AA – Gli Amici o i Quaccheri

La società religiosa degli Amici chiamati anche quaccheri

Mario Tassoni

La società Religiosa degli Amici (Quaccheri) è un’associazione religiosa libera fondata nel XVII secolo.

Essa è composta da laici, uomini e donne, eguali in diritti e doveri.

Essa non ha né preti né pastori.

Non è una setta che creda di possedere , essa sola , tutta la Verità, ma una società d’uomini che desiderano attuare insieme un ideale d’amore verso Dio e verso gli uomini.

Essa crede che Gesù Cristo abbia portato non già una “religione” ma spirito e vita e che , nella comunione intima con il Creatore, sia possibile scoprire la luce che orienta tutta la vita.

Essa è universale perché crede che una scintilla di Dio sia presente in ogni uomo. Essa vede in ogni un fratello, senza distinzione di razza di religione, di nazione, di colore o di classe.

Le sue riunioni di culto sono basate sul silenzio e sulla meditazione; essa non ha né liturgia né dogmi.

Essa crede che la religione debba estendersi ad ogni aspetto e momento della vita, a tutti i problemi umani.

Essa vuole procedere e operare insieme a tutti gli uomini di buona volontà animati da un ideale elevato, quali che siano le loro concezioni filosofiche o religiose.

Origine della Società Religiosa degli Amici

La Società religiosa degli Amici venne organizzandosi in Inghilterra dal 1652 quando numerosi tra coloro che si chiamavano “cercatori” trovarono, secondo i principi enunciati da George Fox (1624-1691), quella più autentica vita religiosa alla quale aspiravano. Fox aveva cominciato a predicare nel 1647, in un’Inghilterra agitata da contrasti e ravvivata da grandi speranze di rinnovamento politico e religioso; e spesso si ricorreva alla violenza per la propria interpretazione del cristianesimo, con la giustificazione di teologi e di ecclesiastici cristiani. Fox insisteva sulla presenza in ogni uomo della divina “Luce Interiore”, sulla possibilità di un’esperienza religiosa personale, interiore e diretta, sulla necessità di porre in pratica i principi del cristianesimo, l’amore e la non-violenza. Gli avversari indicarono gli Amici con il termine “Quaccheri” , che in inglese significa “tremanti”, riferendosi ai tremiti che talvolta durante la meditazione silenziosa e in comune, erano segno esteriore d’emozione religiosa; il termine venne accolto e usato dagli stessi Amici.

Esperienza religiosa e “Luce Interiore”; libertà dottrinale della Società degli Amici

 

I Quaccheri ritenfono che religione sia innanzitutto un afatto di esperienza interiore, di esperienza mistica nel senso rigoroso del termine, dalla cui luce ed energia deriva una particolare pratica di vita e precisamente un operare volto ad attuare l’ideale evangelico espresso nel “Sermone sul monte”. Essi rinunziano a collettive professioni di fede e formulazioni dogmatiche che vadano oltre e irrigidiscano i dati della viva esperienza religiosa, ma non escludono, per chi ne senta la necessità, posizioni individuali di fede e di teologia: entro la Società vige così la libertà dottrinale e le varie posizioni individuali, dalle teologie di tipo cristiano tradizionale a quelle “liberali”, come ad esempio l’unitariana, sono tutte rispettate. Sebbene la Società si consideri cristiana, le congregazioni quacchere in maggioranza non danno formale adesione al Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane in quanto non ne possono accettare, come valida per tutti i membri, la professione di “Gesù Cristo come Dio e come Salvatore”; ma collaborano con il Consiglio Ecumenico, come ogni altra opera volta a maggiore conoscenza e comprensione tra uomini separati.

L’insistenza della Società sull’universalità della “Luce Interiore” e sulla religione come pratica di vita, così come la libertà dottrinale e il culto silenzioso quacchero, costituiscono una forma religiosa alla quale possono avvicinarsi sia appartenenti a tradizioni religiosi non cristiane (come infatti avviene in India e in Giappone) sia coloro che , per sfiducia nelle forme sacramentarie ed ecclesiastiche delle chiese tradizionali, preferiscono dirsi laici.

Il culto in silenzio

Il culto quaccheri tradizionale consiste nella meditazione in silenzio insieme. Il silenzio può essere interrotto dal breve messaggio di chi, tra i presenti , ritieni di aver qualche cosa di valido da comunicare; talvolta le parole dell’uno rispondono alla stessa domanda non espressa di un altro, quasi si stabilisse un comune orientamento di pensiero, altra volta il culto seguita sino alla fine del silenzio.

Non vi sono sacramenti, non vi sono ministri di cose sacre o pastori che dirigano il culto (salvo nel culti programmati come il nostro). Per essere più precisi, secondo i Quaccheri ogni istante e atto hanno valore sacramentario se traggono ispirazione dalla “Luce Interiore” e sono volti al servizio del prossimo; ognuno è sacerdote e pastore se è di luce, di esempio e di conforto agli altri.

Anche i momenti più importanti nella vita nella vita della comunità , ad ese. Un matrimonio o un funerale, sono celebrati secondo la maniera del culto quacchero.

In alcune congregazioni quacchere degli Stati Uniti e qui in Italia il culto è diretto da un ministro e si svolge non dissimile da quello delle chiese riformate cristiane.

Organizzazione della Società

I membri della società, uomini e donne, sono eguali in diritti e doveri sia nelle riunioni di culto in silenzio o no che nelle attività della Società; le donne hanno sempre dato un grande contributo al movimento quacchero, sin dal suo inizio.

I membri della società che partecipano alla stessa riunione di culto prendono le decisioni riguardanti la vita religiosa e le attività sociali del loro gruppo alla “riunione d’affari mensile . Una volta all’anno ha luogo una riunione più larga  “riunione d’affari” chiamata “Assemblea annuale” alla quale possono intervenire , senza ricorrere a delegati, tutti i membri dei gruppi locali di una determinata regione. Estratti dalle decisioni , raccomandazioni ed epistole di Assemblee annuali vengono raccolti , pubblicati e di tanto in tanto aggiornati insieme a passi tratti dagli scritti di membri di Società; l’esperienza collettiva della Società, sia religiosa che sociale, viene anche espressa sotto forma di domande poste ai membri e ciò per aiutarli a prendere coscienza della propria vita ed azione di ogni giorno.

Nelle “riunioni d’affari” non si ricorre al voto né si determinano maggioranze e minoranze. Si incoraggia ogni membro ad esporre la propria opinione, si ascolta con pazienza e con fiducia, cercando di favorire un atteggiamento di comprensione e di ricerca in comune. Talvolta periodi di meditazione silenziosa contribuiscono a superare una difficoltà od un incipiente contrasto. Spesso dalla presentazione delle varie idee emerge un nuovo punto di vista sulla questione, più elevato e completo rispetto a quanto registrato per iscritto dal Segretario come il “sentimento dell’Assemblea. Non si decide fino a che non si ottiene l’unanimità e se questa non è possibile il problema verrà riproposto alla prossima Assemblea Annuale.

Nella società non esiste autorità superiore a quella delle Assemblee annuali; queste sono collegate , per scambio d’informazioni e lavoro in comune , da un’organizzazione chiamata “Comitato Mondiale degli Amici” con sede a Bimingham, in Inghilterra e per noi in Italia in Ohio negli States e che possiede stato consultivo presso l’Unesco e la società Delle Nazioni Unite e per alcuni anche il Consiglio Ecumenico.

L’unità fra i vari gruppi locali, tra le Assemblee Annuali è inoltre assicurata , mancando una gerarchia unificatrice dall’alto, dalla fitta rete dei viaggi e delle visite di membri responsabili.

Attorno agli Amici si allarga un più ampio cerchio di Amici degli Amici, persone che si sentono vicine per uno o per altro punto alla posizione religiosa ed alla pratica quacchera e che di solito hanno conosciuto gli Amici lavorando con loro in qualche attività sociale.

L’opera della Società degli Amici in tutto il mondo è rilevantissima, ben più di quanto si pensi relativamente al numero dei quaccheri, e ciò anche per la collaborazione dei numerosissimi Amici degli Amici, per il rispetto, la fiducia e l’influenza di cui godono la posizione e l’opera quacchera presso uomini di cultura, di responsabilità e di governo, cristiani e non cristiani, in molti paesi e nelle organizzazioni internazionali.

Pratica del cristianesimo nella vita individuale e sociale

L’affermata presenza in ogni uomo di una dimensione divina, di un seme che può crescere, persuade a sollecitudine e ad amore nei riguardi di ogni uomo, non importa in quale condizioni egli si trovi; persuade a fiducia (ed infatti alla fiducia rispondo spesso atti che l’accertano), a sincerità (perché essere sincero significa apertura agli altri e amore), a non-violenza . Da qui viene la disposizione degli Amici a “servire” il prossimo e l’interesse portato ai problemi e alle riforme sociali (infatti essi recarono e, dove è ancora necessario, recano un notevole contributo alle istituzioni di pena , all’abolizione della pena di morte, all’abolizione della schiavitù, all’opera per l’eguaglianza sociale); da qui gli sforzi volti a favorire comprensione, cooperazione e solidarietà tra gli uomini , a superare ed a eliminare quello che separa, a conciliare ed a unire nel rispetto delle differenze. I quaccheri si sono sempre interessati anche all’opera dell’educazione, nel senso più largo del termine; in Inghilterra e negli Stati Uniti esistono scuole e Università a direzione quacchera, aperte a tutti, e centri di studi sociali e religiosi come Pendle Hill in Pennsylvania e Woodbroke a Birmingham. Sin dalle origini della Società degli Amici hanno opposto resistenza non-violenta ai poteri politici che richiedevano atti non confacenti alla loro coscienza (nel 1661 il 25% degli uomini membri della Società era in prigione); la loro tranquilla tenacia ha spesso ottenuto il riconoscimento legale della posizione di coscienza ed ha determinato una situazione di più ampia libertà per tutti. Così, ad esempio , gli Amici rifiutavano di prestare giuramento innanzi ai tribunali affermando che gli uomini dovevano dire la verità sempre e non solo in momenti particolari, rifiutavano di pagare le imposte a favore della Chiesa di Sato. Nella colonia inglese della Pennsyvania, fondata dal quacchero William Penn (644-1718) e sino al 1756 retta dagli Amici, fu proclamata e osservata pace ed amicizia tra i bianchi e gli indiani, libertà di religione per tutti.

Il rifiuto della guerra, la volontà di giustizia e di eguaglianza tra gli uomini

Sin dalle origini della Società degli Amici ritennero che prendere parte ad una guerra fosse contrario ai principi del cristianesimo. Parecchi rifiutarono il servizio militare e qualsiasi altro atto di preparazione alla guerra (ad es. la fabbricazione delle armi); per tale testimonianza sono pronti ad accettare la prigione ed altre sanzioni. La legislazione di alcuni paesi, tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti, riconosce l’obiezione al servizio militare per motivi di coscienza e prevede per l’obiettore un periodo di servizio civile, utile alla comunità, talvolta pericoloso, non violento.

La tradizionale opposizione dei Quaccheri alla schiavitù ed alla guerra li ha condotti a consapevolezza ed a opposizione ad altre forme di diseguaglianza, d’oppressione e di conflitto – in campo economico, politico, nelle relazioni tra le razze – sia nel loro paese che fuori. John Bellers, l’economista e riformatore quacchero inglese (1654-1725) al quale Karl Marx si riferisce in “Il Capitale”, già aveva insistito sul rapporto tra l’ingiustizia sociale e la guerra.

Istituzioni e Centri quaccheri

I Quaccheri inglesi organizzarono soccorsi in Europa dopo la guerra franco –prussiana del 1870-7, in Africa dopo quella anglo-boera del 1899-1902. Durante e dopo la prima guerra mondiale i quaccheri americani si unirono a quelli inglesi nell’opera volta ad alleviare le sofferenze delle vittime della guerra, in Francia, in Russia, in Germania ecc. Ciò permise ad uomini e donne che per ragione di coscienza non volevano partecipare alla guerra di esprimere costruttivamente la loro buona volontà. In seguito a tali interventi vennero costituiti il “Friends Service Council”, con sede a Londra, e l’”American Friends Service Committee” A Filadelfia. Dopo la  seconda guerra mondiale il lavoro d’aiuto si compì specie in Francia, in Germania, in Austria, in Polonia, in Grecia, in Yugoslavia, in Italia, in Ungheria senza distinzione di credenze religiose, ideologie politiche e appartenenza razziale. Attualmente le due istituzioni svolgono attività in paesi d’Asia, d’Africa e dell’America settentrionale.

Essi aprono numerosi cantieri di lavoro volontario per incoragiare all’aito vicendevole, per reciproca conoscenza nello sforzo comune, per favorire la consapevolezza di determinate situazioni, specie nei luoghi di tensione.

L’”American Friends Service Commitee” organizza “Seminari Internazionali” negli Stati Uniti, in Europa ed in Asia. Giovani dai 21 ai 35 anni, diversi per religione, opinioni politiche , nazionalità e razze, vivono insieme durante alcune settimane, analizzano determinati problemi sociali e internazionali, ricercano soluzioni, ascoltano e parlano con il proposito di conoscer e di comprendere meglio gli altri ed il mondo.

Secondo lo stesso spirito vengono favoriti scambi tra giovani, incontri amichevoli e sinceri tra parlaemtari, diplomatici anche di paesi avversi.

Centri quaccheri internazionali, con varia attività religiosa e sociale, e tendenti allo sviluppo della conciliazione e dell’amicizia internazionale, sono aperti ad Amsterdam, Copenaghen, Dacca, Delhi, Ginevra, Londra, Mexico, Nairobi. New York, Parigi, Tokio, Vienna, Wahhington.

Conclusione

Il quaccherismo è dunque esperienza mistica che si compie in comune e che tende ad esprimersi in pratica di vita e in intervento sociale collettivo. Per il singolo Amico la comunità quacchera (riunione di culto, “riunione d’affari” mensile, Assemblea Annuale ecc) è la presenza su cui saggia il valore della propria esperienza religiosa, da cui riceve conforto per la testimonianza individuale e la vita quotidiana; è la realtà collettiva da cui prende forza l’intervento sociale. Per questo è bene che chi desidera essere ammesso nella Società abbia prima vissuto per un certo periodo in una comunità quacchera, come Amico degli Amici, ne abbia così compreso quello spirito che è difficilmente esprimibile in formule verbali e sia interiormente persuaso.

Edward Grubb

L’essenza del quaccherismo

Traduzione di Ernesto Rutili

Capitolo I

La natura del movimento quacchero

Il cristianesimo primitivo: la religione dello spirito

Guglielmo Penn, nel dare ad uno dei suoi libri sul quaccherismo (pubblicato nel 1696)  il titolo Primitive Christianity Revived (il cristianesimo primitivo risorto), ha bene indicato ciò che questo movimento sia stato nella realtà. Giorgio Fox ed i suoi amici non hanno infatti mai lo scopo di aggiungere un’altra forma alle varie chiese della loro epoca : Episcopaliana (romana o anglicana), Presbiteriana, Indipendente e Battista. Ciò che consideravano come un sacro dovere ad essi confidato era di ricondurre il complesso della Chiesa cristiana dall’errore alla verità, della “lunga notte dell’apostasia” al novello giorno che era sorto nelle loro anime.

Ma che cosa intendevano essi per cristianesimo primitivo? Mi sembra che la migliore definizione sia questa: La Religione dello spirito. Più innanzi vedremo quale idea si aveva e quale deve essere la concezione dello Spirito; esaminiamo , per il momento , quel che fosse necessario, al tempo degli Apostoli, per fare di un uomo un cristiano (li distingue questa essenza del cristianesimo neotestamentario dalla chiesa gerarchica o dommatica).

Nel capitolo secondo degli Atti degli Apostoli, vediamo Pietro proclamare che il giorno annunziato dal profeta Joele è arrivato “Negli ultimi giorni, dice Dio, diffonderò il mio Spirito su ogni carne”. Notiamo che non è detto che lo Spirito sarà diffuso su qualche grande profeta, ma su tutti coloro che vorranno riceverlo, giovani o vecchi, padroni o servi, e ciò perché essi “profetizzino”, vale a dire perché siano elevati dall’esperienza spirituale nella quale i profeti del Vecchio Testamento vivevano, lavoravano ed insegnavano (Atti, II, 14,21).

Al capitolo decimo leggiamo la storia del centurione Cornelio, un pio uomo che si sente interiormente sospinto a mandare in cerca di Pietro, il quale, a sua volta, si sente indotto dallo spirito a seguire i messaggeri dell’ufficiale pagano, dopo di aver avuto la nuova rivelazione di non dover  considerare come “immonde” le cose che Iddio ha purificate. Pietro narra a Cornelio la morte e la resurrezione di Gesù e mentre gli parlava , lo Spirito Santo discese su tutti coloro che lo ascoltavano. Gli ebrei CHE AVEVANO ACCOMPAGNATO Pietro, “furono stupefatti nel vedere che il dono dello Spirito Santo era sparso sopra i Gentili”, immaginandosi esse che un tal privilegio fosse riservato al popolo eletto, e che nessuno avrebbe potuto parteciparne se non passando dal giudaismo. Siccome però appariva evidente il contrario, Pietro proclamava doversi Cornelio e la famiglia di questi ammettersi al battesimo poiché essi pure son già cristiani, e “comadò che fossero battezzati nel nome del Singore Gesù Cristo” (Atti, X, 1 – Xi 18) Cosicché – e cio è importante  – essi erano considerati cristiani non perché erano battezzati , ma perché avevano ricvuto lo Spirito. Il battesimo era puramente la testimonianza di un fatto interno (Vedere anche al riguardo i racconti delle conversioni avvenute in Samaria ( Atti VIII, 5-17) e in Efeso (Atti ,XIX, 1-7).

Nelle lettere di San Paolo troviamo riaffermato che il possedere lo Spirito o l’esser posseduto da questo rende un uomo cristiano. “Se uno non ha lo Spirito di Cristo egli non è dei suoi” e “tutti quelli che son condotti dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio”  ( Lettera ai Romani, VIII 9 e 14).

Similmente nella prima delle lettere attribuite a Giovanni sta scritto : “E’ da questo spirito che conosciamo che Egli dimora in noi, dallo Spirito che Egli ci ha dato” (I Giov III, 24). Paolo , Parlando a tutti i cristiani , afferma “A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito, per l’utilità comune” (I Cor XII, 7). E nelle riunioni dei fedeli , ciascuno dei cristiani può ricevere e comunicare agli altri la sua “rivelazione”. (I Cor XiV, 26-30).

Dobbiamo concludere da queste brevi citazioni che, al tempo apostolico, tutti i cristiani uomini e donne, erano riempiti dello Spirito Santo. La Chiesa era una accolta di Ispirati, fra i quali è impossibile introdurre la distinzione fra maestri e discepoli, fra chierici e laici.

Se, procedendo ancora, ci chiediamo che cosa fosse “lo Spirito” e come si producesse l’ispirazione , osserviamo subito chye per un periodo di tempo vi furono considerevoli manifestazioni esteriori, pari a quelle del giorno di Pentecoste: il vento, il fuoco, i terremoti, il “parlare con lingue” (checché ciò sia stato in effetto), come anche una profonda agitazione prodotta dalla emozione, che poteva essere giudicata ebrezza (Atti II, 1-4; IV, 31; X, 46; XIX 6; Efes V, 18). Tali segni della presenza dello Spirito , percepiti così così dalla vista e dall’udito, non durano a lungo; evidentemente la loro utilità era solo momentanea. Quando Paolo ci mostra in qual modo possa riconoscersi la “realtà” permanente della presenza dello Spirito , egli va ben a fondo. “Il frutto dello Spirito” egli dice – è una nuova vita morale che ha per manifestazione “l’amore, l’allegrezza, la pace, la pazienza , la mansuetudine, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, il controllo di se stesso” (Gal V, 22). E’ la stessa vita morale così perfettamente vissuta da Gesù Cristo. Ora , è per opera dello Spirito che noi siamo trasformati nella stessa immagine di lui (II Cor IV, 18). Di tutti i “segni dello Spirito” il più grande , quello che meno di ogni altro può trarre in inganno , è l’Amore, non inteso come emozione passeggera, ma inteso come quella carità dimostrata a tutti dal Maestro: ai poveri, ai fanciulli, ai suoi stessi carnefici; tale carità l’umana natura può solo raramente imporsela e non può mai contraffare. “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo” (I Giov III, 14. Vedere I Giov IV, 12 e I Cor XIII). L’ispirazione è , soprattutto, l’essere elevati alla potenza di amare gli altri di un amore spontaneo, libero e disinteressato,

E’ lo Spirito inoltre che ci ispira quella sapienza, che intensifica la comprensione degli uomini, sublimandola a quel nuovo livello di conoscenza, di capacità, di potere, a cui Pietro appare sia stato elevato dalla esperienza della Pentecoste, come ne fa testimonianza il suo coraggioso, discorso che leggiamo nel capo II degli Atti (cfr Efes I, . 17-18)

Ma “lo Spirito” non è quella cosa che ispira un uomo. I primitivi cristiani, dopo Pentecoste, lo consideravano piuttosto come qualcuno. “Lo spirito “ ha un’intelligenza ed una volontà. Egli controlla e dirige le azioni degli Apostoli e loro indica o proibisce ad essi di recarsi in un luogo o in un altro , mostra , ad esempio , come debbano risolvere le difficoltà sorte circa la questione se debba imporsi ai convertiti dal paganesimo l’onere delle osservanze giudaiche (Atti VIII, 29; XIII, 2; XVI 6-7, XV, 28). E questo carattere personale è dovuto al fatto che lo Spirito era allora considerato come presenza attuale e vivente dello stesso Cristo (Atti XVI, 7). Che tal fosse la fede dei primi cristiani risulta manifesto dal quarto Vangelo, là dove Gesù assicura ai suoi discepoli che egli ritornerà ad essi come il “consolatore” (Giov XIV, 16-18) e dalla dichiarazione di Paolo che “il Signore (cioè Gesù Cristo) è lo Spirito “ (II Cor . III 17-18) . “Lo Spirito” , insomma nel pensiero dei primi cristiani , significava che Gesù , malgrado fosse stato crocefisso, non era morto, ma era invece vivente ed operante nella società dei suoi seguaci, riproducendo in essi il Suo proprio spirito , il Suo profondo carattere, il Suo proprio modo di vita, con tutte le sofferenze ed i sacrifici e la gioiosa dedizione per la redenzione del genere umano e per la trasformazione del mondo, confidando solo nella potenza e nell’amore di Dio.

Concluderò questo paragrafo con alcune brevi citazioni di scrittori recenti che , come spero, confermeranno la verità di quanto sopra.

“Il cristianesimo nella sua epoca aurea era essenzialmente una ricca e vivida conoscenza di Dio, la quale sublimava sino ad una perfetta esperienza dell’unione con Dio nel pensiero, nel cuore e nella volontà. Era una manifestazione personale del divino nell’umano, dell’eterno nel tempo. Se risaliamo alle sorgenti della nostra vita religiosa, perveniamo in ultimo ad Uno che pensava e, con semplicità di fanciullo dichiarava: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio” ed “Io e il Padre mio siamo un essere solo”. La sua azione diretta e l’influsso della sua vita sui suoi discepoli è ciò che appare di più straordinario nei Vangeli, come la continuità di tale influsso sugli uomini è quanto v’ha di più mirabile nella storia umana.

“Il complesso del Nuovo Testamento è armonico e chiaro nella sua dottrina su ciò che costituisce l’elemento originale e vitale del Cristianesimo. Il potere di questo consiste nello “Spirito”, il quale attraverso Gesù , pervade il mondo e fissa la sua dimora nel cuore dei credenti. Il Cristianesimo è manifestatamente “la economia dello Spirito”, l’ingresso nel mondo, amezzo di Gesù Cristo, di un principio nuovo e di una sorgente di luce e di vita spirituale”:

“Un cristiano è un uomo che, avendo creduto nel Vangelo, ha con ciò steso ricevuto in sé lo Spirito di Cristo come principio di vita, come ispirazione permanente dei suoi pensieri e delle sue azioni… All’inizio tutti i credenti si ritenevano ispirati…il Cristianesimo deve ritornare alla religione delllo Spirito se non vuo, perder il suo titolo di nobiltà e le orme del primo ideale.

Lo sviluppo dell’ecclesiasticismo

La nascita e lo sviluppo della Chiesa “cattolica” dal secondo al sesto secolo, non tardò ad oscurare il fiammante ideale che aveva animato i primi cristiani. Tale sviluppo ha precipuamente originato dalla necessità apparente di salvaguardare la Chiesa da un doppio pericolo. Innanzi tutto l’intensa esperienza religiosa dei primi apostoli e dei loro convertiti era venuta meno nelle generazioni successive, e la fresca polla dell’ispirazione individuale aveva cominciato ad inaridirsi. Omuncoli pretendenti alla infallibilità e preoccupati talora del loro proprio interesse, gettarono il discredito sulla credenza della ispirazione individuale, e la necessità di mantenere l’ordine nella Chiesa e della edificazione nei suoi servizi addussero severe restrizioni nella primitiva “libertà di profetare”. Vediamo costruirsi allora un regolare sacerdozio con determinate forme di culto, e con speciali sacramenti che possono essere solo amministrati da persone all’uopo ordinate( Le difficoltà causate dagli “apostoli” e dia “profeti”, che si dicevano ispirati senza esserlo di fatto, sono ingenuamente riferite nella Didaché e Dottrina dei docici apostoli, la quale sembra essere un manuale di disciplina ecclesiastica in uso presso qualche chiesa agli inizi del II secolo “Accogliete l’apostolo come accogliereste Il Signore; non si trattenga però più di un giorno o, in caso di necessità, oltre il giorno appresso. S’egli resta tre giorni è un falso profeta; se chiede denaro è un falso profeta… Nessun profeta mandato dallo Spirito a presiedere una tavola deve partecipare alla refezione altrimenti egli è un falso profeta (Didaché XV, 4-9)).

“Il profeta che parlava mosso da ispirazione, dovette cedere il passo al vescovo facente uso dell’autorità”.

Il secondo pericolo, al quale la Chiesa dovette ovviare, fu quello della “eresia”. Il pensiero greco, anche abbracciando il cristianesimo, aveva conservato la sua passione per le sconfinate speculazioni intellettuali, e particolarmente nell’Asia Minore, molti cristiani dediti a speculazioni filosofiche, si posero in mente di risolvere il mistero della natura di Cristo. Basandosi sul pensiero di Paolo che faceva di Cristo un essere divino e celestiale, essi ne deducevano che solo in apparenza Egli era stato un uomo. Le loro dottrine venivano sotto il nome di Gnosticismo. Gli Gnostici avevano una eccessiva stima di se stessi, in quanto si ritenevano iniziati a cose ignorate dai più. In mano ad essi il Cristianesimo diventò un sistema speculativo invece che una pratica di vita.

In qual modo la Chiesa si comportò di fronte a questo e ad altri simili pericoli? Il vero rimedio contro l’”eresia” consiste nell’intensificare la vita cristiana, la quale, come per istinto adotta le dottrine che possono recare nutrimento, respingendo le altre. Poiché , però, il fuoco della vita si era venuto raffreddando nella Chiesa, le mancò la fede e il coraggio di affidarsi a questa come alla sua più valida difesa (Dio “la più valida difesa”, perché non intendo sminuire il valore delle verità intellettuali nel campo religioso. La Chiesa abbisogna di una forte teologia come di un’ossatura ; ma lo scheletro non ha vita se non come sostegno degli organi vitali del corpo). I suoi vescovi impiegarono le loro migliori energie , cercando di combattere gli “eretici” con le loro stesse armi , e costruendo un sistema di dottrine che la Chiesa dichiarò vere, ciò che implicava , per riflesso, la falsità delle altre. Allo scopo di fissare la vera dottrina e di scacciare dall’ovile tutti quelli che non l’avessero professata, i vescovi mutarono il Cristianesimo, facendone di una religione una teologia e sostituendo la rigida muraglia del domma alla libera espressione dello Spirito.

Vediamo così che lo sviluppo dell’”ecclesiasticismo” era in proporzione al regresso della vita spirituale. Per mantenere l’ordine e l’unità esteriore la Chiesa preferiva la via più comoda dell’organizzazione e delle definizioni, piuttosto che seguir quella più ardua della ricerca di una vita più rigogliosa e di confidare in essa. Esaltava l’autorità del suo clero, che solo ebbe da allora la potestà di amministrare i riti per i quali si si entrava nella Chiesa, e di scomunicare coloro che professavano opinioni diverse da quelle accettate come ortodosse dalla collettività. Cristiano fu pertanto chi pratica certi riti e crede o professa alcune teorie , e non più colui che, “guidato dallo Spirito”, manifesta nella sua vita lo spirito e l’esempio del suo Signore. La caratteristica della rivelazione individuale e dell’ispirazione , così possente nella primitiva cristianità venne ad essere considerata come dannosa e, perfino, come ereticvale.

La Chiesa preferiva l’ordine alla libertà, ed una via apparentemente sicura, al cammino più arduo tracciato dal Maestro.

La continuità della religione dello spirito

La vita interiore che consiste nella personale e diretta esperienza religiosa (“La religione dello Spirito”) non è, per fortuna , malgrado le alterne vicende, scomparsa giammai del tutto dalla Chiesa. Di tempo in tempo si ebbero “rinascite” della vera religione spirituale, che ordinariamente , ebbero come punto di esperienza di alcuni che sentivano in se stessi il fresco gorgoglio della fonte perenne del genuino Cristianesimo, ciò che li designava a condottieri di nuovi movimenti nella Chiesa. La maggior parte dei grandi “Mistici” cristiani furono tra i detti capi; perciò molti di essi furono arcignamente riguardati e fatti segno perfino a persecuzioni dall’autorità della Chiesa, i cui sistemi non lasciavano campo ad una fresca ed originale ispirazione. Tali movimenti ebbero inizio col Montanismo nel secondo e terzo secolo. Non ci è possibile qui fare un cenno , sia pur sommario, dei movimenti stessi e dobbiamo rimandare perciò i lettori all’opera del dott. Rufus Jones, che nei suoi Studies in Mystical Religion ne ha trattato da maestro, dimostrandoci che pur nei secoli più oscuri periodi della storia della Chiesa la caratteristica della ispirazione religiosa diretta continuava a mostrarsi. E fu tale caratteristica , per quanto soffocata dai clamori dei persecutori, quella che probabilmente più di qualsiasi altro elemento valse a salvare la Chiesa da un totale decadimento. E’ essa, infatti , che irrompendo di quando in quando nei grandi movimenti religiosi come quelli dei Valdesi, degli Albigenesi, dei Francescani, dei Mistici tedeschi, degli “Amici di Dio”, dei “Fratelli della Vita Comune”, dei Wicleffiti e dei Lollardi , preparò il cammino al grande avvenimento religioso: la Riforma.

La Riforma e i suoi difetti

La Riforma ebbe origine col recupero, da parte di Lutero e di altri, della convinzione delle relazioni personali e dirette con Dio, a mezzo di Cristo, e conseguentemente, col rigetto dell’autorità ecclesiastica e delle degenerazioni con le quali si era ormai identificata. Malgrado però le sue origini, la Riforma non può considerarsi come una pura vittoria per la “Religione dello Spirito”, perché i suoi capi ritennero necessario sostituire un’altra autorità esterna a quella ripudiata. Ma a fianco della Riforma di cui parlano i manuali di storia, si produsse allora un altro movimento, tenuto in dispregio ed assai disconosciuto, che si riannoda invece assai più strettamente ai movimenti dei quali abbiamo sopra fatto cenno. Esso è noto comunemente sotto il nome di Anabattismo e può esser considerato come l’ala estrema della Riforma. Il dott. Rufus Jones, istituendo un paragone fra i duci dell’Anabattismo e quelli della Riforma. Così si esprime:

“Anch’essi avevano ritrovato il cristianesimo della Bibbia, e la nuova rivelazione agiva in essi con lo stesso effetto del vino nuovo. Coloro che ebbero tale rivelazione ma che seppero contenersi, ed avendo il dono della scienza di governo intuirono ciò che conveniva fare o ciò da cui , per il momento, conveniva astenersi, divennero i capi della Riforma protestante e la storia ci attesta la loro fama. Quelli invece che , avuta la detta rivelazione, si risolsero a conformare il mondo alla rivelazione stessa, senza sminuirla di un punto e senza accedere a compromesso alcuno , furono i capi degli Anabattisti. Essi tutto sacrificarono per la causa in cui ebbero fede, affermarono principii che sono stati per noi come stelle polari, subirono la morte nelle più atroci maniere e caddero nell’oblio quasi completo”.

Presi tra due fuochi, tra Roma da un lato e gli Anabattisti dall’altro, i successori dei primi Riformatori scelsero, ancora una volta, il cammino di una sicurezza apparente ed al posto dell’autorità di una chiesa infallibile posero un’autorità esteriore, quella della Bibbia, supposta infallibile anch’essa. Che tale non fosse la primitiva intenzione di Lutero e dei suoi collaboratori diretti è cosa evidente. Secondo essi, se lo Spirito animava qualcuno, lo rendeva indubbiamente capace di giudicare e criticare la stessa Scrittura. (“L’istituzione del domma dell’infallibilità della Scrittura segna l’avvento del periodo chiamato a ragione la scolastica protestante, che s’iniziò l’indomani stesso della morte dei Riformatori”.

Lentamente però il Protestantesimo abbandonò la sua vera base , quella della esperienza cristiana personale, e divenne la religione di un Libro, come il Cattolicesimo rimase la religione di una Chiesa. Ciò significava in effetto che era ben più difficile che per lo innanzi avvertire del cuore degli uomini la diretta e immediata presenza di Dio. La Chiesa poteva forse, a mezzo dei suoi sacerdoti , manifestare a volte nei sacramenti e nel confessionale una parola di vita da parte di Dio, ed assicurare le anime depresse che Cristo è sempre vivo fra gli uomini ; ma come mai un tal messaggio avrebbe realmente potuto venir da coloro che credevano che tutte le parole di vita di Dio erano nelle pagine di un libro, e che Egli non ha più parlato direttamente agli uomini dopo che a quel volume fu apposta la parola fine?

Il domma della infallibilità della Bibbia, come fu predicato dai puritani del secolo decimosettimo, segnò il fallimento della Riforma. Il movimento , sorto per ristabilire il vero cristianesimo, come libera religione dello Spirito, finì in una nuova schivitù alla lettera delle Scritture, attraverso le quali soltanto sarebbe sarebbe stato possibile ritrovar Dio r il Cristo. Ancora una volta la Chiesa aveva tutto rischiato per la sua sicurezza; ed ancora una volta fu lì invece per incontrarvi la morte.

Eravi pure un altro motivo al malcontento delle moltitudini. Dominando il Calvinismo, il Pdre dell’amore predicato dal Cristo, era stato sostituito da un Dio di terrore, il quale, per suo imperscrutabile decreto, avrebbe condannato la maggior parte dei suoi figli alle pene eterne. Cristo era morto esclusivamente per i predestinati: per gli altri non v’era speranza di alcuna salvezza. Il defunto vescovo Westcott scriveva al riguardo: “La dottrina della predestinazione era allora comunemente predicata con tal forza da scuotere le basi stesse della moral”. Era, infatti , una dottrina disperante per i più e di una sicurezza ingannatrice per pochi, assolutamente incompatibile – come pressoché tutti i cristiani moderni riconoscono – con la fede di un Dio di Amore.

I “Cercatori” d’Inghilterra

Ne risultò che, verso la metà del secolo decimosettimo, al di fuori delle chiese puritane, in Inghilterra almeno, un grande numero di anime sincere, le quali non potevano trovare appagamento nella religione dominante nelle sue varie forme, Episcopale, Presbiteriana o Indipendente, si dettero alla ricerca della verità. Questi insoddisfatti erano noti sotto il nome di “Cercatori”, ed è fra essi che il movimento quacchero trasse gran parte dei suoi seguaci.

I “Cercatori” attendevano una manifestazione autentica di Dio, che non aveva trovato nelle chiese di quel tempo. “Essi attendevano – come disse John Saltmarsch, uno di loro – la potenza dall’Alto, poiché non avevano trovato nessuna pratica di culto conforme a quella dei tempi apostolici. Essi attendevano nella preghiera , non proponendosi una determinata una determinata soluzione del problema, né alcuna infallibile interpretazione della Scrittura…., essi attendevano un apostolo, un uomo rivestito di visibile gloria e possanza , dallo spirito capace di offrire una visibile prova di essere mandato da Dio”.

L’importanza del movimento quacchero

 

Questa breve esposizione dello sfondo storico del primitivo Quaccherismo ci è sembrata necessaria, pur così sommaria e imperfetta , per comprendere la natura del movimento di cui ci occupiamo. La ragione per cui la maggior parte dei “Cercatori” aderirono a George Fox fu perché lo ritennero l’”apostolo” da essi atteso, un uomo “dallo spirito capace di offrire una visibile prova di essere mandato da Dio”. Egli seppe convincerli di aver trovato effettivamente quel che essi cercavano: che, cioè, Dio aveva realmente parlato a lui come aveva parlato agli antichi profeti. Appena venuti a Fox , questi li condusse verso l’esperienza immediata di cui godeva egli stesso, così ebbero il senso che loro guida e maestro non era Fox, ma Cristo stesso. Era ben questo scopo di tutta la predicazione di Fox: “sottrarre gli uomini” al magistero rd ai sistemi umani per condurli a Dio e a Cristo (egli usava i due termini senza diversificazione apparente di significato), il quale “è venuto ad ammaestrare il suo popolo e comprenderlo”.

La reale importanza del movimento quacchero consiste appunto in questo. Egli fu, come la maggior parte dei riscegli “mistici” ai quali abbiamo accennato un ritrovamento delle radici e delle sorgenti del cristianesimo primitivo; il profondo convincimento di una diretta e personale realzione con Dio, a mezzo di Cristo, il quale ha vissuto quaggiù fra gli uomini la vita divina nella sua pienezza, ed il cui Spirito immortale è rimasto per esser loro Maestro e Guida, conducendoli , come nella primitiva Chiesa, per vie impervie, ad operare la redenzione del mondo.

I motivi della opposizione

Non si può, però , revocare in dubbio che nel secolo decimosettimo vi siano stati santi cristiani anche in altre confessioni religiose, come Samuele Rutherford, Riccardo Baxter e Giovanni Bunyan e molti altri, sia nella Chiesa Anglicana che in quella Romana, né si potrebbe dubitare della loro fede nello Spirito Santo della realtà dell’influsso dello Spirito Santo nella loro vita. La differenza essenziale fra la loro posizione e quella di Fox consisteva in ciò che questi fidava nell’esperienza personale della immediata prtesenza dello Spirito e nella guida di questo, sino al punto di basare su ciò tutto il suo sistema religioso. Egli ripudiava pertanto tutte le difese esteriori che erano state escogitate nella speranza di mantenere l’ordine e l’unità nella Chiesa, cioè un clero appositamente ordinato con sacramenti e forme ben fissate di culto, le credenze tradizionali, la stessa lettera della Scrittura, se considerata come una regola esteriore della fede e dei costumi. Senza tali cautele, sembrava invece a tali uomini che non vi fosse difesa bastante contro l’anarchia e lo sfacelo, e pertanto condannavano unanimemente i Quaccheri come eretici perniciosi.

Bisogna convenire che, dal loro punto di vista, essi avevano ragione. Il fermento del pensiero religioso fra il grande sovvertimento della guerra civile, aveva generato una moltitudine si “sette e di scismi” ed ogni specie di fantasticherie venivano diffuse da uomini sedicenti ispirati da Dio. Le licenze dell’Anabattismo , in ciò che questo aveva di meno buono, sembravano volersi ripetere in Inghilterra .e si può quindi trovare una scusa per chi era rifugiato all’ombra delle autorità esteriori, che sembravano riparo efficace contro “l’anarchia dei fanatici” (Ranters). Veramente , parecchi di tali “Ranters” furono causa di seri fastidi per i Quaccheri, perché la dichiarata indipendenza dall’autorità pareva offrisse loro la libertà di credere in ogni eccesso. In effetto devesi a Fox e ad i suoi Amici ampio tributo di ammirazione, per la saggezza ed il buon senso con cui, animati dalla possa dello Spirito, seppero disciplinare uomini e donne incolti ed impedir loro di comprometter il movimento Quacchero. ( William Penn, parlando dei Cercatori, dice: “Avvenne che alcuni di essi, mancanti di umiltà e del timor di Dio, si esaltarono oltre modo per l’abbondante rivelazione avuta, ed invece di conservare il loro intelletto in umile soggezione a Colui che aveva aperto   la loro mente perché scrutassero le amplitudini della sua legge, si abbandonarono alla loro immaginazione e confondendo questa con l’ispirazione divina, scandalizzarono con le loro mostruosità quei che conservavano il timore di Dio… Essi furono detti Ranters (fanatici) a causa dei loro discorsi e delle pratiche stravaganti. Secondo essi l’aver Cristo adempiuto per noi alla legge importava l’esonero per noi da qualsiasi obbligazione e dovere imposti dalla legge…e ciò fu causa per cui parecchi si dettero a pratiche oscene ed atroci” (Prefaz. Al Diario di Giorgio Fox, edizione del bicentenario, pag. XXV).

“Fatto sta – dice W.C. Braithwaite  – che i principi dei Ranters non offrivano agli individui la possibilità di distinguere la voce dello Spirito e quella della propria volontà. I Quaccheri, invece, erano “i Figli della Luce”, ed insistevano sul principio che non potrebbe avere la guida lo Spirito se non chi cammina nella luce. Il loro messaggio fu, per conseguenza, un antidoto contro il Ranterismo, e valse a ricondurre molti degli stessi Ranters ad una più vera religione spirituale. Parimenti esso porse la mano a moltio che senza aiuto sarebbero finiti tra i Ranters.

“Malgrado ogni loro debolezza ed ogni loro deficienza – scrisse il vescovo di Westcott – Fox fu capace di plasmare un carattere in quelli che lo seguirono, carattere che sotto i riguardi dell’indipendenza , della sincerità, dell’energia, della intrepidezza, della purità, non è mai stato sorpassato nella storia delle lotte cristiane”.

I quaccheri ritenevano , come tutti i mistici, che la rivelazione e l’ispirazione appartengono non soltanto al passato, ma anche al presente. Essi mantennero le loro anime vigilanti nell’attesa; ebbero il coraggio di confidare assolutamente nello Spirito, e lo Spirito non li abbandonò giammai.

Capitolo II

LA LUCE INTERIORE

La scoperta di Giorgio Fox

Il movimento Quacchero ebbe principio dala scoperta fatta da George Fox (e da altri sotto il suo influsso o anche indipendentemente da lui) di un rapporto vivente e personale con Dio e della diretta Rivelazione di Dio stesso alle anime. Se pure altri la avessero fatta in precedenza, tale scoperta non sarebbe stata per Fox meno nuova ed improvvisa. Il passaggio in cui Giorgio Fox riferisce la sua scoperta è ben noto. Dopo aver narrato del suo lungo affanno alla ricerca della luce e della verità , e dei vani sforzi per ottenere aiuto dagli uomini, egli dice:

“Quando tutte le mie speranze negli uomini vennero meno , così non ebbi più alcun aiuto esterno in cui confidare né sapevo più cosa fare , allora oh! Allora sentii una voce che mi diceva : Vi è un solo , ed è lo stesso Cristo Gesù, che può parlare al tuo stato di spirito. A queste parole il mio cuore trasalì dalla gioia”.

Egli insiste continuamente che questa , come pure le altre “visioni”, era una rivelazione fattagli direttamente , indipendentemente affatto da qualunque cosa che avesse potuto avere udito o letto, anche nelle Scritture.

Egli insiste continuamente che questa, come pure le altre “visioni”, era una rivelazione fattagli direttamente, indipendentemente affatto da qualunque cosa che avesse potuto aver udito o letto, anche nelle Scritture.

“Tali cose io non le ho viste per aiuto di uomini, né averle lette , quand’anche possano essere state scritte, ma le ho vedute nella luce del Signore Gesù Cristo per il suo immediato Spirito e per la sua possanza , come accade ai santi uomini di Dio che scrissero la Santa Bibbia. Non che io avessi poca considerazione delle Sante Scritture, al contrario esse mie erano carissime perché io ero animato dallo stresso Spirito per il quale esse ci vennero date, ed ho più tardi trovato che ciò che il Signore ebbe a rivelarmi concordava con esse”.

La nota della scoperta personale, della certezza della Verità rivelata internamente, si ritrovava quasi sempre negli scritti dei primi Quaccheri. Guglielmo Dewsbury uno dei primissimi dei collaboratori di Fox, scrive:

“Dichiaro a tutti i figli degli uomini che non giunsi alla conoscenza della Vita eterna traendola dalla lettura della Scrittura, né udendo qualcuno che parlasse in nome di Dio; ma giunsi alla vera conoscenza della Scrittura e della Pace Eterna  per ispirazione dello Spirito di Gesù Cristo.”

Ed Edoardo Burrough, nella prefazione al The Great Mystery (1659) afferma lo stesso di tutti i pionieri del Quaccherismo:

“Dopo le nostre lunghe ricerche ci apparve e … in virtù della sua possenza ci portò alla conoscenza e alla visione perfetta che Dio ci ha dato, a ciascuno di noi in particolare , una Luce promanante da Lui stesso , che splende nei nostri cuori e nelle nostre coscienze”.

Tali uomini e donne scrissero nel fervore di una diretta azione di Dio , sulle loro anime. La testimonianza loro non è affatto infirmata dal fatto che parecchie verità , che credevano rivelate ad essi, possano essere state già in precedenza affermate dagli Anabattisti, o dai membri della “Family of Love” (famiglia dell’Amore) o, individualmente, da latri mistici come Giacomo Boehme. “Io ho sentito di te con le mie orecchie – diceva Giobbe – ma ora i miei occhi ti veggono”.  Vi è una grandissima differenza fra l’intendere e anche l’accettare una verità esposta da altri e lo scoprire da se stesso una verità. Molti di noi abbiamo certo sperimentato che passi della Scrittura o altre parole che ci sono da grande tempo famigliari, assumono una luce e realtà di contenuto del tutto nuova allorché per la prima volta se ne scopre il vero significato. Noi allora, in certo qual modo , ci poniamo nello stesso punti di vista degli scrittori e percepiamo da noi stessi ciò che in realtà essi vollero dire.

CHE COSA E’ LA “LUCE INTERIORE”?

Può chiedersi quale sia il senso della espressione “Luce Interiore”, che così spesso ricorre. Credo perciò convenga qui dilucidarne , col linguaggio odierno, quel che mi sembra esserne il genuino significato , poiché , a meno di averlo trovato per esperienza personale il filo conduttore, il linguaggio del secolo XVII è di assai difficile comprensione per noi.

Il soggetto è dei più difficili ed è impossibile renderlo con chiarezza assoluta. Quel che parole umane possono è di suggerirne l’esperienza , poiché è solo nella misura della nostra esperienza che le parole hanno un senso per noi. Lo studio della “Luce Interiore”, ci fa penetrare nelle più intime regioni della personalità umana, là dove il divino e l’umano s’incontrano, e non vi sono carte o diagrammi di tali regioni per renderne chiara e facile la comprensione.

Quando io ero ragazzo ero solito leggere poesie e mi si davano lezioni , a scuola, sulla letteratura inglese; ma non fu che superati i venti anni di età che cominciai a discernere fra una buona ed una cattiva poesia. La percezione della bellezza e dell’eccellenza di una poesia era una specie di “luce interiore”: nessuno infatti me la poteva dare: o la traevo da me o non l’avevo affatto. I miei maestri potevano aiutarmi col dirmi quel che dovevasi scoprirvi o spiegandone le allusioni, e via di seguito; ma tutto ciò fino a che il mio spirito non si aperse alle bellezze della poesia, non era, per così dire, che una impalcatura dietro la quale non vi sia costruzione alcuna. Non può dirsi che qui si tratti di gusto personale. Si tratta invece di un vero grado di bellezza o di eccellenza (sebbene a scuola io non l’abbia raggiunto) su cui concordano tutti i componenti. E neppure può dirsi che il “sentimento” della bellezza è una questione della emotività. L’emozione accompagna ordinariamente il “sentimento” ed è un effetto di questo; la percezione, invece, differisce:

  1. Dalle sensazioni prodotte dalle parole, dai suoni, dalle forme o dai colori:
  2. Dai processi intellettuali per i quali noi possiamo apprendere , o altri possono chiarirci, il significato delle dette sensazioni;
  3. Dall’emozione che il senso della bellezza suscita in noi stessi

Questo è forse uno dei casi i più semplici di una “luce interiore”.

Passiamo ora alla personalità. Come mi è possibile conoscere qual sia il vero carattere di un amico? Dai suoi discorsi , dai suoi atteggiamenti, dalle sue azioni. Si, certamente; ma come potrò sapere quale sia il significato di queste cose? Soltanto a mezzo del filo conduttore delle mie proprie esperienze interne ed in quanto io conosca che cosa sia l’orgoglio, la collera, l’amore, i8l coraggio, ecc. Se la mia esperienza è stata parziale ed unilaterale io posso dare ai fatti una interpretazione del tutto errata; un egoista, ad esempio, s’immagina spesso che gli altri agiscano mossi anch’essi dal loro personale interesse, quand’anche ciò non risponda affatto alla realtà.

Lo stesso è vero dei caratteri nella Storia: noi li interpretiamo per una specie di “luce interiore”. Possiamo giungere, infatti, ad una tale conoscenza di un personaggio storico, che nessun elemento nuovo che venga scoperto nei riguardi di esso e lo illumini di nuova luce, può alterarne, nelle grandi linee, la figura quale noi l’avevamo concepita- Ciò vale, particolarmente , per quanto concerne Gesù Cristo. Cristiano può definirsi colui i cui occhi dello Spirito si sono aperti alla contemplazione della bellezza della Sua personalità, e la cui vita è stata modellata secondo tal visione.

Una tal conoscenza di Gesù è basata sui fatti narrati nell’Evangelo e che noi comprendiamo intellettualmente, e sulla interpretazione dei fatti medesimi alla quale si è giunti attraverso l’esperienza della Chiesa Cristiana. Ordinariamente la conoscenza di Lui giunge a noi a mezzo di coloro i cui occhi ne hanno avuto la visione. Nessuno diviene cristiano per la conoscenza dei fatti o col sottomettersi all’autorità della Chiesa; si è solo cristiani se ed in quanto una Luce ulteriore ci riveli alcunché di Gesù ed in quanto si siano conformati il carattere e la condotta alla detta rivelazione.

Noi non abbiamo che una assai limitata idea di ciò che non sia una personalità “perfetta” fino a che di essa non abbiamo visto un esempio nella vita di un individuo. La esperienza cristiana (della quale tutti possiamo essere partecipi) ci da perenne testimonianza che tale personalità ci è stata offerta in Gesù Cristo. “Gesù è la sola persona – dice l’Hermann- che non abbia dovuto vergognarsi del suo essere, in confronto col suo pensiero e col suo insegnamento. Di tutti gli altri uomini , anche di quelli che ci sembrano i migliori , noi percepiamo la eccellenza , prendendo a termine di paragone le loro deficienze”. Ma è più di una “luce interiore” che noi comprendiamo la perfezione della personalità di Cristo.

Come non abbiamo che una nozione limitatissima di ciò che sia la “perfezione”, così non ne abbiamo naturalmente  che una ancor più limitata di “Dio”. Noi immaginiamo  di conoscere il significato di questa parola, pensando all’onnipotenza , all’onniscienza , all’ubiquità, e via di seguito. E quando ci viene detto che “Cristo era Dio”, noi ci tormentiamo chiedendoci se egli aveva i detti attributi. In realtà , come con efficace espressione scrisse Guglielmo Temple nelle “Foundations”, l’affermazione “Cristo era Dio” non ha per scopo di darci una nozione del Cristo, ma una nozione di Dio. Noi apprendiamo dalle narrazioni del Vangelo, a mezzo della Luce Interiore , ciò che fu Gesù Cristo: ed il “domma” ci dice “Dio somiglia a questo”. La oscura parola Dio viene così irradiata per noi di luce nuova come lo fu per i primitivi cristiani: la personalità di Cristo di mostra che gli attributi dell’amore, della bontà, della umiltà, del sacrificio di se stesso, del patire per il peccato e per la redenzione degli uomini dobbiamo attribuirli a Dio. “Chi ha visto me ha visto il Padre”.

La conclusione che deriva da quanto precede è che la conoscenza di Dio è frutto della “Luce Interiore”.  Tale conoscenza non ci viene infatti né dalla osservazione di quanto ci circonda, come per esempio , la cognizione del mondo naturale, né da ricerche intellettuali, né da testimonianze altrui personificatesi nell’autorità della Chiesa o della Bibbia. Tutto ciò costituisce un inestimabile ausilio ed una preparazione alla vera conoscenza di Dio , ma non può darci tale conoscenza finché non siamo giunti ad essere “veggenti” con i nostri occhi interiori. In altre parole, la conoscenza di Dio è frutto della rivelazione. Abbiamo cercato di stabilire su solida base questa teoria, sapendo che essa non ha un solo obbietto, ma che essa pur vale in rapporto a tutto ciò che rende la vita degna d’esser vissuta, in rapporto, insomma, a tutte le grandi realtà, alla esperienza cioè della bellezza, della bontà, del valore morale e della personalità. Dio si rivelava a noi in tutto ciò che conosciamo, per noi stessi, del Vero, del Bello, del Buono; e soprattutto ci si rivela nell’Unico perfetto esemplare di verità , bellezza, e bontà, che poteva dire di sé “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mio mezzo”.

CRISTO E LA LUCE INTERIORE

Può costituire forse una causa di perplessità per qualcuno di noi, il fatto che i santi del secolo decimosettimo identifichino costantemente la Luce che era nelle loro anime con Cristo. Ci chiediamo come sia possibile che un uomo vissuto e morto molti secoli fa, possa identificarsi con la Luce Interiore che crea la certezza nell’anima dei nostri contemporanei. Ecco: non dobbiamo dimenticare che la maggior parte di questi uomini non erano dei filosofi e che molte delle nostre difficoltà non si presentavano affatto nelle loro menti. Essi avevano, inoltre , come fondo delle loro concezioni, l’idea informatrice del Quarto Vangelo (che si trova nelle Epistole di Paolo, benché non via sia apertamente professata), che “Cristo “ ha un significato assai maggiore che la vita umana di Gesù di Nazareth. Il Cristo non ebbe inizio con la nascita di Gesù, né lasciò la terra quando Gesù morì. Tutto l’insegnamento della Chiesa Cristiana sulla persona del Cristo fu basata sulla concezione giovannea, che in Gesù di Nazareth si incarno il “Logos” o “Vervo” eterno, che è stato perennemente la “vita” e la “luce” degli uomini.

“Quantunque Gesù – scrisse Origine nel terzo secolo – abbia realizzato soltanto ai nostri tempi il piano divino della sua Incarnazione, ha in ogni tempo beneficato la umanità. Non sarebbe stata, infatti, possibile fra gli uomini alcuna nobile azione senza che il Divino Logos avesse visitato le loro anime”.

Prima anche di Origine , Ireneo aveva scritto del Cristo che Egli aveva riunito e “ricapitolato” in Sè stesso tutti i valori umani, tutto ciò che costituisce la vera natura dell’uomo.

Il profondo mistero dell’Incarnazione è un soggetto troppo vasto perché possiamo trattarne qui: non potremmo però comprendere il linguaggio dei primi Quaccheri senza tener presente il mistero stesso. La idea essenziale che si nasconde dietro la dottrina del “Logos” – l’avessero essi compresa oppure no – è che Dio e l’uomo non sono così assolutamente distinti come generalmente si ritiene; che hanno qualche cosa in comune , poiché Dio ha in sé ciò che può essere in maniera adeguata  espresso nella vita di un uomo perfetto e l’uomo, al più alto grado della perfezione, può essere una adeguata espressione di Dio.

Inoltre la credenza nella Risurrezione di Cristo porta alla concezione del suo ritorno e della sua permanenza spirituale fra gli uomini come il “Consolatore2, lo Spirito Santo. E allora, poiché si conviene oggi nell’ammettere che il Logos sia la presenza vivente del Cristo stesso, non sarebbe forse azzardato il dire che lo Spirito Santo è il Logos nella sua presenza personale in noi. Così per loro che credono nell’Incarnazione e nella Resurrezione, la parola “Cristo” piò, senza confusione di idee, venire usata sia per designare Gesù di Nazareth , l’uomo perfetto che ha rivelato la personalità di Dio, sia per designare la Luce Divina nell’anima umana.

RAGIONE E COSCIENZA

Ci sembra opportuno occuparci qui brevemente dei rapporti della “Luce Interiore” con la Ragione umana e la Coscienza. La parola “Ragione” – bisogna riconoscerlo – ha, come molte altre, accezioni diverse. A volte significa il potere per cui l’uomo riconosce qualcosa come vera, sia nel dominio dei fatti sia quello della bellezza o della eccellenza. In questo senso la Ragione può essere considerata come una delle operazioni della Luce Interiore. Comprendiamo oggi perfettamente – ciò che era appena inteso dalla maggior parte dei primi Amici – che ogni concetto vero ed eccellente è una riproduzione del concetto divino, che ciò esso non appartiene soltanto all’uomo ma a Dio; cosicché la Ragione retta in noi è opera dello Spirito Santo di Dioe non solamente opera nostra. In altro senso però la parola Ragione significa il processo intellettuale del raziocinio – come , ad esempio, quando deduciamo che le maree sono causate dall’attrazione lunare, o che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due retti. Questo processo intellettuale, mentre senza dubbio, se bene diretto, ci adduce alla verità in ciò che concerne le cose esterne , non può darci il senso della bellezza o del valore definitivo, né spiegarci la bontà, né la certezza della personalità, né la rivelazione interna di Dio. Come Bergson lo ha efficacemente dimostrato, ciò è assai diverso dalla “intuizione” per la quale possiamo ottenere una certa cognizione diretta della intima realtà dell’universo. Questa distinzione deve essere sempre tenuta presente da chi legga negli scritti dei Quaccheri, che la luce di Dio che è in noi non deve essere confusa con la Ragione umana, ovvero che la detta Luce non è “naturale” all’uomo come uomo. ( Vi è un punto debole nell’esposizione della Luce Interiore negli scritti degli Amici, ed è nella rigida distinzione che essi fanno fra l’umano e il divino, tra il “naturale” e il “soprannaturale”. Ciò che abbiamo detto al riguardo non deve essere inteso nel senso che i processi intellettuali , se ben diretti , non abbiano in sé qualcosa del divino. Dio è verità ed ogni vera cognizione è, in un certo grado, un riflesso di Lui. Si vuol significare, invece, che l’intelletto sembra esserci stato dato ( Attraverso l’evoluzione ) per dirigerci nei rapporti con l’universo esteriore (o fenomenico) e che non può per se stesso darci la conoscenza intima delle realtà spirituali che sono “dietro il velo”)

Altrettanto deve dirsi in riguardo alla Coscienza . Questa è un’altra parola che ha vari significati. Alle volte viene usata ad indicare la percezione della differenza fra il bene e il male e la convinzione che dobbiamo sempre seguire il bene ed evitare il male, quali ne possano essere le conseguenze. Presa in tal senso essa è un altro effetto della Luce Interiore. Ma ess può significare anche la nostra credenza che alcune specie di zioni sono buone e altre cattive : ad esempio, che non dobbiamo rubare od uccidere , che non dobbiamo avere schiavi , che non si deve essere poligami , che non deve lavorare la domenica , ecc  In quest’altro senso la Coscienza è in gran parte il frutto della nostra educazione e dell’ambiente. Ciò che è ritenuto buono presso un popolo e in una regione, può essere ritenuto cattivo altrove presso un altro popolo od a una nazione diversa. I patriarchi dell’Antico Testamento avevano una coscienza poco evoluta, seppur l’avevano , circa la poligamia, la schiavitù, o il diritto di uccidere i loro nemici. Il ritenere che la loro “Coscienza”, in tal modo inattesa , sia la Voce di Dio in noi, significherebbe esporci alla obiezione che se Dio ha comandato a un popolo di fare quel che ad un altro ha proibito, vi è fondamentalmente da dubitare se Egli abbia mai parlato agli uomini.

La risposta a questa obiezione la troviamo osservando il processo storico per il quale la coscienza umana si è elevata gradualmente ad una concezione più vera del bene e del male. Come vi è una vera concezione della bellezza , sebbene un bambino preferisca i colori vivaci e forme rudimentali ad un’opera d’arte , così vi è un vero ordine morale al quale la razza umana si eleva a grado a grado. Come si è riconosciuto , ad esempio, che la schiavitù è un male? Precipuamente perché John Woolman o qualche altro si elevò sora il livello morale comune dei suoi giorni, per la ragione che la Luce Interiore ebbe a mostrargli che ciò comunemente era ritenuto come giusto tale non era. La sola ragione per la quale la nuova concezione prevalse fu che, una volta enunciata, anche altri cominciarono a persuadersi , e la Luce Interiore li convinse, che era un’ingiustizia il fare uso di uomini come di semplici istrumenti a proprio profitto e che ognuno, sia bianco che negro, deve essere considerato come un uomo e non come un utensile. Così la Luce di Dio negli uomini educa la loro coscienza sulla questione della schiavitù ; lo stesso, se si seguisse fedelmente la detta Luce , crediamo avverrebbe per la questione della guerra e dei molteplici mali del nostro stato sociale ed industriale. che la fede nella Luce Interiore non significava che ciascheduno potesse far ciò che a lui particolarmente sembrasse bene  dimenticando che vi è una norma morale generale. La luce era la luce di Cristo , che riproduceva nei suoi seguaci il suo Spirito e la sua pratica di vita. “Fox – dice Herbert G. Wood – non sosteneva esclusivamente né precipuamente il principio generale della Luce Interiore; egli rendeva testimonianza alla Luce Interiore in quanto si esternizza in chiari giudizi morali ed in uno svioluppo della esperienza morale”

UNIVERSALITA’ DELLA LUCE INTERIORE

Possiamo ora ben comprendere perché i primi Amici insistessero così di continuo nell’affermare che la Luce del Cristo non era limitata a qualcuno , ma era concessa in certa misura a tutti gli uomini. Questa era una delle loro principali controversie ed una delle precipue ragioni per cui venissero cos’ fieramente fatti segno a persecuzioni dagli “ortodossi” dei loro tempi. Nella sua apologia , Roberto  Barclays riassume , con le seguenti parole , il complesso dell’insegnamento dei primissimi quaccheri:

“Gloria a Dio in sempiterno, che ci ha scelto come sue primizie oggi che egli è sorto per disputare con le nazioni e che perciò ha mandato noi per predicare a tutti il suo eterno Vangelo. Cristo è vicino a tutti, la luce è in tutti , la semenza germoglia nel cuore di tutti, affinché gli uomini possano venire e prestargli mente”.

Non è necessario dilungarsi oltre su questo punto, tanto più che tutti i cristiani illuminati convengono oggi su quanto abbiamo dimostrato. Così , ad esempio, un comitato di Anglicani e di Nonconformisti, recentemente delegati per formulare i punti che avevano in comune fra di loro, per la progettata “Conferenza Mondiale sulla fede e la disciplina”, dichiarò che “una certa conoscenza di Dio si è riscontrata fra tutte le razze umane , e la grazia e l’aiuto divino è in certa misura presente a tutti. “ Le ripercussioni lontane di questa convinzione , il come essa rivoluzioni i pensieri degli uominicirca le relazioni fra i popoli, abbattendo tutte le barriere che sono state elevate fra le razze, fra classi, fra religioni, confidiamo di dimostrare in seguito.

IL PERCHE’ DELL’ESPIAZIONE

La più grave delle accuse addotte contro i primi Quaccheri era che, rendendo inutile la salvazione con la loro dottrina della presenza di Cristo in ogni uomo, non v’era più posto per l’Espiazione , la Conversione, la Nuova Nascita, e si distruggevano così le basi della religione cristiana. Essi rispondevano che sono due cose affatto diverse quella di avere la Luce presente nelle anime e quella di seguira e di obbedirle. Conoscevamo per esperienza che è ben possibile l’avere in sé la Luce e tenerla a in considerazione ostinandosi a camminare nelle tenebre. Né tralasciavamo mai di porre in rilievo il contrasto della loro esperienza dopo che avevamo percepito la luce ed erano coscientemente entrati nel suo raggio , con ciò che avevamo conosciuto e fatto quando o non se ne erano accorti o vivevano in opposizione ad essa.

In altre parole riconoscevamo nella loro vita stessa e scorgevano nel mondo attorno a sé il fatto del peccato. Essi comprendevano ciò che Gesù voleva intendere quando diceva che solo quando l’occhio è “puro” l’intero corpo è pien di luce , e sapevano che nello stato “naturale” dell’uomo, l’occhio non è “puro” ma è annebbiato dal peccato o dall’ostinazione. Era perciò di imprescindibile necessità che l’uomo abbandonasse le ampie vie del peccato, nelle quali la sua vista era offuscata, per entrar nel sentiero nel quale si “cammina nella Luce”. Ed erano certi che un potere più forte della loro propria volontà era necessario per operare questa rivoluzione nella vita di un uomo.

Per Espiazione i primi Quaccheri  intendevano essenzialmente la riconciliazione dell’uomo con Dio e non una semplice “transazione” puramente esterna, né una fittizia “attribuzione” di giustizia che non rispondesse ala realtà. Dio aveva dato se stesso agli uomini nella vita e soprattutto nella morte di Gesù Cristo, perché questi potesse condurre a Lui tutti gli uomini, stornandone la volontà dalla pratica del peccato per ricercare la santità in forza della dinamica dell’amore espiatorio. La maggior parte degli Amici non erano dei teologi, e raramente pertanto facevano discussioni teoriche: ciò di cui si curavano era la pratica. L’Espiazione per essi era un travaglio interiore, o era un mutamento effettivo nell’uomo o non era nulla. (Cfr. CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinzi, capo VII: “Lasciateci fissare i nostri occhi nel sangue di Cristo e comprendere quanto esso sia prezioso per il Padre, perché, essendo stato versato per la nostra salvezza , conquistò per l’intero mondo la grazia del pentimento”

La Riconciliazione dell’uomo con Dio, la conquista della volontà umana per mezzo dell’amore- sacrificio , conduce l’uomo, aprendogli i suoi occhi interiori, a vedere ciò di cui era poco o nulla cosciente . “Beati i puri di cuore – diceva Gesù – perché essi vedranno Dio” Si ha così la netta distinzione esatta fra la Luce Interiore, intesa in senso nominale, come un dono , dato in certa misura a tutti gli uomini e del quale essi possono o no tener conto , e fra la luce stessa, intesa in senso reale, come quella cioè che al figlio pentito e volenteroso rivela Dio come suo padre , in figura di Gesù Cristo. Vale a dire che solo coloro la cui natura è stata rigenerata dallo Spirito del Crocefisso entrano in pieno possesso della visione spirituale. I primi Amici parlavano non soltanto di “Luce” ma anche di “Semente” diffuse fra gli uomini. Essi conoscevano la differenza fra il chiarore tenue dell’alba e lo splendore del sole levante; fra il seme con le sue ascose possibilità di germoglio e la mirabile bellezza del fiore sbocciato.

QUACCHERSISMO E ORTODOSSIA

Si presenta qui la migliore opportunità di far cenno dei rapporti fra la fede dei Quaccheri e le dottrine dellea Chiesa , che sono generalmente ritenute ortodosse. Da quando si è venuto dicendo , appar manifesto  che gli Amici non hanno pensato mai di revocare in dubbio l’ispirazione e l’autorità della Bibbia, la divinità del Cristo, la sua Incarnazione o la realtà della sua Espiazione come mezzo per riconciliare l’uomo con Dio. Noi chiamavamo la Bibbia “la parola di Dio” , perché per essi la “Parola” era il Logos o lo Spirito Divino che parla direttamente all’anima dell’uomo e che ha ispirato le Scritture, e si rifiutarono di considerare la Bibbia stessa come autorità definitiva , perché erano convinti che non si possono comprendere le Scritture o farne buon uso, se l’anima umana non sia limitata dallo stesso Spirito. Alla formula “le tre persone della Trinità” si opponevano , perché non trovavamo cenno di questa né di queste Persone nel Nuovo Testamento. Questo domma ortodosso appariva loro come una “ideologia”, un frutto di speculazione intellettuale, che non trovava testimonianza nella loro coscienza e alla quale , pertanto, non potevano aderire.

Quando , come avveniva spesso, erano imputati di “eresia”,  facevano una esposizione di ciò che essi credevano costituire la loro ortodossia fondamentale.  (un esempio di tali esposizioni è dato dalla lettera di Giorgio Fox al Governatore delle isole Barbados – 1671- e dalla lunga dichiarazione pubblicata dall’Assemblea Annuale di Londra del 1693, circa la controversia di Keith). Ciò che distingueva precipuamente la loro posizione teologica da quella della maggior parte delle altre confessioni cristiane del loro tempo, era la ferma insistenza con la quale affermavamo che non è l’ortodossia ma la condotta di vita che fa di un uomo un cristiano. Essi avrebbero certamente sottoscritto queste parole di Guglielmo Penn:

“Non è un’opinione , o una teoria, o nozioni di ciò che è la verità, e non è l’assentimento ad articoli o a proposizioni o la loro accettazione , per quanto perfettamente espressa, che fanno di un uomo un vero credente o un vero cristiano. Ma la conformità del pensiero e della pratica con la voilontà di Dio in tutta la santità della condotta in accordo coi precetti del principio divino della luce  e della vita dell’anima, quella che indica che uno è veramente figlio di Dio”.

In altri termini , il cristianesimo era per gli Amici  essenzialmente un’esperienza della Luce di Cristo nell’anima ed una norma di vita basata su tale esperienza. Questo era il fondamento ; la rettitudine delle credenze, per quanto avesse la sua importanza , era una cosa secondaria . Essi , per certo , non ritenevano che non vi fosse una comune norma nel campo del le verità di fede, come nel campo del retto operare. Ciò che crediamo che ssi intendessero , se ci è possibile esprimerlo a modo nostro, è che invano si cerca di difendere la fortezza della fede cristiana coi reticolati dei  credo umani. Confidavano invece nella esperienza cristiana come efficace difesa contro l’errore. Credevano che coloro i quali effettivamente seguono la luce del Cristo, accettano come per istinto le concezioni c he mantengono la sua vita nell’anima e respingono quelle che non sono adatte all’uomo, e che se ogni energia venisse posta in azione per mantenersi leali al Cristo, la rettitudine delle credenze si otterrebbe per riflesso automatico.

LA GUIDA SPIRITUALE

Nulla colpisce di più nella storia degli Amici che la loro convinzione che la Luce Interiore rivelava ad essi non solo la realtà di Dio, ma la dettagliata volontà divina nei loro riguardi. Come gli Apostoli credevano di essere guidati dallo Spirito del loro Signore risuscitato nei loro viaggi e nelle loro attività (Atti XIII, 2-4, 6-7) , così era dei primi Quaccheri. Dio era divenuto per essi di una tale realtà che attendevano ed ottenevano che la sua Luce mostrasse loro il cammino del dovere da seguire giorno per giorno. Non deve ritenersi che in questi fossero soli; tutti i veri cristiani credono indubbiamente – in grado maggiore o minore – nella direzione dello Spirito Santo. Ma pur vero che la credenza nella Luce Interiore importava una fede più intensa in tale direzione, sia individuale che collettiva, di quella che si incontra per solito presso i cristiani. Ciò contribuì non poco per formare il carattere quacchero; e, se più particolarmente si applica  – come vedremo in appresso – alle occupazioni del ministero ed altre forme di attività spirituale, il vero Amico sente tal fede ed è tratto a seguirla in tutti gli affari della vita. Non che si attendano normali manifestazioni “soprannaturali”, come visioni, o voci percettive o energiche  “ammonizioni” , benché esse a volte si siano verificate per alcuni. La guida si ha piuttosto con il lume apportato dalla ragione ed alla coscienza e col rischiarare il giudizio, in modo che i fatti , che dovrebbero influire su di una decisione, siano chiaramente percepiti e valutati debitamente . La Luce Interiore  – secondo l’espressione  di John Woolman – deve essere avvertita come lo “Spirito della pura Sapienza” lo Spirito guida la personalità umana elevandola fino all’altezza della visione profonda della verità e del giudizio sicuro. Come Braithwaite si esprime: “ La Personalità Divina , con la quale le nostre anime sono in comunione , rivela se stessa nelle vie comuni della vita e servendosi delle facoltà naturali dell’Uomo”.

(Bisogna aggiungere che il processo per cui un uomo dabbene si decide su ciò che debba fare , non è puramente di di ordine intellettuale. L’intelletto può, in certa misura, renderlo capace di giudicare se una particolare linea di condotta potrà o no fargli conseguire il fine che essa si propone; ma per decidere sulla questione, assai più vitale, se tal fine sia degno, l’uomo abbisogna di una certa qual Luce Interiore).

Edward Grubb

ALTRE “PARTICOLARITA” DEI QUACCHERI

Dalla credenza nella Luce Interiore e della esperienza fattane conseguono i metodi e le opinioni peculiari che hanno caratterizzato la Società degli Amici. Ciò vedremo più dettagliatamente nei successivi capitoli. Sia che ci riferiamo al Culto ed al Ministero, al disuso delle forme sacramentali, al rifiuto del giuramento giudiziario, alla convinzione che la guerra è di per sè stessa un delitto, abborriemnto di ogni oppressione e di ogni ingiustizia nei rapporti umani , sia che esaminiamo i metodi quaccheri nel Governo della Chiesa, appare costantemente che la ragione profonda delle pratiche che distinguono particolarmente gli Amici, coniste, in ultima analisi , nella loro certezza del diretto e personale rapporto di ogni anima umana con Dio, e del bisogno della sincerità assoluta e della verità qualora si voglia che la Luce Divina risplenda senza ombra.

Capitolo VII

IL PACIFISMO

La società degli Amici è stata messa a grave prova dallo scoppio della grande guerra europea. I suoi principi pacifisti erano a conoscenza di tutti e rispettati in tempo di pace: avrebbero essi però potuto sopravvivere ad un conflitto in cui , come quasi tutti gli Inglesi ritenevano, una potenza militare straniera avrebbe voluto conquistare il dominio del mondo, e rovesciar le basi dei rapporti morali fra le nazioni col far nessun caso delle voci dell’umanità  e col beffarsi delle pochissime leggi internazionali tanto difficoltosamente accettate? Alcuni membri della Società credettero loro dovere di condividere il sacrificio nazionale, arruolandosi come i soldati; altri però, in grande numero, fra i migliori ed i più coraggiosi non piegarono, ed affrontarono , per restare fedeli alle proprie convinzioni, la prova ancor più difficile di resistere alla opinione pubblica del paese e disobbedire alla legge che rendeva obbligatorio il servizio militare. Molto fra i giovani , in età di essere coscritti, e molte donne si dedicarono a servizi che, senza recar offesa alle loro convinzioni, consentirono ad essi di apportare aiuto col curare i feriti di guerra, dando prova agli amici come ai nemici, di quella buona volontà sulla quale soltanto può una pace durevole trovar la sua base stabile.

La situazione è troppo delicata perché sia possibile trattare oggi. (1917) Tracciamo quindi brevemente la storia del nostro pacifismo , mostrando quale ne sia il fondamento e il significato reale e per quali vie possiamo trovare modo di superare le molte difficoltà di attuarlo.

STORIA DEL PACIFISMO QUACCHERO

Nella primitiva Chiesa cristiana, durante i primi due o tre secoli  – sin che ci avviciniamo all’unione fra Chiesa e Stato sotto Costantino – si ritenne generalmente , almeno fra le persone più illuminate ,che con la confessione di cristiano fosse antitetico il servizio militare.

“Un partito potente – dice lo storico Lecky – che aveva tra i suoi capi Clemente , Tertulliano , Origene, Lattanzio e Basilio, sosteneva che fosse illecito per i convertiti ogni servizio militare. Tale opinione ebbe il suo martire nel famoso Massimiliano che fu messo a morte sotto Diocleziano per il solo motivo che, arruolato come soldato, dichiarò di essere cristiano e che, pertanto, non poteva combattere.”

Il detto scrittore fa a proposito rilevare che se la coscrizione era fortemente dissuasa, non era però dalla maggior parte dei cristiani considerata come  peccaminosa. “ I soldati , reduci dalla guerra anche la più giusta , non erano ammessi nella comunione se non dopo un periodo di penitenza e di purificazione , non erano però esclusi dalla Chiesa”. Tertulliano dopo aver detto che “Il Signore disarmò Pietro, e con ciò egli vede cadere la spada nelle mani di ogni soldato”, scrive nell’Apologia : “Noi navighiamo con voi e serviamo con voi nell’armata. Questa contraddizione evidente , è prova che fra i cristiani vi erano allora diversità di pareri al riguardo.

La convinzione del carattere anticristiano della guerra si ritrova nel Medio vo ed anche successivamente in molte delle correnti mistiche e riformatrici, come nei Catari, nel Valdesi, nei Lollardi, e negli Anabattisti. Queste ritennerp   che la guerra ed il giuramento  fossero interdetti ai cristiani. Tale era anche la convinzione di Enrico Nicolas , il fondatore della “Family of Love (La Famiglia dell’Amore). Appare da ciò che l’adozione di simili teorie da parte dei Quaccheri non è stata fortuita, ma fu la conseguenza naturale del loro Cristianesimo mistico e sperimentale. Ne abbiamo traccia sin dai primissimi anni del ministero pubblico di Giorgio Fox. Nel 1650, mentre era incarcerato a ìDerby, gli si offrì il grado di capitano dell’armata del Parlamento. “Io so- risposi loro – che secondo l’insegnamento di Giacomo, tutte le guerre sono frutto della concupiscenza. So, inoltre di vivere in virtù di quella vita e di quella possanza che ha soppresso i motivi di ogni guerra. Breve tempo appresso , poco prima della battaglia di Worcester, sollecitato ad arruolarsi , rifiutò di nuovo  e fu perciò , ancora una volta imprigionato.

Su questo punto Fox non ebbe mai dubbi ed esitazioni. La sua convinzione non solo gli interdiceva di prender armi , ma si opponeva altresì mad ogni sentimento che conduca a farvi ricorso . Non sembra però che abbia fatto premure perché i suoi amici dovesserlo seguire in ciò, a mewno che fossero essi stessi illuminati al riguardo dallo spirito di Dio.

L’aver egli risposto a Guglielmo Penn, che gli chiedeva che cosa avrebbe dovuto fare della sua spada, “Portala finché ti sarà possibile”. È forse una pura leggenda , ma è rispondente alla pratica allora seguita. Molti soldati che avevano aperto gli occhi alla “Verità” furono lasciati liberi di restar nell’esercito finché apparve ad essi evidente la incompatibilità tra la loro fede e la loro professione. Certo si è che molti di essi si convinsero ben presto di non potere restare soldati e, particolarmente nella Scozia ed in Irlanda , furono in buon numerto dimessi dall’armata. L’essere seguaci della Luce Interiore conferiva loro una indipendenza che non era senza danno per la disciplina militare.

A grado però alcuni dei pionieri del Quaccherismo videro qual fosse la logica conseguenza derivante dai loro principii. Parecchi , che ritenevano di essere stati essi stessi affrancati del tutto da una guerra esteriore, sostenevano che in uno Stato , che sia cristiano solo in parte, vi è necessità di un esercito, strumento di Dio per la punizione dei malvagi. L’ardente Edoardo Borrough, che morì in prigione nella fresca età di 28 anni scrisse all’esercito nel 1659: “Il Signore può servirsi di voi per strappare via i rovi e le spiune , e per demolire le roccie e le alture che si sono levati contro di lui” Nel 1661 Isacco Penington , nel suo studio Concerning the Magistrate ‘s Protection of the innocent  (A proposito della protezione giudiziaria dell’innocente ) , diceva che lka vera difesa di una nazione è la giustizia che sopprime la causa delle guerre. “Ciononpertanto – egli aggiungeva – io non intendo riferirmi con questo ai governati ed ai popoli che si difendono contro invasioni straniere , o nei confini del loro territorio fanno uso della spada per sopprimere i criminali e i malfattori; ciò ouò e deve essere richiesto dall’attuale stato di cose ed una grande benedizione cadrà sulla spada che sia impugnata giustamente a tal fine, ed uo uso sarà degno d’onore… Vi è però un migliore stato , verso il quale il Signore ha già condotto alcuni, e verso il quale le nazioni debbono tendere”.

Nel 1659, a Bristol sette Amici furono nominati Commissari militari. Alessandro Parker , incerto sul come dovesse comportarsi , scrisse per chiederne il parere a Fox , il quale sembra si sia espresso contro la loro accettazione. Agli inizi dell’anno successivo Fox fu nettamente dell’avviso che due Amici , ai quali era stata offerta carica analoga, dovessero senz’altra rifiutarla. La posizione della Società fu definitivamente stabilitA CON LA DICHIARAZIONE DIRETTA a Carlo II , verso la fine del 1660. In esso si diceva: “Noi ripudiamo energicamente tutte le guerre e tutte le lotte ed ogni combattimento con armi materiali, quale ne sia lo scopo e quale ne sia il pretesto: questa è la nostra testimonianza che rendiamo dinnanzi al mondo intero.  E se ci si obbietta: “Voi ora dite che non potete combattere, ma se lo spirito vi muovesse voi dovreste mutare allora il vostro principio e combattere per il Regno di Cristo” rispondiamo che lo Spirito di Cristo , dal quale siamo guidati, non può mutare , comandandoci di fuggire oggi una cosa come male e domani , invece, di compierla. E noi sappiamo per certo e lo dichiariamo dinnanzi al mondo, che lo Spirito di Cristo che ci guida alla cognizione di ogni verità , non ci ispirerà mai a prender parte ai combattimenti ed alle guerre , con armi materiali , contro chi si sia , e ciò né per il Regno di Cristo né per i Reami del mondo. Non vi dubbio che da quel tempo la Società abbia sempre offerto una testimonianza collettiva contro la guerra , dichiarando questa assolutamente incompatibile coll’evangelo di amore e di pace predicato dal Cristo . E le dichiarazioni ufficilai emesse all’uopo furono sempre ad eccezione forse di una, chiare e intransigenti. Ed il principio è richiamato di continuo all’attenzione degli Amici con la lettura periodica del nostro ottavo Quesito:

“Siete fedele nel mantenere la nostra testimonianza cristiana contro ogni guerra come incompatibile coi precetti e lo Spirito del Vangelo?”.

Con ciò vuole intendersi il dovere degli Amici di astenersi non solo dal prestare servizio militare o nell’indurre altri a farlo ma anche dall’esercitare industrie di guerra quali fabbriche di munizioni e simili. Un tal quesito non ha però lo scopo di esercitare una coazione sull’opinione privata , che deve promanare soltanto dalla coscienza individuale , né  – da quanto gli Amici seggono in Parlamento – per influenzare il loro libero giudizio sulle questioni relative all’esercito o alla flotta. Se però un Amico avesse a sostenere pubblicamente aumenti di forze militari, la sua azione sarebbe da tutti considerata in contrasto con la nostra professione ed egli potrebbe essere chiamato a render noto.

Non deve ritenersi che tutti e singoli gli Amici abbiano in materia gli stessi convincimenti o che , sin dall’inizio non ve ne siano stati di quelli che abbiano considerato la testimonianza più come un ideale che una norma positiva di attività politica, avuto riguardo alle circostanze. Ma dacché gli Amici furono assunti a posti di responsabilità nel Governo , essi si sforzarono , per quanto fu loro possibile, di tradurre in pratica i loro principi  In Inghilterra , sin verso la metà del secolo XiX non ne ebbero quasi l’occasione; ma non così avvenne in alcune colonie in America. Vedremo nel prossimo capitolo le difficoltà che essi incontrarono . Non è , evidentemente, facile, per chi è convinto che la guerra  – e pertanto anche la preparazione alla guerra – è proibita ai Cristiani, partecipare all’attività di un governo di chi invece la ritiene necessaria.

FILANTROPIA E RIFORMA SOCIALE

Il cristianesimo e i rapporti sociali

Uno dei più rilevanti effetti del Cristianesimo è stato quello di ingrandire e di intensificare lo spirito di amore fra gli uomini. Benché Gesù – a quanto pare dai Sinottici – non abbia usato l’espressione “Luce interiore” (E’ da notare non pertanto il passo di Luca VII, 57: E’ perché da voi stessi non giudicate ciò che è giusto?) egli ce la insegnò se non con le parole con le opere. Egli mangiava con i pubblicani e con i peccatori; rivelava a donne qualcuno dei suoi più profondi insegnamenti ; dichiarava come fatto a Lui quel che fosse stato fatto all’ultimo dei suoi fratelli. Grazie a Lui, per la prima volta nella storia del mondo , si ebbe una intensa conoscenza del valore della personalità dell’uomo come tale. Ciascuno divenne per i suoi seguaci un fratello “Per il quale il Cristo era morto”. I confini della fraternità erano così ampliati sino a comprendere tutti i figli dell’uomo. E amare l’uomo perché uomo , il sentimento cioè dell’unità della famiglia umana . divenne nei primi tempi la norma direttiva per tutti.

Ne abbiamo le prove evidenti nel rifiuto dei primitivi Cristiani di combattere negli eserciti romani, nell’abolizione delle lotte fra i gladiatori con le loro ottenebrose crudeltà, nella soppressione graduale – senza che vi fosse un precetto formale – della schiavitù, nel sempre maggiore riconoscimento dell’eguaglianza spirituale fra uomini e donne . Purtroppo, però , non mancarono opposizioni ed influssi contrari. La Chiesa fu assorbita dalla preoccupazione di fissare le proprie credenze e di stabilire la propria organizzazione. Lo spirito ascetico, che è essenzialemnte individualista sedusse molti dei suoi membri spirituali. L’elemosina fu considerata come una specie di penitenza e di disciplina, più proficua nell’altro mondo per l’anima di chi la fa che in questo per chi la riceve. Più tardi la Chiesa si strinse troppo al Feudalesimo, la cui divisione degli uomini in classi di valore intrinsecamente differente sembrò a molti di istituzione divina. Malgrado ciò, si riscontra sempre nella Chiesa una vera sollecitudine a favore dei sofferenti e degli oppressi. Vediamo , ad esempio, Ambrogio costringere Teodosio a fare penitenza per il massacro di Tessalonica. Così pure , durante il Medio Evo la Chiesa si sforzò con più successo , di regolare il commercio e la industria nell’interesse della giustizia e pel benessere dell’umanità.

GEORGE FOX E LE INGIUSTIZIA SOCIALI

La Riforma in Inghilterra portò seco il crollo di gran parte dell’antica struttura sociale, specialmente con la distruzione dei monasteri presso i quali i poveri trovavano assistenza, e ciò proprio in un tempo nei quali i diseredati della fortuna si era moltiplicato. La legge a favore dei poveri, sotto il regno di Elisabetta, non provvide che molto imperfettamente alle crescenti necessità. Così all’epoca della giovinezza di Fox, correvano tempi di vera sofferenza e di oppressione per la povera gente, ciò che aveva prodotto la convinzione, durata ancora a lungo fra la più gran parte di chi diceva di professare il cristianesimo , che un tale stato di cose fosse un fatto naturale ed inevitabile. Nulla v’era di meno favorevole perché  il “germe divino” si sviluppasse in molti cuori umani. Fox si accorse immediatamente delle ingiustizie  e nella sua lealtà cristiana le condannò arditamente. A Mansifield , nel 1648, egli si recò nella seduta convocata per fissare – a norma dello Stauto degli Apprendisti – i salari del valere nel distretto , ed esortò i delegati “di non opprimere i servi nei salari, ma di comportarsi nei loro riguardi secondo giustizia ed equità ( Egli aggiunse che “esortò parimenti i domestici a fare il loro dovere e a servire con fedeltà”).

Wistanleyb, contemporaneamente a Fox, ci accerta che in alcune località i poveri erano costretti a lavorare per quattro, cinque o sei pence (da otto a dodici soldi) al giorno e che i loro salari non erano sufficienti per procurare il pane alle loro famiglie. Fox narra che l’anno dopo ammonì  “i tenutari di pubblici locali di trattenimento che non dovevano permettere che la gente bevesse più del ragionevole”. Nella Cornovaglia , nel 1659 , egli protestò pubblicamente contro il costume inumano dei “profittatori di naufragi”, esortando invece ciascuno , in caso avvenissero naufragi sulle coste, a collaborare al salvataggio delle vite e dei beni ed a fare agli altri  ciò che si sarebbe voluto fatto in simile circostanze a se stesso. Ho già notato altrove come egli raccomandasse alle persone dedite agli affari di non mentire né frodare , e come gli Amici fossero stati i primi ad adottare nei loro negozi il sistema dei prezzi fissi.

“CARITA’” E FILANTROPIA

Fin dal costituirsi della Società, gli Amici ebbero vigile cura per provvedere alle necessità dei loro poveri. Nel 1660 , narra Fox, “diversi giudici e capitani” vennero per sciogliere una grande aAsemblea Generale che si teneva a Skipton ; ma quando i detti funzionari dettoro uno sguardo ai libri di Amministrazione degli Amici e videro quanta cura essi ponessero perché i membri poveri della Società non cadessero a carico della pubblica beneficenza , “confessarono che noi avevamo fatto quello che essi avrebbero altrimenti dovuto fare e se ne andarono pacificamente ed amichevolmente”.

Fox narra che, dopo tale Assemblea venivano a volte “fino a duecento poveri” che non erano della Societrà, egli Amici li mandavano dai fornai perché questi dessero un pane a ciascuno di tali poveri quanti ne fossero. perché erano convinti di dover fare del bene a tutti”. Pare che non molti fra gli Amici si siano resi conto allora delle conseguenze dannose di una “carità” fatta senza discernimento.

Alcuni di essi non tardarono a proporsi, con sempre crescente intensità, di rimuovere le cause della miseria e della sofferenza: la “carità” si trasformò in filantropia. La caratteristica della filantropia è di mirare più lontano di quel che faccia la consueta “carità” quale viene comunemente intesa, e di occuparsi non solo delle miserie dei singoli ma di cercare l’elevazione su una più larga scala delle condizioni umane .

L’alleanza della filantropia col Quaccherismo non è puramente accidentale, ma è una duretta conseguenza della “Luce” o della “Semente “ di Dio in tutti gli uomini. Era ciò, come abbiamo visto che sospinse Penn ed Archdale a trattar con giustizia gli Indiani ed aver confidenza in essi:la colonia della Pensilvania, fondata sulla libertà, sulla Giustizia e sulla Fede fu uno dei grandi esperimenti filantropici . Era  ciò che mosse John Bellers , un giovane contemporaneo di Penn, a formulare ed a presentare al Parlamento progetti d’istituzione di stabilimenti industriali per dare utile lavoro ai disoccupati, e a proporre altre misure di grandissima importanza sociale.(Carlo Marx ne parla nel suo “Capitale” come di un vero fenomeno nella storia dell’Economia politica).

La schiavitu’ dei negri
Nulla puo’ illustrar meglio l’intima connessione tra la filantropia quacchera e la fede della Luce Interiore , e nel tempo stesso, , nulla puo’ dimostrare meglio la graduale penetrazione della luce nella umana coscienza, che l’opera antischiavista esplicata dagli Amici. Quando George Fox fu nelle isole Barbados nel 1671, esorto’ gli Amici che avevano negri come schiavi, ad istruirli nel timor di Dio, a trattarli con gentilezza e non crudelmente °come purtroppo e’ stato praticato e si pratica tutt’ora. E °dopo qualche anno di selvaggio°, a render loro la liberta’. E’ dubbio se egli si fosse reso conto che la schiavitu’ e’ di per se stessa un male. Manifestamente pero’ egli era convinto che i negri erano in certa qual misura partecipi del dono della Luce Interiore nelle loro anime, contro il reciso parere della maggioranza della popolazione bianca dell’epoca e di molti anche del giorno d’oggi. Guglielmo Emundson , che era stato il suo compagno, eche visito’ nuovamente le Barbados nel 1675, aveva sull’argomento idee ancora piu’ precise . Egli fu cosi’ energico nelle sue rimostranze che venne tradotto dinanzi al Governatore sotto l’accusa di incitare i negli alla rivota. Piu’ tardi egli indirizzo’ un monito agli Amici del Maryland e della Virginia , in cui diceva loro espressamente che il tenere schiavi e’ incompatibile con la pratica del Cristianesimo.
Nelle colonie americane , in quel tempo e fino a tardi nel secolo decimottavo, i benestanti che dicevano di professare il Cristianesimo, qualunque fosse la denominazione cui appartenevano , compresi gli Amici, non vedevano nulla di male nella compravendita e nel far uso di schiavi. Gli Amici furono i primi a veder chiaro, per quanto i loro primi passi fossero su questo terreno deboli e irresoluti. Molti anni trascorsero prima che un’Assemblea Annuale si pronunciasse ufficialmente contro la schiavitu’.Nel 1714, il massimo che si potette ottenere dai rispettabili mercanti e piantatori che costituivano la maggioranza dell’Assemblea Annuale di Filadelfia , fu un voto che ° gli Amici facciano in genere tutto il possibile per astenersi dalla compravendita di negri che fossero d’ora innanzi importati, al fine di non offende alcuni Amici che vi erano contrari. Con cio’ si vuol dare soltanto un avvertimento , non esprimere una biasimo°.
Antonio Nemezet ed altri pochi Amici scrissero e parlarono contro la schiavitu’. Fu pero’ merito di Giovanni Woolmann , anima grande e pura , se la causa dell’antischiavismo ebbe successo nella maggioranza dei Quaccheri in America. La convinzione profonda , l’ammirabile tenerezza e l’umilta’ con le quali visitando gli Amici, egli patrocino’ la giusta causa. Le guagagno i cuori di molti che altrimenti non ne sarebbero stati tocchi. Assai grande era il numero degli schiavi posseduti da membri della Societa’. In una Assemblea trimestrale ci si parla di una visita fatta ad alcuni di essi che ne possedevano millecento. L’Assemblea annuale di Filadelfia del 1758 decise per la prima volta che tutti gli Amici che possedevano ancora schiavi dovevano °porli in liberta’provvedendo cristianamente ai loro bisogni° e scelse Giovanni Woolmann e tra altri perche’ visitassero e trattassero con coloro che erano restii ad applicare tale deliberato. L’opera di persuasione fu lenta e piena di difficolta’, e non fu che nel 1776 che un’altra Assemblea annuale di Filadelfia dispose che se qualcuno degli Amici persistesse nel tenere schiavi , fosse escluso dalla Società. Cosi’ il Quaccherismo e’ stato il primo , fra le confessioni cristiane, a purgarsi di questa macchia.
In Inghilterra , durante gli anni che seguirono, gli Amici furono tra i piu’ energici sostenitori di Wilberforce e del Clardkson nella lunga agitazione che si concluse con l’abolizione della Tratta degli Schiavi nel 1807, e con la Legge del 1833 che aboliva alfine la schiavitu’ in tutti i possedimenti britannici. Anche pero’ a favore di cosi’ grande causa lo sforzo fu opera di Amici individualmente presi , e non della Societa’ come tale. Questa anzi considerava anche troppo l’opinione pubblica del paese contraria alla riforma. ° In quel tempo , scrive il biografo di Giuseppe Sturge , quasi tutta la pubblica stampa era espressamente ostile alla causa dell’abolizione° L’Assemblea nnuale di Londra diffidava gli stessi Amici che si mischiavano in un’agitazione politica ed anche maggiore era la preoccupazione in America, dove si temeva di compromettere la Societa’ col cooperare con persone appartenenti ad altre denominazioni religiose.
La illogicita’ di una tal posizione fu vivamente sentita da Giuseppe Sturge da indurlo nel 1841° fare una visita privata agli Amici di America per muoverli a compiere cio’ che egli riteneva come un loro dovere. Egli fu accompagnato in questa visita da Giovanni G. Whittler il poeta, che aveva momentaneamente lasciato da parte una carriera letteraria promettentissima , per dedicarsi anima e corpo a sostenere la causa , impopolarissima , dell’abolizione della schiavitu’. Sturge e Whittler trovarono alcuni Amici pronti a ricevere il loro messaggio . Ma le lettere dello Sturge alla sorella °provano fino a qual punto il principio religioso si fosse paralizzato al contatto con lo schiavismo, anche in questa societa’ che ne aveva subito meno l’influenza , e quanto perigliosa sia la tendenza , alla quale sono esposti tutti gli organismi religiosi di sostituire lo zelo per misere forme particolaristiche a quello per cose di ben maggiore importanza quali °il giudizio e la misericordia e la fede°.Matteo XXIII.

L’OPERA A FAVORE DEGLI ALIENATI

Pochissimi hanno un’idea dei radicali cambiamenti operatasi nel secolo decimonono circa i metodi verso gli alienati. All’inizio di detto secolo la follia era considerata con orrore e terrore, come una specie di sortilegio o di possessione diabolica  ed i dementi erano trattati crudelissimamente e curati con tutta segretezza. Mio padre , Gionata Grubb, mi narrava che verso il 1820, quando egli era ragazzo e trovavasi nell’Irlanda meridionale, accompagnò un giorno una persona che aveva il permesso di visitare un ricovero di pazzi, e potette vedere qui miseri , rinchiusi in gabbie ed incatenati come bestie feroci, quasi nudi, con un solo di pò di lurida paglia su cui straiarsi. Fu un quacchero , mercant di tè, Guglielmo Tuke di York, che tentò per primo ad attuare con mezzi propri, metodi più cristiani. Egli fondò nel 1792 l’Ospizio “The Retreat” di Yok per curare e ospitare i dementi , e ne fu il primo presidente. Curò la follia come una malattia , con la tranquillità e il riposo in un ambiente salubre e gaio, sostituì la bonta alla crudeltà e non ricorse più alla forza se non in quanto fosse assolutamente necessaria  per impedire al malato di nuocere a se stesso o agli altri.  Ne risultò che molti guarirono e che la fama dell’Istituzione si diffuse largamente. Essa divenne un asilo modello per i dementi . Così la semplice fedeltà di Giglielmo Tuke al serviozio al quale si sentiva mosso rivoluzionò a poco a poco in tutto il mondo civile, il metodo di trattamento dei pazzi.

Filantropia e Riforma Sociale

La filantropia può essere definita l’attuazione del sentimento di carità disciplinato dalla riflessione, in una società fortemente individualista, vale a dire in un comunità in cui l’ideale della libertà personale fa forte appello al comune degli uomini ed in cui il popolo, per la riparazione delle ingiustizia, confida più nelle iniziative di individui o di libere associazioni, che nell’autorità centralizzata dello Stato o della Chiesa. Malgrado però la sua eccellenza, la filantropia ha un campo naturalmente ristretto. Gli sforzi degli individui , isolati o in cooperazione con qualche altro , sono troppo spesso impotenti; il loro campo di azione è troppo ristretto, i mezzi finanziari di cui bisognano sono insufficienti e manca ad essi quell’elemento di obbligatorietà che spesso è necessario e che non può venire che dallo Stato. Il successo desiderato non può essere garantito che con modificazioni apportate alle leggi e con miglioramenti amministrativi dell’orga,  come Giovanni Woolman , non avrebbero potuto trionfare servendosi della sola persuasione: era necessario che il sistema schiavista fosse dichiarato illegale.

Il caso della riforma penitenziaria , al quale abbiamo accennato, illustra pienamente il passaggio dalla filantropia alle riforme sociali, e dimostra altresì che l’una e le altre sono indispensabili e si completano a vicenda. Fino all’epoca di Giovanni Howard, lo Stato non si assumeva , si può dire, responsabilità alcuna nell’andamento delle prigioni e si limitava a consegnare , per un determinato tempo di espiazione, il colpevole ad un carceriere, che cercava di trarre il maggior profitto sia dal prigioniero che dai suoi amici. I mostruosi abusi che ne derivarono atrtassero l’attenzione di filantropi , quali Giovanni Howard ed Elisabetta Fry, i quali però s’avvidero che tali abusi avrebbero potuto essere eliminati solo se gli Stati fossero indotti a riconoscere che, verso coloro che si rendono colpevoli di reati, hanno altri doveri che non quello della semplice repressione. Se la funzione dello Stato si limita a questo il delinquente uscirà di prigione più pericoloso per la società  di quanto vi fu rinchiuso. Ogni di più appar manifesto che lo Stato non deve solo tenerlo in buone condizioni igieniche , e curare che sia trattato con umanità – cose queste che è in potere di fare – , ma deve altresì cercare, se è possibile di rigenerarlo , ed a far questo il macchinismo statale è alquanto impotente. Il mutare una volontà da cattiva a buona, il far di un nemico della società un buon cittadino, non può essere che opera personale, a compiere la quale è inadatta qualsiasi organizzazione sistematica per quanto perfetta.

Essa dunque può essere compita esclusivamente da persone che hanno a cuore la sorte dei carcerati.

Così in alcune delle comunità più progredite , particolarmente in alcuni Stati d’America, il Governo si serve volentieri dell’opera filantropica di uomini e donne dedicatisi a questa missione come “probation officers” (letteralmente : ufficiali di prova) , visitatori delle carceri, ecc

Abbiamo chiarito questo punto per mostrare come le riforme , consolidate con l’azione politica , richieggono lo sforzo di filantropi perché raggiungano il loro scopo. In molti casi è assai vantaggioso che gli esperimenti di riforme vengano compiuti da privati prima che lo Stato se ne immischi. Guglielmo Tuke avrebbe avuto sbarrato il cammino nel suo tentativo di riforma nella cura dei pazzi se tutti i ricoveri di questi poveretti fossero stati alla dipendenza dello Stato, perché quasi tutti ritenevano allora come indiscusso che gli alienati dovevano essere tenuti in rigida captività, e nessuna amministrazione statale avrebbe mai consentito a far la perigliosa prova di fare a meno della coercizione o di allentarla. Così pure se tutti i riformatori per i giovani delinquenti fossero stati diretti dallo Stato, in quell’epoca in cui le manette e i secondini armati erano ritenuti necessari per mantenere l’ordine e la disciplina , è ben probabile che non sarebbero stati resi possibili i risultati ottenuti in questo campo da iniziative private. Solo con il libero uso dell’influenza personale può farsi appello alla Luce che potenzialmente brilla in tutte le anime anche le più degradate, e solo per tal influenza queste anime possono essere risollevate ed orientate sul retto cammino.

Fondamento e natura del pacifismo quacchero

Si è spesso supposto che gli Amici basassero il loro convincimento circa il carattere anticristiano della guerra su una interpretazione letterale di alcuni passi del Nuovo Testamento , quali: “Amate i vostri nemici”; “Non opponete resistenza al cattivo”, “Riponi la tua spada nel fodero”. “Vivi in pace con tutti”. Macaulay e molti altri hanno rimproverato agli Amici la apparente antinomia fra il volere interpretare letteralmente tali passi mentre insistono su una interpretazione spirituale a proposito del Battesimo e della Cena . In realtà però, il principio adottato dagli Amici ha un fondamento ben più profondo che nella interpretazione di qualche testo, come abbiamo già potuto rivelare dalla risposta di Fox a coloro che volevano farne un soldato. L’uso di testi , pari o consimili a quelli sopraricordati erano la più diretta risposta che gli Amici potessero dare agli adoratori della Bibbia di quel tempo, i quali consideravano la Sacra Scrittura in tuitte le sue parti come l’autentica e pure “Parola di Dio”. Sarebbe stati infatti inutile basare le loro testimonianze appellandosi alla Luce Interiore, principio questo che era del tutto incomprensibile per la maggior parte dei loro contradditori , e che era considerato come una blasfema eresia.

Il loro convincimento era, tuttavia, una emanazione diretta del loro principio centrale e fondamentale . A mio avviso il Pacifismo non può essere staccato dal Quaccherismo , come non si può strappare il cuore ad un animale colla pretesa che questo continui a vivere. La connessione necessaria tra la nostra dottrina pacifista e la Luce Interiore è così poco compresa che ci sembra opportuno di trattarne con una certa ampiezza da un triplice punto di vista.

  • La luce interiore non era solo un principio per la guida individuale, per cui uno poteva orientarsi verso una direzione e un altro verso una direzione diversa, senza alcuna regola comune ed oggettiva di vita e di condotta. Era Luce , nelle anime degli Amici, del Cristo vivente, luce che essi consideravano tutt’uno con la vita e il carattere di Gesù quando era sulla terra. Credevano nella Sua resurrezione e al suo ritorno presso i seguaci , sotto la specie dello Spirito Santo, il Consolatore. Sentivano come Paolo , che Cristo viveva in essi, riproducendo nella loro vita lo spirito , il carattere, la maniera di vivere di Gesù di Nazaret: or questi rifiutò di far uso della forza per stabilire il suo Regno, insegnava che nel suo >Regno il più grande sarebbe stato il più umile , che fosse tutto dedito a servire gli altri; e pose egli stesso in pratica il suo insegnamento . che fosse tutto dedito a servire gli altri; e pose egli stesso in pratica il suo insegnamento . Egli sopportò tutto , trionfando del male col vittorioso potere dell’amore spinto all’estremo. Tale, pertanto , dev’essere pure la vita dei suoi discepoli.

Giacomo Nayler esprime questo pensiero con parole alle quali ciascusno degli Amici potrebbe sottoscrivere:

“Tutti conosceranno questa Semente – la parola “Semente “ era una delle espressioni , preferite dai Quaccheri per significare il Cristo vivente nelle anime – diretta dal padre ed erede del Regno eterno . che combatte non con la violenza ma con la preghiera ; che non cerca la vendetta ma sopporto invece tutte le offese fattegli, per ottenere dal Padre perdono per tutti , ed ha la possa di sottomettere tutte le cose vicendevolmente. Cercate questa semente in voi stessi ed in essa cercatevi l’un l’altro come fratelli. Essa è l’essere perfetto che non può distruggersi e che nessuno al mondo può vincere ; che non è soggetto di collera, non è soggetto all’orgoglio, che non lotta che per vivere per la sua propria vita”.

I primi Quaccheri sapevano, come i primi cristiani, di essere mandati per vincere il mondo e per vincerlo come il loro Maestro aveva fatto e continua a fare nei suoi fedeli ed obbedienti seguaci e per mezzo di questi , “Non con la forza o con la possanza”, ma con lo Spirito di amore , col perdono e con l’assoluta fiducia in Dio. Il suo metodo, il loro metodo, non era la violenza ma il martirio , ed è stato realmente “vinto”, il cuore di molti uomini è stato mutato e la Luce interna ha loro mostrato che ciò che si cercava di sopprimere come cattivo ed eretico, era invece buono e vero. La dolcezza riportava una vittoria che la forza non otterrà mai.

 

2) La fede ardente che la Luce era stata data in una certa misura a tutti gli uomini elevò la personalità umana a dignità nuova. Non solo i Cristiani, ma gli Ebrei, i Turchi, gli stessi selvaggi, hanno qualcosa di Dio in loro, qualche cosa che li rende capaci di apprezzare e di rispondere alla verità, alla giustizia, alla bontà.

La certezza che la divina “Semente” fosse diffusa in tutti gli uomini è stata raggiunta più per una specie d’intuito che per virtù di raziocinio- Raramente i Quaccheri si sono avventurati in speculazioni filosofiche, e quando ciò avvenne, trovarono un ostacolo nel prevalente “dualismo”, che caratterizzò tutto il pensiero del secolo decimosettimo. Quei che essi riscoprirono fu il segreto di tutti i mistici, la realtà dell’immanenza divina. Malgrado non abbian saputo esprimerla adeguatamente, la scoperta trasformò i rapporti fra gli uomini, creando una fede nella nuova fraternità universale. La guerra era la negazione manifesta di tale fraternità. Come potrebbe, infatti, un cristiano partecipare alla distruzione di corpi umani, ciascuno dei quali, almeno in potenza, è un tempio dello Spirito Santo?

Il linguaggio filosofico, il principio della Luce Interiore significa che in ogni persona cosciente vi è ed opera una “super anima”, una Coscienza superiore a quella individuale. Ciò che rende convinto l’uomo del vero, del bello e del buono, no è soltanto la sua propria ragione, ma una Ragione ed una Bontà universali che – per così dire – si sforzano di manifestarsi attraverso la personalità di lui. In quanto si abbandona ad esse e ne rende possibile l’espressione, egli entra in unione non solo con Dio, ma con tutte le altre anime umane nelle quali Dio cerca di manifestar la sua natura.

La fede cristiana afferma che in Una personalità umana tale manifestazione si adempi perfettamente come perfettamente si verificò l’unione con Dio e con tutti gli altri uomini. Conseguentemente Gesù Cristo è, per il cristiano, l’incarnazione – per così dire – della Luce Interiore, ed il cristiano, tanto più si approssimerà alla perfezione quanto più offrirà al Cristo la possibilità di riprodurre in lui il Suo Spirito e il Suo carattere, e di renderlo così partecipe, in una cera misura, della Sua perfetta unione con Dio e con gli uomini.

Il Cristiano deve quindi costantemente mirare al raggiungimento di questa unità. Tutto ciò che lo separa dagli altri suoi fratelli, dagli altri uomini – l’orgoglio, la bramosia, l’odio, la vendetta – lo separa pertanto da Dio rivelato nel Cristo. Lo spirito che conduce alla guerra, le passioni in cui questa trova il suo alimento e che essa stessa inevitabilmente genera – anche quando gli uomini presumono di elevarsi a vendicatori di Dio contro le nequizie e gli oltraggi – non procedono dal Cristo, ma dall’Anticristo.

3) Poiché lo Spirito di Cristo è così per il cristiano l’autorità suprema, nessuna autorità umana può usurpare i diritti alla obbedienza. I Quaccheri NON HANNO FORMULATO UNA NUOVA TEORIA DEI RAPPORTI TRA LO Stato e l’individuo, ma hanno segnato, con i loro principi, i limiti dell’autorità dello Stato. Essi si sono creduti in dovere di obbedire alle leggi, anche quando queste non fossero perfettamente rispondenti alla giustizia ideale, sempre però che non imponessero loro alcuna cosa che lo Spirito del Cristo proibisce.  Contro i dettami dello Spirito essi non volevano andare e, come gli Apostoli, allorchè le autorità giudaiche intimarono ad essi di non insegnare nel nome di Gesù,  rispondevano : “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” Ed hanno rifiutato di obbedire ad imposizioni che invadevano il sacro dominio della loro fedeltà al Cristo, come già gli  antichi cristiani quando si imponeva loro il culto verso l’imperatore. E ne hanno subito le conseguenze.

Ciò naturalmente importa che essi non possano prestare servizio militare, perché la disciplina militare implica necessariamente l’impegno di obbedire agli ordini di un superiore, quali essi siano.  E’ da notare che, su tal punto, anche molti soldati hanno fatto appello alla libertà di coscienza. Lord Roberts parlando alla Camera dei Lords sul fatto che l’esercito inglese avrebbe potuto essere chiamato, in determinate circostanze, a far fuoco sui lealisti dell’Ulster, ammoniva che vi sono comandi ai quali non si può attendere che un soldato obbedisca. “E’ inutile – egli diceva – addurre, in tali eventualità l’autorità della costituzione, citare sottigliezze di leggi o minacciare sanzioni. Tutto ciò non avrà il minimo effetto quando le coscienze degli uomini si sono ridestate”. I Quaccheri spinsero un po’ più oltre le conseguenze di tal principio  e rifiutarono – come lo hanno fatto, in circostanze terribilmente difficili nella presente guerra, molti dei loro giovani – di sommettere la loro coscienza ad una autorità umana, di promettere obbedienza ad ordini che avrebbero potuto e potrebbero essere in contrasto coi dettami della Luce Interiore.

Per  tre vie quindi, noi siamo condotti a concludere che la Luce Interiore , fedelmente seguita , deve condurre al Pacifismo : primo , perché essa è lo Spirito del Cristo che riproduce nei suoi discepoli il metodo e il segreto di Gesù; secondo perché essa implica necessariamente la Fraternità di tutti gli uomini; terzo, perché essa è e dovrà essere sempre  per il cristiano la suprema autorità.