungere a conoscere l’unità che si asconde nell’Essere Eterno. Mi trovò che i medici erano privi della sapienza di Dio per mezzo della quale le creature furono fatte; e perciò non conoscevano la loro virtù ; che i preti erano privi della vera fede, che purifica e concede la vittoria e conduce il popolo fino a Dio…; mistero di fede che solo una pura coscienza comprende.  E mi mostro’ ancora , che i giuristi erano privi dell’equità e della vera giustizia, e lontani da quella legge di Dio  che giudicò la prima trasgressione e tutte le colpe e che corrisponde all’offesa fatta allo Spirito di Dio, il quale viene contristato ed offeso nella persona dell’uomo. Mi fecero vedere come  queste tre classi… governano il mondo…senza sapienza, senza fede, e senza l’equità e la legge di Dio: gli uni pretendono di curare i corpi, gli altri di curare le anime, e i terzi di aver cura della proprietà privata, pur essendo privi della sapienza, della fede, dell’equità e della perfetta legge di Dio….: Tutti avrebbero potuto essere riformati dal potere di Dio: i preti essere adotti alla vera fede, che è un dono di Dio; i giuristi condotti a quella legge di Dio che fa amare il prossimo come noi stessi…e fa vedere all’uomo, che se egli offende il suo prossimo offende se steso, e gli insegna a fare agli altri quello che vorrebbe che essi facessero a lui; i medici essere riformati anch’essi  e, imbevuti di quella sapienza di Dio dalla quale tutte le cose furono fatte e create, acquistate una giusta conoscenza delle creature e comprendere le loro virtù medicinali, di cui furono dotate dalla parola di sapienza che le fece e che le sorregge”.

Si rifletta sui concetti fondamentali di questa pagina: Qui, un secolo prima di Vico, è , a così dire, ripreso e corretto o integrato il criterio Vichiano della conoscenza. “Si può conoscere veramente una cosa “ – scriverà il Vico , – “solo quando la si fa”: il vero s’identifica col fatto. Perciò Dio soltanto può avere scienza perfetta delle cose tutte, perché Egli le crea. Invece l’uomo essere imperfetto, piò procurarsi solo conoscenze frammentarie, ristrette a ciò che egli fa, – quale le verità matematiche”.

  1. Fox così corregge ed integra: L’uomo diventando partecipe, nell’unione con Dio, – cioè immergendosi nella profonda intima essenza delle cose- della sua Sapienza, acquista anch’egli la conoscenza di quelle virtù delle cose che Dio conosce perché le fece e sorregge.

Fu G. Fox condotto a tale straordinaria visione e affermazione, dalla sua propria esperienza di conoscenze preternormali, “metapsichiche”; dalle sue chiaroveggenze e previsioni; dalle numerose guarigioni effettuate: poteri di cui nel Giornale si trovano copiosi esempi? Sarebbe la sua una teoria, a così dire, di “magia” religiosa, anziché antroposofico-naturalistica? Certo, la lettura del Giornale, ci pone in presenza di una personalità dotata di straordinarie qualità psichiche; e sarebbe desiderabile, che uno studio più approfondito su G. Fox “medium” – analogo a quello già stato fatto su Santa Teresa di Gesù “medium” – fosse condotto e pubblicato dalla Società degli Amici (Vedi “Divinity in Man” di J.W; Graham , cap.XII; le ricerche del prof. Henry J. Cadbury , dalle quali risultano più di 150 casi di cure operate da G. Fox, allora considerate “miracolose” oggi “psichiche”; lo studio di R. M. Jones sugli elementi psichici nella personalità di G. Fox).. Che, del resto, nelle origini del movimento da G. Fox  promosso abbiano abbondato i fenomeni  “metapsichici” di telepatia, chiaroveggenza, previsione  ecc. risulta , fra l’altro , dalla raccolta storico -critica fattane da J.W. Graham in Psychical Esperiences of Quaker Ministers. E’ quanto si constata nella storia di tutti i riscegli (“revivals”) religiosi, i quali agitando potentemente e facendo affiorare le forze giacenti sotto la soglia della conoscenza, “l’io sublimale” sembrano offrirle barlume di anticipazione di quello che sarà. Forse lo stato dell’uomo emancipato dai limiti dello spazio, del tempo e del carcere corporeo che fraziona l’io universale negli individui isolati.

Altro concetto fondamentale di George Fox è che la scienza e l’arte del governo e del magistrato è possibile solo a chi, e in proporzione che, abbia in Dio visto che “l’uomo che offende il prossimo offende se stesso”; a chi abbia cioè la visione dell’unità costituzionale della natura di tutti gli uomini, nell’essere in cui tutti vivono; “Non sai tu che tu sei me?” (Victor Hugo). Unità costituzionale, senza la cui intuitiva visione sarebbe freddo e irragionevole l’appello della legge etica insita nell’uomo del “fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi” Perché ciò, se noi fossimo distinti realmente dagli “altri” ? La visione che ogni offesa fatta l’omo è offesa la comune natura e trasgredita la comune legge divina, s’identifica quindi con la visione diretta di ciò che di Dio è nell’uomo, e dell’uomo in Dio. E “il mistero di fede che solo una pura coscienza comprende”, di Fox, non è una presuntuosa teologia – vana ciarla di chi osa esprimere l’ineffabile e offendere il silenzioso omaggio della contemplazione – ma è “accesso a Dio”, “un dono di Dio”; e solo chi lo possiede può “curare le anime”:

Era una tempra di puritano, se non di Amico, chi vedeva che “il giorno dei giorni, il gran giorno del festino, della vita, è quello in cui l’occhio interiore si schiude all’unità delle cose, alla onnipresenza della legge: scorge che essa deve essere, è bene che sia, o è la miglior cosa: Quando questa beata visione scende su di noi dall’alto, solo allora noi vediamo” (Emerson).

Forse, più ancora che il Cusano, che la magia della Rinascenza, che lo stesso Vico, possono, indirettamente e per via suggestiva, aiutava chi non ha avuto la esperienza religiosa di G. Fox, a intuire il significato della sua “Luce Interiore”, ciò che scrittori contemporanei echeggiano dalla esperienza mistica tibetana dei “meditanti”, di una coscienza cosmica, e dalla intuizione religiosa in mentalità scientifiche e poetiche moderne.

Un collaboratore dell’Hibbert Journal così terminava uno studio su “Dio principio di concrezione”:

“Quando, per mezzo dell’esperienza religiosa, l’uomo discerne l’ordinamento dell’universo intiero per rispetto ad ogni oggetto particolare., cioè il principio di concrezione, egli ha appreso Dio, la Bellezza, l’Amore. Poiché Dio è quell’ordine e sistema per il quale ogni essere è organizzato per modo, che ogni cosa è un microcosmo che rappresenta in se stesso l’intiero universo che tutto abbraccia, come in una stilla di rugiada si riflette il cielo.”

E il poeta contempla: “Fiorellino nel crepaccio del muro, ecco, io ti ho svelto, e tutto ti stringo qui, radice e tutto, nella mia mano, o fiorellino: ma se io potessi comprendere ciò che tu sei, radice e tutto, e il tutto nel tutto, io saprei che cosa è Dio e che cosa è l’uomo” (Tennyson).

Non bisogna però credere che la “Luce Interiore” di G. Fox e il suo messaggio riguardino solo, o principalmente, quegli stati, misteriosi per i non mistici, propriamente detti “mistici”, di cui sono soggetto , a intervalli, persone dotate per temperamento di una speciale capacità di immergersi nell’”io profondo” universale, e di sentire i flussi psichici che emanano, accompagnati spesso da visioni, estasi, coscienti, vive emozioni , e da la fenomenologia metapsichica. L’esperienza mistica non è presumibilmente formata di una stoffa diversa da quella che costituisce l’intuizione e la “voce della coscienza” di ogni individuo umano; e la irruzione di luce e calore che l’accompagna, e che fa gridare: “Deus ecce Deus” non è che un’apparizione , fulgurazione, rivelazione di quell’ospite velato e presente che è al fondo dell’essere morale do ogni uomo, e non già solo Cristiano: quella “Luce Interiore” alla quale S. Franck  (1499-1543) aveva già riconosciuto caratteri di universalità e criteri d’infallibilità, e alla quale si volge la nota  invocazione di H. Newman: “ In mezzo alla foschia che mi circonda,  – Amica luce , deh! Guidami tu – La notte è buia, ed io ben lungi sono dalla casa mia – Amica luce, deh! Guidami tu. – Guida il mio passo: io non ti chiedo o luce – Di rivelarmi lontane visioni. Un passo per volta mi basta…”

“E precisamente ai non mistici “ – scrive E. Grup in “Essenza del quaccherismo” (digitalizzato) –  “a quelli cioè che tendono a dubitare della loro capacità di un’esperienza religiosa, che il Vangelo della Luce di Dio in tutti gli uomini s’indirizza in modo speciale. Coloro che con le visioni o con le estasi coscienti, Il messaggio di Fox è invece questo: La Luce del Cristo è nell’anima di quanti vogliono con obbedienza seguire il meglio di ciò che hanno appreso, coscientemente o inconsciamente “. E “dovunque siano anime non mistiche , cercatrici, inquiete, insoddisfatte…, anime prigioniere, anelanti alla luce e alla libertà…, l’appello di G. Fox eserciterà su di esse una grande influenza… , interpretando loro il significato di questa vita quotidiana che sembra loro così sterile; rivelando ad esse quel Dio sconosciuto, che vanno cercando quasi brancolando…” (E.W. Littleboy).

Notevolissima è l’anticipazione della posizione idealistica contemporanea, che troviamo in G, Fox e nei primi “Friends”, quando affermano (G. Fox Lettere, pag. 14) che l’uomo non potrebbe avere coscienza della colpa (Fox dice: “del vuoto, nudità sterilità, infecondità, durezza del cuore, indegnità”), se non possedesse in una certa misura “La Luce che rivela tutto questo, e l’amore di Dio in lui”. Il “male“ è, per essi, rivelato alla coscienza della Luce; dal “divino” che è nell’uomo”. Quindi è assurdo opporre a questo principio la testimonianza di quel senso di colpa e di rimorso, di “male” , che – scrive B. Croce in l’Azione Libera – fa parte del processo di cambiamento, anzi l’effettivo cangiarsi mercè quel dolore”. Non è sull’oscurità, ma sulla Luce che la rivela, che i Friends pongono l’accento,

La sola differenza fra la “Luce Interiore” di G. Fox e quella degli altri mistici fu, anziché teorica, di ordine pratico e di grado di fiducia. “G. Fox “scrive ancora il Grubb, “si fidava dell’esperienza personale della immediata presenza dello Spirito e della guida di questo , fino a un punto tale da basare su questa fiducia tutto il suo sistema religioso. Egli ripudiava tutte le difese esteriori che erano escogitate, nella speranza di mantenere l’ordine e l’unità nella Chiesa: cioè un clero appositamente ordinato, – con sacramenti e forme ben fisse di culto – le credenze tradizionali, la stessa lettera della Scrittura, se considerata come una regola esteriore di fede e di costumi… Gli Amici ritenevano , che la rivelazione e l’ispirazione di Dio appartengono non soltanto al passato ma anche al presente: e mantennero le loro anime vigilanti nell’attesa. Ebbero il coraggio di confidare assolutamente nello Spirito, e lo Spirito non li abbandonò giammai (Grubb, op. cit.) ( Un secolo dopo G. Fox Adam Smith nella sua Theory of Moral Sentiments (1759) , chiamerà la coscienza “ semi -dio ospite del nostro petto, grande giudice ed arbitro della nostra condotta”).

Come questa posizione nettamente individualista non degenerasse nel disfrenamento dell’ “ogni libito è lecito” , e quale temperamento fosse ad essa apportato dall’influenza dello spirito della comunità e dalla organizzazione della Società, è ciò che ora vedremo . Notiamo però  che quando fra gli Amici si ebbero casi individuali di gravi aberrazioni, anche morali. G. Fox , nell’opporsi ad esse con l’autorità  che gli veniva dal consenso della comunità, non si peritò di parlare, a nome di una sua superiore ispirazione, di “resistenza” (degli aberranti) “al potere di Dio in me”, di “verità dichiarata per mezzo mio”.

“HAI VISTO IL TUO FRATELLO? HAI VISTO IL TUO DIO. INCHINATI E ADORA” (Tertulliano)

Non deve, dicevamo , impressionare il fatto che trova riscontro nella psicologia di tutti gli eroi della religione e della condotta – anzi in tutte le anime radicalmente sincere che si sforzano di seguire la voce della coscienza – che George Fox fosse, e gli Amici a tutt’oggi siano, persuasi che la “Luce Interiore” rivela loro la divina volontà, e non solo come norma di condotta in generale, ma anche in modo dettagliato nelle singole azioni; giacché essi non rivendicano questo divino carattere della coscienza solo per sé, ma ugualmente per tutti gli uomini, se e in proporzione che essi prestino ascolto alla voce di Fio in loro, e seguono la “Luce Interiore”. Essi volentieri ricordano “ il Dio che risiede entro di te”; e “devoto a quel nume che risiede in lui stesso”. Di Marco Aurelio; il “Vicino a te è Dio; con te, entro di te”, di Seneca. I casi del “Demone” di Socrate, delle “Voci” di S. Paolo, di Jeanne d’Arc, di “visioni”, e simili , nulla hanno per essi di straordinario, fuori della forma anormale, allucinatoria, di chiaroveggenza o chiaro-udienza.

Importante conseguenza della religiosa presunzione degli Amici che anche negli altri sia la voce di Dio che parla, si è il temperamento apportato all’individualismo dell’atteggiamento riverente che essa induce verso ogni altra personalità, dalla seria presa in considerazione di qualsiasi espressione d’idee o direttive di condotta pratica, che si abbia motivo di credere emanate da un profondo motivo di coscienza, e la cui impostazione generale – specie negli altri Amici – si accordi con la loro; è un impulso spontaneo a domandarsi, di fronte a chi professi idee e opinioni diverse e segua una linea diversa di condotta, quale aspetto della verità teorica e pratica ad essi sfugga, quale elemento nuovo, e forse prezioso, l’avversario apporti, meritevole di essere assimilato, se e in quanto ciò riesca possibile, e tesoreggiato in una sintesi superiore.

Atteggiamento dunque di comprensione riverente e simpatica, che anziché condurre alla glorificazione e alla canonizzazione dell’individualismo teorico e pratico, all’atomismo morale, e meno ancora allo sfrenato soggettivismo del: “ogni opinione è verità”, e ogni “ libito è lecito” , tende invece a favorire l’apertura verso le altre coscienze, il senso dell’umiltà , e della riverenza verso la poliedrica realtà divina; a smontare l’orgoglio dell’ortodossia e la pretesa dell’infallibilità; a promuovere l’abitudine dello sdoppiamento psicologico, che considera in ogni questione controversa il punto di vista degli altri; a disporre ad apprendere gli uni dagli altri, ad arricchire l’esperienza religiosa e morale di tutti con l’apporto di ognuno. E’ il fattore sociale, o della “simpatia” che compie così la sua funzione equilibratrice, ma ad un superiore livello religioso di mistica della comunità.

A questa disposizione di umiltà, di deferenza e venerazione per lo spirito specie della comunità degli Amici, corrisponde l’atteggiamento sereno con cui questa accoglie, nelle Assemblee degli Amici, ogni opposizione d’idee e di linee di condotta che sembrino difficilmente accettabili, consacrando ad esse , occorrendo , alcuni minuti di silenziosa riflessione; eventualmente , se la refrattarietà all’assimilazione e alla sintesi risulti in un primo tempo insuperabile, rinviando ogni decisione ad un più maturo esame, e invocando un afflusso più abbondante di luce, prima di prendere decisioni e provvedimenti, specie se di carattere disciplinare. Tutte le controversie private tra Amici debbono essere decise per mezzo di arbitri.

Ancora, è in omaggio a tale spirito, che nella Società degli Amici, vera teocrazia democratica, il governo della comunità è collettivo; e che è uguale in ogni membro , uomo o donna, il diritto di esprimere nelle assemblee il proprio parere su ogni deliberazione da prendere; e la decisione è presa non già dietro una votazione, che creerebbe una minoranza sconfitta, ma dietro proposta del presidente – notaio “clerck”, il cui ufficio è di riassumere ed esprimere quello che a lui sembra sia il “sentimento dell’assemblea”.

Dallo stesso principio della “universalità della luce interiore” discende che, uguale essendo la responsabilità di ognuno nel rendere testimonianza alla voce di Dio in lui per il bene della comunità, ognuno è sacerdote, e ha il dovere di contribuire , senza compenso, all’edificazione della comunità e al vantaggio spirituale di tutti i suoi fratelli uomini (“Volontarismo” già propugnato da Milton , divenuto qui sistema di ministero e di governo); ma nessuno può, d’altra parte, arrogarsi un’autorità spirituale sui suoi fratelli, né pretendere alla funzione d’intermediario fra essi e la propria coscienza; nessuno deve fare un commercio delle proprie esperienze religiose e dei doni che Dio gli ha gratuitamente largito, facendo del ministero una professione. Ed è altresì questo riconoscimento della luce divina nell’animo di ogni uomo, che – con parole di I Pennington , uno dei primi Amici, – “forma la vera base dell’amore e dell’unità”: che sorge, non già dal riconoscere che l’uno o l’altro incede per la stessa mia via e agisce come me, ma dal sentire che esso è animato dallo stesso spirito e dalla stessa vita che sono in me”.

SACERDOZIO UNIVERSALE
Qual è allora la funzione che un Amico può rivendicare; e in che consiste la missione a cui G. Fox consacrò l’intiera sua vita? L’abbiamo già inteso da lui proclamare: “condurre gli uomini al Maestro dentro di sé” Anticipando la concezione educativa di Pestalozzi : “Sprigionare le forze latenti, accendere una luce interiore nel fondo dello Spirito : non già imporre la propria personalità” egli scrive; “ I ministri dello Spirito debbono aiutare lo Spirito prigioniero, incarcerato in ogni uomo, acciò… gli uomini siano condotti a Dio , il Padre degli Spiriti, lo servono, e realizzano l’unità con Esso, e l’uno con l’altro. La vostra condotta e vita sia una predica, fra e per ogni sorta di persone: allora voi inciderete lietamente per il mondo rispondendo al divino che è in ogni uomo, riuscendo per tutti una benedizione, e allora la testimonianza che Dio renderà in essi vi benedirà…” (I sottolineamenti sono nostri).
E tale è il suo ministero: “Io li indirizzai al loro maestro, la Grazia di Dio , sufficiente a insegnare loro come vivere e che cosa evitare… e che, se ubbidita, li condurrebbe a salvamento”; “Li esortai ad ascoltare la voce di Dio nei loro cuori, perché Egli era ora venuto a istruire Egli stesso il Suo popolo” (Giornale).
Con parole del suo famoso seguace William Penn: “Non sono un’opinione o una teoria, né l’assenso ad articoli di fede o a proposizioni , e la loro accettazione per quanto espressa in termini perfetti, che fanno di un uomo un vero credente o un vero cristiano: ma è la conformità del pensiero e della pratica con la volontà di Dio, in tutta la santità della condotta, in accordo coi precetti del principio divino della luce e della vita nell’anima, quella che indica che uno è veramente figlio di Dio”. E ancora: “Gli umili, i miti, i misericordiosi, le anime giuste, pie e devote appartengono tutte alla stessa religione; e quando la mote avrà tolto loro l maschera, esse si riconosceranno tali, benché quaggiù le diverse livree che indossano li rendano stranieri gli uni agli altri”. Nobile epigrafe, per un congresso universale delle religioni.
Rovesciando la concezione prevalente tra le Chiese a tipo sacerdotale professionale – per le quali la teologia e il sacramentalismo sono indispensabili per giustificare la necessità dell’esistenza di una casta di specialisti di teologia e di tecnici del ritualismo – gli Amici confidavano e confidano , che “a difendere contro gli errori dottrinali, inconciliabili con una concezione e una vita cristiana, non occorra un sistema di teologia né una casta sacerdotale ma provveda l pratica di questa stessa vita; che coloro i quali seguono effettivamente la “luce di Cristo”, accettino quasi per istinto le concezioni che mantengono la Sua vita nell’anima , e respingano quelle che non rispondono allo scopo; e che se tutte le energie fossero impiegate per mantenersi fedeli a Cristo, la rettitudine delle credenze si otterrebbe come per riflesso automatico” (E: Grupp, op. cit.) . Già nelle prime pagine del Giornale, G. Fox scriveva: “Nessuno è vero credente, eccetto che è trasferito dalla morte alla vita. Gli altri sono a torto chiamati “credenti”.
“Chi opera la verità viene alla luce” (Giov. III, 21)
L’esperienza personale di Fox nella sua crisi giovanile, nella quale nessun aiuto i preti avevano saputo dargli, contribuì a mostrargli che, “l’ver frequentato i corsi (teologici) di Oxford e Cambrige non è sufficiente per abilitare un uomo ad essere ministro di Cristo”. E quando egli, benchè semplice laico, ignaro di teologia, ebbe da sé ritrovato la Luce nel fondo della sua coscienza, ne concluse non solo che l’intermediario sacerdotale professionale era superfluo , ma che ogni Cristiano può essere chiamato ad essere ministro verso gli altri dei doni da Dio ricevuti, ogni Cristiano può annunziare la “parola di Dio”, abbandonandosi all’ispirazione che domina sovrana nelle riunioni dei fedeli; perché : “dove due o tre sono adunati nel mio nome, lì io sono in mezzo a loro”… A Lui perciò gli Amici lasciano il pieno controllo delle loro adunanze; e per evocare la Sua sensibile presenza in mezzo a loro, l’unico sacramento e rito efficace da essi ammesso è il silenzio insieme, nell’atteggiamento di tuffarsi e sommergersi, quasi depersonalizzandosi, nell’anima della comunità nella quale risiede Dio: silenzio di abbandono , attesa e preparazione, da non rompersi fino a che il Maestro invisibile ne dia il segnale, ispirando l’uno o l’altro a divenire l’organo vocale di ciò che Egli ha da dire ai suoi figli. Un silenzio, quindi, espressione diretta della fede ed esperienza della “Luce interiore”.
Realtà sperimentata e ispirazione attuale: non formole di riti; non cerimoniale prestabilito; non preghiere convenzionali e stereotipate, composte da altri, in passato, in circostanze diverse da quelle tutte personali di chi le esprime: tale è il culto degli amici. “in spirito e verità”. Ispirazione sempre personale, e sempre nuova.
Essi hanno pienamente rivendicato quella “libertà di profezia”, di cui Paolo scriveva a Timoteo; “Tutti potete, uno per uno, profetare, perché tutti imparino e tutti esortino”; e di cui un Amico scrive : “ Noi vogliamo la “libertà di profezia”: NON QUELLA DELEGATA AD UN SOLO PREDICATORE, che con le limitate risorse della sua esperienza e con prestabilite cerimonie liturgiche pretenda di fare la presentazione a Dio e di parlargli delle molte e diverse necessità spirituali di coloro che assistono al culto, ma quella libertà che renda possibile ad uno di esprimere le necessità di alcuni e ad altri di altri… Le allocuzioni “preparate” non varranno mai quanto la semplice e breve offerta delle anime umili che si sentono mosse ad esprimere la loro modesta testimonianza o loro preghiera…”
(E. Grubb, 1, cit,)
Nelle adunanze religiose degli Amici non ha luogo l’esosa mortificante distinzione tra “l’uomo spirituale e sacro” (sacer-dos) , amministratore , interprete, portavoce e profeta di spiritualità, e il gregge del volgo profano, laico, atto solo ad appartenere e a ricevere , da un individuo considerato di casta o grado superiore; segregato dalla massa dalla sua professione di virtù eroiche e di assenza di passioni; dalla sua coltura teologica, spesso gretta o antiquata, o cenere e scoria di religiosità altrui; dalla sua uniforme più o meno bizzarra o stravagante. “Tutti vivono in Dio” ; tutti sono espressione e veicoli di vita: ognuno è sacerdote e responsabile dell’anima del suo fratello, “E tanto l’uomo ha di scienza (spirituale) quanto opera (Francesco d’Assisi);
Prosegue col capitolo ADORARE DIO IN SPIRITO E VERITA’ SINCERITA’ E SEMPLICITA’

Adorare Dio in Spirito e verità, sincerità e semplicità

Il culto della sincerità e del realismo; la cristallina trasparenza nella condotta dei sentimenti professati , sono la più tangibile traduzione pratica del principio di G. Fox e degli Amici della Luce Interiore guida delle azioni; il contrassegno più nobile del loro carattere.

“Sii fedele al tuo proprio io. Ne seguirà – come alla notte segue certo il giorno – che non potrai , allora , essere falso verso alcun altro uomo (amleto di Shakespeare.

L’ipocrisia , la falsità , la doppiezza , la reticenza prudente, l’artificio, il convenzionalismo , l’opportunismo, l’incoerenza pratica, la mancanza di carattere, specie se ammantati dall’orpello religioso e redimiti sacrilegamentente, – per mezzo del giuramento – dell’aureola di santità che loro viene dall’invocata testimonianza divina della purezza d’animo, fatta da chi al proprio io e alla verità è infedele , non ebbero forse , dopo il gran martire della verità, avversario di ogni insincerità e ipocrisia ( “sia il vostro parlare : sì. sì; no , no) , e flagellatore dei profanatori del tempio; un nemico più radicale , irreconciliabile, – talvolta fino alla rudezza – di G. Fox , specchio tersissimo e adamantino di sincerità vissuta, in ogni momento e in ogni atto di una vita eroicamente fedele all’ideale. Cento volte G. Fox avrebbe voluto potuto salvarsi dalla prigionia con una mancia al carceriere, con una garanzia in denaro, con una formalità che implicasse una qualche ammissione di colpa, quale la richiesta della “grazia” sovrana. Non superbamente ma con dignitosa cristiana fierezza, egli si rifiutò sempre af ogni volta , ad ogni doppiezza, ad ogni ammissione di colpa, preferendo “rimanere in prigione tuta la vita, anziché uscirne per una via che disonorasse la Verità”

E la sincerità , la semplicità , la coerenza fra i principii e la condotta ; la identificazione completa tra la religione e la vita; il franco coraggio , e se occorre , la resistenza modesta, tenace ma non battagliera , è a tutt’oggi ol “cachet” di nobiltà degli Amici: appunto perché , purtroppo, l’insincerità e l’incoerenza fra la religione professata e la pratica della condotta è vizio capitale anche tra i professi Cristiani.

E’ troppo facile fare dell’ironia sul rifiuto tenace di G. Fox di togliersi il cappello dinnanzi alle autorità e ai grandi del mondo, e di attribuire loro titoli onorifici, – cioè come affermazione della uguale rispettabilità di ogni conservo del comune Padrone, che compia onestamente il suo dovere – sul suo uso costante di dare del “tu” a qualunque persona singola, astenendosi dal rendere ad alcuno, incontrandolo, ossequi, omaggi, auguri convenzionali, quali “servo suo” , o “buon giorno o buona sera”, – quasi che tutti i giorni non siano buoni per chi vuole essere buono, e quasi che tra “fratelli” vi siano “servi” – e dal fare inchini e riverenze, ecc: ma è meno facile comprendere, che sono proprio queste piccole infedeltà d’ogni ora e d’ogni istante alla sincerità e alla propria dignità , questa mascheratura abituale di forme convenzionali di rispetto, di stima, di cordialità e di altri sentimenti che non siano effettivamente provati, ecc. , sono queste le radici invisibili e sottili di quella deformazione profonda del carattere, che ci fa mostrarci ciò che non siamo. e ingenera in noi quell’abituale insincerità nel parlare, nel trattare (“la parola ci fu data per nascondere i nostri sentimenti” , disse Talleyrand) e nel vivere, che è divenuta una seconda natura dell’uomo “civile” , e la caratteristica della vita sociale delle nazioni “!civili”. Parecchie di queste forme più affettate di reazione di sincerità sono decadute oggi nell’uso dei Friends, in proporzione che il consolidamento dello spirito che le animava le ha rese superflue.

Della campagna condotta da G. Fox contro tutti i giuramenti -spergiuri, e contro la ridicola illusione delle pubbliche autorità , di poter puntellare con essi la fedeltà vacillante dei sudditi – contro la quale egli appuntò la più fine ironia , additando ai suoi giudici i girella e le banderuole a vento della politica anche tra i giuratissimi componenti delle loro Corti di tribunali, – sono piene le pagine del Giornale. Valgano per tutti due passi “Il Parlamento ha giurato, i giudici han giurato, e la legge si regge sulla forza di giuramenti”. “Io replicai , che ormai dovevano aver fatto l’esperienza sufficiente di ciò che valgono i giuramenti umani,,, Dissi ; “Il nostro ” sì ” è un “sì” e il nostro “no” è un “no” ; e se noi trasgrediremo il nostro “si” e il nostro “no” , fateci pure soffrire quello che soffrono , o dovrebbero soffrire, gli “spergiuri” (Giornale). E altrove : “Quale diritto avete voi , spergiuri, infedeli alla vostra promessa di concedere libertà di coscienza e e religione, di esigere da noi un atto di culto qual’è il giuramento?” . noi non osiamo giurare, perchè non osiamo mentire (W. Penn) (1).

! La legge inglese relativa ai giuramenti , la quale permise già agli Amici nel 1689 e nel 1883, e successivamente anche ad altri per motivi di coscienza, di sostituire al pubblico giuramento una solenne affermazione, è concepita esattamente nei termini proposti in più occasioni da G. Fox. Nella sua forma ultima e definitiva del 1888 , la detta legge ha per primo articolo questa dichiarazione: ” Chiunque sollevi obbiezione contro la prestazione del giuramento , e motivi tale obbiezione con la mancanza di un a fede religiosa, o con la opposizione della sua fede religiosa alla prestazione del giuramento, sarà autorizzato a sostituire una solenne affermazione al posto del giuramento, in tutte le circostanze e per tutti gli scopi in cui la legge esige o esigerà il giuramento: e tale affermazione avrà lo stesso valore ed efficacia di una prestazione di giuramento; e se chiunque, con quella dichiarazione venisse ad affermare malignamente , falsificando o deformando la verità, qualunque cosa o materia che, se deposta con giuramento rappresenterebbe una maligna deformazione della verità e fosse spergiuro”. Altre nazioni oltre quelle della Federazione Britannica (Stati Uniti, Francia, Svizzera, Russia) autorizzano chi si rifiuti di giurare , sia per motivi religiosi che agnostici, a sostituire al giuramento una formula di dichiarazione solenne. L’Italia democratica, che pure ha avuto una esperienza probativa del nessun valore morale nè politico del giuramento, sembra nulla avere ad essa appreso; essa si mantiene tutt’ora appartata, su posizioni medioevali, esacerbando con La imposizione di giuramenti-spergiuri la piaga nazionale, sempre aperta, della insincerità, della ipocrisia, dell’opportunismo.

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Alla scrupolosa e rigida sincerità degli Amici nel commercio, – furono essi ad adottare il sistema dei prezzi fissi – resero ben presto eloquente testimonianza – dopo un inizio d’isolamento e di povertà – l’affluire ad essi della clientela , e più tardi della ricchezza. C’è una pagina del Giornale, che vale tutto un trattato di Economia Politica e di Etica sociale;

“Da principio, quando gli Amici… si ricusarono di adottare le mode e i costumi mondani, molti di essi commercianti di varie specie, persero la clientela, essendo la popolazione sospettosa di loro e non volendo trattare con essi. Ma più tardi , quando la popolazione fece esperienza della onestà e veracità degli Amici, e trovò che il loro “si” era un si , ed il loro “no” un no; quando constatò che negli affari facevano onore alla parola data, e mai ingannavano nè truffavano quando potè verificare che, se si mandava una fanciulla a fare acquisti ai loro negozi, il cliente era attratto ugualmente bene, come se fosse andato egli di persona, allora… la situazione si rovesciò per modo, che la domanda comune divenne: “Dove si può trovare in questo paese un mercante di stoffe o un esercente , un sarto o un calzolaio, o qualunque altro negoziante, che sia Quaker? Conseguenza fu che gli Amici facevano più affari che molti dei loro vicini, e se si faceva qualche commercio, un gran parte in esso l’avevano loro. Allora i professanti invidiosi cambiarono tono , ecc” (Giornale).

Lo stesso culto della semplicità e della sincerità, l’orrore dell’ostentazione, il bisogno di fare apparire in tutti i loro atti i sentimenti interiori e la stima dei veri valori, trovarono in G. Fox e negli Amici, nell’avversione, al lusso, ed in una puritana preferenza per i giochi e divertimenti semplici e poco costosi, e sopratutto che non esponessero a rilasciamento della morale. Ecco come lo spirito degli Amici a questo riguardo viene espresso nel loro manuale ufficiale di Disciplina Cristiana:

“…Non è già per diminuire, bensì per aumentare la loro felicità , che noi affettuosamente invitiamo i nostri cari Amici a sottomettere senza riserva tutte le loro azioni, anche quelle intese a scopo di ricreazione, alla sante limitazioni e alla disciplina dello Spirito del Signore…

Si pongano essi, dietro la guida della luce interiore , in riguardo a qualche particolare divertimento, la domanda : “Importa un incomodo o un pericolo per altri? implica crudeltà verso gli animali? Conduce a cattivi incontri… ,che possano indurre noi od altri in tentazione? Esercita esso un’influenza demoralizzante su coloro che se lo procurano? E’ di ostacolo al nostro progresso spirituale?”

E in particolare per il lusso, un autorevole Amico suggerisce di domandarsi: ” La spesa che mi propongo di fare ha principalmente per fine l’agio mio personale, la vanità l’ostentazione , ovvero servirà ad elevare , raffinare abbellire la mia vita di cui siamo capaci? … Fino a qual punto … essa mi separerà maggiormente dai miei fratelli che sono nella povertà?”.

Che questo puritanismo dei costumi non fosse suggerito da uno spirito di rigida grettezza, da un nuovo formalismo, da paura della vita; che esso non tendesse all’abnegazione bensì all’elevazione ed espansione della personalità , è proclamato da G. Fox in più occasioni.

“La nostra religione non consiste certo nella morigeratezza dei cibi e delle bevande, della modestia degli abiti e del dare del tu, nel rifiutare di toglierci il cappello e di fare riverenze… Benchè lo Spirito di Dio ci indirizzi a tutto ciò che è conveniente e decente e ci tenga lontani dalle pratiche licenziose e dissolute, e dagli sports, passatempi e festini… e ci vieti di indossare costosi abbigliamenti… e di rendere gli onori e seguire i costumi e le mode del mondo, la nostra religione, però, consiste essenzialmente in quello spirito che ci sospinga a “visitare i poveri, gli orfani e le vedove, ci preserva dalle macchie del mondo: è questa la religione pura e immacolata dinanzi a Dio” (Giac. 1,27).

E’ qui la spiegazione dello sviluppo che hanno avuto nelle Società degli Amici le attività assistenziali e i movimenti di riforma sociale.

Aborrimento dell’uso delle armi e della guerra

Nessuno degli atteggiamenti caratteristici di G. Fox e degli Amici, ispirati dalla loro esperienza della universalità e immanenza della Luce Interiore in tutti gli uomini, ha avuto tanta risonanza e ha suscitato tanta opposizione, quanto la loro approvazione di ogni uso delle armi contro individui umani , e il loro rifiuto a partecipare a qualunque atto che avesse per conseguenza la lesione dell’integrità fisica dei loro fratelli uomini.

Su questo punto, G. Fox non ebbe mai dubbi nè esitazioni ; e la sua testimonianza contro la guerra fu piena , esplicita e decisa, fin da quando nel 1650 a 26 anni , preferì di ritornare per altri sei mesi nella prigione di Derby, dove era stato incarcerato già sei mesi per la sua professione religiosa, anzichè accettare la nomina di capitano dell’armata nell’armata del Parlamento contro Carlo I Stuart. “Io risposi che sapevo bene come tutte le guerre abbiano origine nella concupiscenza;… e che io ero animato da quella vita e da quel potere che sopprimevano il motivo di tutte le guerre… Dovetti insistere, che io ero partecipe di quell’alleanza di pace, che era stata conchiusa prima che esistessero le guerre e lotte”.

“In un’epoca di lotte e di spargimento di sangue, i Quakers si eressero paladini dell’uso delle armi della luce anzichè di quelle della forza bruta; della dolce ragionevolezza e della persuasione morale piuttosto che della spada; dell’arbitrato anzichè della guerra.” (Silvester Horne).

Non certo che G. Fox e gli Amici fossero i primi della Storia del cristianesimo ad assumere questo atteggiamento; che tutte le correnti mistiche e riformatrici dei primi secoli del Cristianesimo e del Medioevo cristiano furono contrarie alla guerra e al servizio militare; e i seguaci di Fausto Socino (1539-1604) avevano già diffuso largamente nella prima metà del secolo XVII nella stessa Inghilterra, quelle sue idee di radicale opposizione alla guerra e ad ogni violazione dell’integrità umana. che gli aveva coraggiosamente sostenuto a voce e con gli scritti in Polonia: però fu la coraggiosa “testimonianza resa dinnanzi al mondo intiero”. dalla Società degli Amici già dal 1660 con le parole : Noi riteniamo energicamente tutte le guerre e tutte le lotte , ed ogni combattimento con armi materiali, quale che ne sia lo scopo e il pretesto” (dichiarazione ufficiale diretta a Carlo II “dal tranquillo ed inoffensivo popolo di Dio , detto dei Quakers” v. Giornale) e continuata ininterrota , pur con non poche defezioni individuali, fu essa a mantenere sempre viva in Inghilterra e nel mondo intero, specie negli ambienti liberali e riformatori cristiani., il movimento di opposizione, non negativa ma positiva e costruttiva, alla guerra stessa, per motivi religiosi.

Ecco ciò che un Amico scrive al riguardo:

“Il principio della “Luce Interiore” significa, in linguaggio filosofico, che ogni persona cosciente vi è ed opera una super-anima , una Coscienza superiore a quella individuale . Ciò rende convinto l’uomo del vero, del bello e del buono, non soltanto la sua propria ragione, ma una Ragione ed una Bontà Universale che, per così dire, si sforzano di manifestare la sua natura… Il Cristiano deve costantemente mirare al raggiungimento di questa unità. Tutto ciò che lo separa dagli altri fratelli uomini – l’orgoglio, l’avidità, l’odio, la vendetta – lo separa dal Dio rivelato dal Cristo “… (E. Grubb)

Sotto un altro aspetto ancora , il principio della Luce Interiore professato dagli Amici si rilevò ben presto ad essi e ai loro superiori militari come inconciliabile col servizio militare e con qualunque altra forma di delega ad altri della propria coscienza. Essi , cioè sottoponendo sempre all’approvazione della propria coscienza, voce di Dio, la decisione della prestazione dell’ubbidienza , o meno, agli ordini imposti da qualunque forma di disciplina , anche militare, erano inetti a qualunque professione o servizio in cui ;”l’ubbidienza cieca , quali cadaveri” sia, come nel servizio e nella carriera militare, la prima condizione. Però è sopratutto la loro esperienza diretta, comune a tutti i mistici, dell’immanenza divina in ogni anima umana, che rende loro impossibile partecipare alla distruzione, quasi fossero “carne da cannone” , dei corpi umani , dallo spirito universale organizzati e animati per effettuare attraverso ad essi la propria incarnazione progressiva nel Mondo.

Ecco alcuni passi di un documento ufficiale della Società degli Amici (Meeting Annuale del 1900)

“Il Vangelo del Regno di Dio proclamò una nuova legge di ta. quella dell’intimo governo del Padre nel cuore dei Suoi Figli, e del reciproco legame della fratellanza e del servizio gli uni degli altri: fu questo il lievito segreto, che facendo fermentare le anime individuali, fece lievitare progressivamente l’umanità intiera…”

“Anche l’istituto della guerra dovrà cessare, in proporzione che lo spirito di fratellanza e il senso di giustizia aumenterà.

Nonostante l’abnegazione ispirata dalla devozione alla patria sui campi di battaglia, le operazioni belliche, quali si svolgono nella realtà, ci mostrano che la guerra è nella sua essenza un acciecamento dell’anima, un anestetico del cuore, un avvelenamento della coscienza morale, un disconoscimento del valore divino della vita umana; non è un’infedeltà parziale all’idea morale, ma calpesta tutto il codice morale e getta la sua sfida a ogni legge umana. La sua ferrea disciplina calpesta la volontà e la coscienza del combattente; lo spargimento di sangue genera da un lato odio e vendetta. e dall’altro l’orgoglio insolente della conquista, lasciata nei campi da essa devastati semenzai di lotte future. Giacchè “che qualcos’altro può la guerra produrre, eccetto guerre senza fine?” (Milton)

L’acquiescenza agli atti della propria nazione, che essi siano giusti che ingiusti , non è patriottismo. La devozione agl’interessi superiori della patria e la fedeltà alla verità esigono entrambi che noi ubbidiamo “piuttosto a Dio che agli uomini”, e con la mitezza e gentilezza di Cristo rendiamo la nostra testimonianza contro il male a costo d’impopolarità e di sofferenze. Chi ama la sua patria è geloso del suo onore dinanzi al tribunale della coscienza umana, tenero della salvezza degli elementi più belli della sua anima sua, e vivamente interessato alla conservazione di quel vigore morale che è la vita della grandezza nazionale: ben sapendo che “Solo per l’anima loro le nazioni saranno grandi e libere (Wordsvorth).

Noi crediamo che lo Spirito finirà per redimere la vita nazionale come quella individuale. per mezzo della fedele testimonianza dei discepoli di Cristo. Ora , se è l’amore universale di Dio – “che fa sorgere il suo Sole sui cattivi e sui buoni” – a formare la base del comando del Signore: “amate i vostri nemici”, che solo così diverranno “figli di Dio” , esso dovrebbe anche dominare e rigenerare tutto lo spirito della nostra vita, facendosi vivere “di quella vita e per quello che sopprime l’occasione di tutte le guerre, tutte generate dalla cupidigia (Giornale di G. Fox) – come tutte le liti sono generate dal desiderio di ricevere e di conservare. Noi perciò saremo coerenti nella nostra condanna degli aumenti degli armamenti, finchè continueremo a contrastare quella brama di dominio che cagiona questi aumenti; condanneremmo sinceramente la guerra finchè conserveremo il culto dei liberi dividendi. Sarebbe una fatale debolezza la nostra, se n on denunziassimo il crescente militarismo odierno, Ci sforzeremo perciò diu liberarci da tutto quello che tende a deteriorare la dignità dell’uomo o della donna nei conflitti industriali, o in quell’acuta forma di guerra che è la spietata concorrenza al fine di migliorare le condizioni sociali che impediscono il pieno sviluppo di facoltà vitali. E comprenderemo anche che (come scrive il Vescovo Wellcott) “…. i veri interessi di tutte le nazioni sono identici, perhcè essi sono gli interessi dell’umanità. La perdita di una nazione è la perdita di tutti e il guadagno di una, il guadagno di tutte; l’egemonia di una particolare potenza significa un impoverimento di tutto l’organismo. Una virtù non conforme a giustizia è sopratutto una calamità per i vincitori…la vita delle nazioni è una e la finalità comune è una sola…”.

“La nostra testimonianza contro la guerra non è dunque limitata , nè di carattere negativo, ma ha una lunga portata. Quando noi misuriamo i valori della vita e della morte alla luce dello Spirito non possiamo non restare impressionati dal valore sacro dell’umanità dinnanzi a Dio, dalle divine Sue potenzialità…. dall’alta missione alla quale è destinata. Come può un cristiano , faccia a faccia con queste grandi verità , non rifuggire con orrore dinanzi alla carneficina di una battaglia , e non sentirsi chiamato a una guerra più santa , da essere combattuta con altre armi, per un più alto servizio di Dio e dell’umanità?

“La pace” , ha detto Spinoza, “non è l’assenza della guerra: essa è la virtù che nasce dal vigore dell’anima” Tale è la pace propugnata da G. Fox e dagli Amici, e dai membri delle Associazioni dei “Resistenti alla Guerra”, degli “Obbiettori di Coscienza”. della “Riconciliazione dei popoli”, da essi ispirate, che sopprimono la guerra ognuno in sè , radicalmente , non solo ricusandosi di prestare il servizio militare, ma lottando contro tutte le cause morali, politiche ed economiche di essa.

Filantropia e riforme sociali

Nel Giornale di G. Fox troviamo anche, come diretta conseguenza della sua visione della “Luce” o “Semenza” di Dio in tutti gli uomini, vari accenni a riforme umanitarie, filantropiche, per una maggiore giustizia sociale, che da lui invocate, propugnate e iniziate, trovano poi nei suoi seguaci i pionieri, gli operai e gli apostoli, fino ai nostri giorni. E’ vero che comune a tutti i Cristiani ed ad altre religioni e filosofie era già da secoli il principio dell’uguaglianza e fratellanza di tutti gli uomini, dello sviluppo della propria personalità , nella libertà e nella sufficienza dei mezzi d’esistenza: tuttavia quelle offese all’umanità e quelle ingiustizie sociali, furono, e sono purtroppo ancora, l’opera anche di “Cristiani” di varie Confessioni ed esse continuano tuttora a sussistere, senza che la grande maggioranza dei Cristiani punto se ne commuova, nè faccia alcuno sforzo per sopprimerle , eccetto una sterile, teorica professione di condanna. Gli stessi mistici a cui dobbiamo pagine di sincera e fervida deplorazione di ogni forma di offesa alla natura e dignità divina dell’uomo, si limitarono in genere a riforme di carattere strettamente religioso e nei limiti della loro Chiesa o Setta, lasciando che lo Stato – “opera del diavolo”, o al più di “questo mondo” – andasse alla deriva, essi provvedendo a segregarsene il più possibile.

Per G. Fox e per gli Amici , il principio sperimentato della universalità della “Luce Interiore” e della divina “Semenza” , significò una ferma fiducia , anzi certezza, che da un lato, tutti gli uomini , senza eccezione, anche i più degradati, possono essere redenti dall’amore fraterno ed elevati a un comune alto livello di vita; e dall’altro , che gli ingiusti e violenti oppressori dei loro fratelli uomini, i funzionari dello Stato, i magistrati, i potenti e i prepotenti del mondo , possono essere condotti dalla dolce ma ferma resistenza alle loro ingiustizie e violenze , dalla calma ma inflessibile e costante protesta contro le loro aberrazioni, a riconoscere i loro torti, a rientrare nell’ordine , a salvare l’anima propria nell’atto stesso di salvare l’altrui: giacché “colui che è ingiusto con gli altri è ingiusto verso se stesso” , e i più da compiangere erano per essi non le vittime ma i carnefici.

Tipicamente “Amica” è la motivazione addotta da G. Fox , della proposta da alcuni “Amici” fatta al Parlamento , di entrare in carcere perchè i confratelli non vi perissero. “Ciò noi facemmo, sì, per amore di Dio e dei nostri fratelli,… ma anche per amore di coloro che li avevano gettati in prigione, perché non ricadesse su di essi sangue innocente, che grida alto dinnanzi a Dio, e invoca la sua ira e vendetta”.

“Ben lontani dall’ideale del monachismo , per cui il Cristiano cerca di raggiungere nella solitudine la comunione con Dio, lasciando che gli errori umani si correggano da sé, essi ritenevano che fosse loro compito di cambiare l’aspetto del mondo..; e non potevano restare inattivi , fino a che le anime fossero rimaste oppresse e degradate da cattive abitudini e da ingiuste leggi, le quali rendevano impossibile al germe che è in ciascuna di esse, di crescere e svilupparsi (E. Grupp op. cit.)

Nel 1672 G. Fox così scriveva al Governatore di Rhode Island: “Apprezzate quello che di Dio vi è in voi. Operate per il bene del vostro popolo. Togliete via ogni oppressione: ponete la giustizia sopratutto”. E già nel 1656, la partecipazione degli Amici alle “cariche pubbliche aventi a fine la prosperità e il benessere della collettività” era incoraggiata , allo scopo di “riuscire di modelllo ed esempio a coloro che non sono della Socierà, in ogni cosa giusta”.

Sono ben noti l’”esperimento sacro” di William Penn, uno dei orimi Amici, fondatore dello Stato della Pensylvania (1682-1775) democratico , pacifista e disarmato, liberista in religione , e altri arditi esperimenti fatti dagli Amici d’assumersi la responsabilità del governo di intiere colonie, per instaurare in esse una politica cristiana. Per il trattamento umano dei negri, e per la loro “liberazione dopo qualche anno di servaggio”.

G. Fox si adoperò nella sua visita in America ; e il movimento contro l’istituto stesso della schiavitù s’iniziò fra gli Amici già nel 1657. Un secolo dopo, nella loro Assemblea annuale di Filadelfia, veniva, – per la prima volta da una Confessione cristiana, – dichiarava inconciliabile la professione cristiana con lo schiavismo.

Contro le condanne a morte pronunziate “contro ladri di bestiame, di denaro e di altre piccole cose” G. Fox protestò con vemenza presso i magistrati fin dal 1650, dopo la sua prima esperienza delle prigioni di Derby, e ancora ripetute volte in altre occasioni; e ciò in seguito a “gravi sofferenze di spirito, anzi ad un vero senso di morte” , causatagli da tale disprezzo delle vite umane. E vi associò la protesta contro le lunghe prigionie preventive e le lungaggini della giustizia, che facevano delle carceri una “scuola di corruzione”. La riforma penitenziaria doveva poi divenire, insieme a quella degli asili dei mentecatti, un glorioso campo d’azione degli Amici. (Eroina di entrambi Elizabeth Fry). Iniziate come attività filantropiche , esse dovevano sboccare in vaste riforme sociali.

Il Giornale costituisce un documento storico per la conoscenza del sistema carcerario inglese nel XVII; non solo degli orrori delle prigioni, dovute specie alla venalità del carceriere, arbitro della sorte del colpevole, e alla assoluta deficienza dall’igiene ; ma anche della grande libertà di movimento e di rapporto con gli estranei , tale da farlo piuttosto somigliare a un domicilio coatto.

Appena venticinquenne , lungo i primi suoi passi sulla via dello Spirito, G. Fox sentì già con lucidità d’intuizione, che la condizione di povertà in cui versava gran parte della popolazione in seguito alla crisi economica che accompagnò e seguì quella religiosa e politica, non poteva che ostacolare lo sviluppo della “Semenza” divina affidata a tutti i cuori ; e assai istruttiva è la pagina del Giornale, in cui riferisce del suo intervento alla seduta convocata per fissare i salari del valere nel distretto di Mansfield – a norma dello Statuto degli Apprendisti – , allo scopo di esortare i delegati a “non sfruttare i servi con basse mercedi, ma a render loro ciò che era giusto ed onesto ” ; e nello stesso tempo, per “esortare i servi a compiere i loro doveri e servire onestamente”. Lì ancora ed in altre località , recatosi a varie sedute di tribunali ed ad adunanze di culto , esortò “giudice e preti ad abbandonare i sistemi di oppressione e i giuramenti, a rinunziare all’inganno e agire con giustizia, e rivolgersi al Signore” ; ed ebbe la soddisfazione di vedere le sue esortazioni ricevute di buon animo da ambo le parti, “perché a farle era stato indotto dal Signore”.

Fu anch’egli a iniziare nel 1659 nel Cornwall una reazione alla “barbara usanza” di profittatori di naufragi, che , noncuranti di salvare la vita dei naufraghi , “si gettavano ad arraffare quanto quanto più loro riusciva delle merce naufragate” (nel secolo XXesimo , in casi analoghi d’incursioni aeree , abbiamo visto quanto poco l’umanità si sia ancora elevata in molti individui sopra il livello della belva). Lo scritto che egli compose e spedì “a tutte le persone, ai preti , ai magistrati “, per richiamarli all’elementare precetto del non fare agli altri quello che non avrebbero certo gradito “se ci fossero essi stessi trovati in quelle condizioni di naufragi”, ebbe – G. Fox ce lo fece sapere – “un salutare effetti per salvare vite umane nei frangenti di naufragi, e per conservare ai naufragi i relitti della nave e delle mercanzie, soccorrendo anche e riversando nelle proprie case i naufragi, semivivi e morenti di fame (Giornale).

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La carità , cioè l’elemosina , come forma più elementare e più facile di filantropia , si presentò a George Fox e ai primi Amici come il mezzo più ovvio e immediato di soccorrere tutti i loro fratelli uomini bisognosi di aiuto, ma specialmente – come vuole San Paolo – “i domestici della fede”; e di mostrare col fatto, che per essi la comunanza dei valori eterni non era completa nè sincera senza una comunanza anche nei beni materiali fondamentali; che nella estimativa “il valore della vita” non consisteva “nell’abbondanza dei beni da ciascuno posseduti (Luca XII, 15). E G. Fox ci narra nel Giornale, quanta cura essi ponessero, perché i membri poveri della Società – i più di essi , ridotti alla miseria dalla lunga prigionia e dalla confisca dei beni per motivi religiosi, talché ad essi si applicava alla lettera il precetto di Paolo (II Corinzi VII,14) : “Nelle presenti circostanze, la vostra abbondanza supplisca beneficenza; e come anche agli estranei , quanti essi fossero, si facessero distribuzioni di pane, in occasione delle Assemblee di Amici, “fino a duecento in una volta…: perché erano convinti di dover fare del bene a tutti.”

Ma ben presto gli Amici si avvidero, che la soluzione del problema del pauperismo in generale non si sarebbe avuta, se non rimuovendo le cause della miseria e della sofferenza, con provvedimenti privati e pubblici diretti a sopprimere la disoccupazione, a migliorare l’istruzione generale e quella tecnica dei lavoratori, a elevare le condizioni dei salariati, e con provvedimenti di legislazione sociale. Già nel 1660 , Thomas Atkin , un Amico, in un esposto a Carlo II dichiarava: “Gli Amici assistono i poveri, impedendo che tra essi vi sia un accattone; per quelli tra loro che siano disoccupati, provvedono dando da lavorare per le loro famiglie, con un salario superiore a quello accordato dei negozianti…”

Cosi la carità, trasformatasi in filantropia, alimentava il potente interessamento degli Amici, per le riforme sociali, in cui sono stati pionieri in molte direzioni.

Attività di servizio sociale ed educative

“Il servizio sociale non era per essi un’occupazione marginale, ma il diretto risultato della loro concezione mistica della vita: la loro risposta alle direttive dello spirito, che li rendeva sensibili alle condizioni delle vite altrui e profondamente coscienti dei vincoli comuni di umanità”

(Ruth Fry Op. cit.)

Si calcola che fra tutte le Società religiose , quella degli Amici spicchi, in proporzione del numero dei suoi membri, per opere filantropiche, per la loro “pratical religion” , per “quell’aiuto silenzioso di anonimi ad anonimi” che fu posto in rilievo nel conferimento ad essi del premio Nobel per la Pce nel dicembre 1947.

E’ caratteristico di tale spirito che il Comitato direttivo permanente della Società, tra le due Assemblee Annuali, conservi tuttora il nome datole da G. Fox, di “Comitato per coloro che soffrono” : “Meeting for Suffering” : tutt’ora bene appropriato, essendo suo scopo precipuo di lenire i dolori dell’umanità sofferente, dovunque.

“Nostro Amico e Fratello , Signor nostro,

Come serviti di noi potremo?

Non con nomi , con forme , nè con riti;

Solo seguendo te” (G. Whitter).

Della larghezza di vedute di G. Fox e della sensibilità con cui il suo animo armonizzava con tutta la natura e il suo cuore palpitava col cuore di lei, il Giornale ci dà fra molti, altri due saggi.

Un giorno, dopo un’adunanza di culto, un giovanotto, John Story, accesa la pipa, gli la porse , invitandolo a tirare una boccata di fumo: citando, a rinforzo del suo invito , male a proposito, le parole del testo di Paolo: “tutte le cose vi appartengono ecc”. Ecco come G. Fox accoglie la proposta: “veramente , il giovanotto mi fece l’impressione di ardito e sfacciato; e d’altra parte , io non fumavo tabacco, però mi venne in mente, che il giovanotto avrebbe potuto interpretare il mio rifiuto come mancanza di senso di unità con l’intiera creazione, giacché mi avvidi che della religione egli aveva un’idea superficiale e vuota. Perciò presi la pipa e l’applicai alla mia bocca, e subito gliela restituii …; perché quella linguaccia non andassi poi a dire che io non mi sentivo unito all’intiera creazione”.

Ha causato sorpresa e suggerito qualche frase umoristica dei pedagogisti il sommario programma da G. Fox proposto per le scuole di fanciulli e fanciulle a Waltan e a Shacklewel nel 1688, al ritorno da un viaggio di organizzazione: E certo, più ingenuo che ambizioso può sembrare il suo proposito di farci “istruire le fanciulle e le giovinette in qualunque soggetto del creato che si addica alla vita civile, e di pratica utilità”. Una vera educazione enciclopedica , teorica e pratica, sufficiente a spaventare e allontanare dall’insegnamento il più entusiasta degli educatori. Ma se tale programma tradisce un’ingenua immaturità pedagogico- didattica , esso è anche testimonio di un entusiastico apprezzamento della coltura e di una larghezza sconfinata di visione e di interessi ; di una completa assenza del timore, che la cultura potesse suscitare in esse spirito mondano e l’orgoglio intellettuale – anzichè la modestia e l’umiltà (Venti anni prima della sua morte, nel 1671, più di quindici scuole erano state fondate dagli Amici. La biblioteca personale di G. Fox contava parecchie migliaia di volumi)

(continua)

Abbiamo digitalizzato le parti salienti del testo fuori mercato. Diverse informazioni successive sono superate dagli eventi del dopoguerra, che hanno segnato la spostamento del baricentro quacchero da Londra e USA all’Africa, ove vive la maggioranza assoluta dei quaccheri oggi e che hanno una storia propria.