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DIETRICH BONHOEFFER

di Rossana Rossanda

 

Non so se Dietrich Bonhoeffer possa essere un nostro antenato, tanto è segnata dalla vicenda tedesca fra le due guerre la sua breve vita, tanto diversa è la figura del pastore protestante da quella del prete cattolico e tanto poco consolatoria – rispetto alla nostra religiosità, ricca di Madonne e santi con i quali intrattenere un rapporto familiare – è la sua rinuncia a ricorrere a un essere trascendente perché ci risparmi le prove dell’esistenza. Siamo diventati adulti – egli scrive – la modernità e la ragion critica, l’analisi della società e dell’io, ci hanno fatto maggiorenni che non cercano più la mano del padre per stare in piedi, si reggono da soli, decidono da soli, scegliendo e pagandone il prezzo. “Come se Dio non ci fosse”. Per Bonhoeffer, credente, Dio e il Cristo e la sua passione, le scritture e la rivelazione sono assolute, sono il senso dell’universo, la premessa e l’orizzonte. Su di loro l’uomo misura la sua esperienza terrena, ma di essa si assume l’intera responsabilità. Non ha da un paio di secoli desacralizzato la sovranità restituendola al popolo e alle costituzioni storiche? non ha acquistato sapere sulla natura e su di sé? Sono acquisizioni di maturità, e se è un errore pensare che in esse si esaurisca la sapienza, e si possa fare a meno della rivelazione, non è più ammissibile che ci si sottragga ai diritti e responsabilità che da esse derivano. Le cose ultime, e non solo vita e morte, appartengono a Dio. Ma è la crocifissione quel che Dio ha in comune con gli uomini e gli uomini in lui, il percorso del figlio fatto uomo e crocifisso. Il cristiano deve attraversare senza sottrarvisi la storia in cui si trova, come il Cristo. Del quale tiene ferma la fede, buttano la sua riduzione a querula religiosità. Deve vivere senza Dio in presenza di Dio. Per la prima volta sentii queste parole da Ugo Perone nella biblioteca dei camaldolesi a San Gregorio a Roma; conoscevo “Resistenza e resa”, le “Lettre” e “Scritti dal carcere” di Bonhoeffer, ma me ne era venuto soprattutto il ritratto d’una figura alta della sfortunata resistenza tedesca. Mi mancava la chiave. Da allora ho letto e riletto altri scritti, sovente spezzati, difficili, riflettendo su quel suo essere cristiano e solo davanti al mondo – interamente nel mondo, guardandosi da fughe, financo nell’ascetismo – senza il conforto di una devozionalità anestetizzante. Non che sia meno complessa, penso, l’esperienza mistica di chi è con Dio in un perpetuo dialogo amoroso, o meno rispettabile quella di chi cerca nell’umile religiosità una regola di vita. Ma è per questo suo accento che Bonhoeffer – che deve molto a Karl Barth anche se ne separa – è uno dei pochi antenati possibili per un non credente. Dietrich Bonhoeffer nasce nel 1906 in una famiglia colta, operosa, luterana ma poco praticante, padre psichiatra e una madre che ha fatto l’esame di maestra per provvedere alla prima formazione degli otto figli. E’ una casa dove si studia, si lavora, si fa musica, si sta ai pubblici doveri e si assumono pubbliche funzioni, si frequenta una certa nobiltà prussiana colta. Il secondogenito morirà giovanissimo nella prima guerra mondiale, una sorella di Dietrich sposa il giudice Carl von Donhanyi, e la sua gemella, Sabine, un professionista ebreo, Gert Leibholtz. E’ una borghesia illuminata, “giusta”, che sarà ostile al nazismo ma non gli si è opposta, e ne sarà distrutta. Non poca Germania si riconosce in quel vivere serio e impegnato, credendosi al riparo dalle tragedie del potere, fidando nella saggezza dell’autorità, finché ne scopre troppo tardi la furia omicida. Adolescente, Dietrich ha alle spalle la sconfitta tedesca in guerra e nel suo presente la repubblica di Weimar. Nulla in casa lo spinge verso gli studi teologici, se non forse la voglia di essere differente. La regola fra i Bonhoeffer è il rispetto, perciò a diciotto anni – è il 1924 – studia teologia a Berlino, presto diventerà libero docente, frequenta circoli luterani a Barcellona, a New York e in Gran Bretagna, e prenderà gli ordini nel 1931. Il nazismo è al potere un anno dopo. E impatta con la Chiesa, cui le leggi discriminatorie del 1933 impongono di non ordinare più chi è nato ebreo. Accettare significa farsi vassalla dello stato, e infatti diventa ufficialmente Chiesa del Reich; non accettare è la scissione, e sarà quella della chiesa confessante cui appartiene il pastore Bonhoeffer. Non è semplice per un uomo che ha introiettato l’obbedienza allo stato come educazione alla cittadinanza, partecipazione al destino della nazione tedesca. E che dopo la primissima e brillante fase degli studi si dice – e lo scriverà in “Sequela” – che obbedire in modo “semplice” e “concreto” è un passo avanti nell’essere cristiani, perché cala dalla testa nel cuore, libera dall’orgoglio. E invece deve essere disobbediente, alla chiesa e allo stato; Martin Niemoeller, che pure ha fondato nel 1933 la chiesa confessante, che sarà arrestato e poi internato a Dachau, dovrà arrivare al 1945 per comprendere la natura del nazismo. Bonhoeffer no, forse è già di allora – suppone l’amico e biografo Bethge – il suo famoso: “Chi non grida con gli ebrei non può cantare il gregoriano”. Il cristiano deve dare a Cesare quel che è di Cesare. Ma chi è Cesare? In un discorso del 1934 Bonhoeffer ammonisce che una guida, un Fuehrer – e nel principio che le nazioni hanno bisogno d’una guida è stato cresciuto – può diventare un Verfuehrer, uno che ti porta fuori strada. Sta di fatto che presto è sottoposto a vigilanza e nel 1936 perde la libera docenza. Nel 1935 la chiesa confessante lo ha nominato direttore d’un seminario di studi a Finkewalde, comunità di studio meditazione preghiera silenzio e musica, dove si disegna una scelta quasi monastica, ma basata più che sulla solitudine sul discepolato, l’importanza della parola scambiata. “Il Cristo nel mio cuore è più debole del Cristo nella parola del fratello, il primo è incerto, il secondo è certo”; purché la parola venga dalla vita, non sia mera ripetizione d’una teologia raffreddata in ideologia. Finkewalde sarà tenuta d’occhio dal regime e chiusa dopo due anni, nel 1937, e molti allievi finiranno arrestati. Quando la guerra sta arrivando, il che fare? diventa drammatico. Il cognato giudice von Donhanyi introduce Bonhoeffer nel circolo dell’ammiraglio Canaris, che dirige la Abwehr, i servizi segreti dell’esercito, autonomi da quelli del governo e delle SS. Canaris e alcuni altri ufficiali vedono l’abisso cui porta il nazismo, tentano di far sì che la Germania non sprofondi con Hitler, cercano di farlo sapere agli alleati. Bonhoeffer ha molte relazioni in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, sarà un “agente” della Abwehr, che le SS sospettano ma sul quale non possono mettere le mani. Al cristiano che è, questa scelta fa certamente problema, ma gli permette di far espatriare alcuni gruppi di ebrei. Tuttavia non è facile augurarsi la sconfitta del proprio paese. Quanti lo comprenderebbero? Attraverso quale impietosa riflessione vi giunge egli stesso? La tesi sulla solitudine dell’umanità adulta, che decide la sua condotta senza, per dir così, coinvolgere Dio, riflette l’esperienza che sta facendo. E che affronta come vita, vita completa, dalla quale non bisogna fuggire, fino al punto di innamorarsi nel 1942, in piena guerra, di Marie von Wedemeyer. E’ una giovane donna, diciotto anni, bellissima, lusingata da un uomo tanto più grande e colto, che ha un sorriso largo e allegro, ama camminare e sciare, e le propone il matrimonio come compimento assoluto, totalità dell’incontro – quello di cui parla nel saluto per le nozze dell’amico Bethge. Sarà uno strano fidanzamento, perché pochi mesi dopo, è il 5 aprile del 1943, Bonhoeffer è arrestato, poco dopo Donhanyi. Canaris e i suoi cercano una pace separata con l’Inghilterra, anche per proteggersi dall’Unione Sovietica della quale temono lo sfondamento da quando la Wehrmacht è stata battuta a Stalingrado alla fine del 1942. L’Inghilterra non patteggia alcunché finché Hitler governa. Nel 1943 Canaris comincia a preparare un attentato contro il Fuehrer, Donhanyi e Bonhoeffer lo sanno. Il governo e le SS sospettano e perciò li arrestano, ma c’è poco contro di loro, possono sperare nel tempo. E Bonhoeffer spera per sé e per Maria, chiamata di colpo a diventare adulta, lasciando le cavalcate in campagna per correre a Berlino tra lavoro obbligatorio e visite al carcere. Che sono paurose, la comunicazione è ridotta al minimo, si erano appena conosciuti, è poco più d’una bambina, a un certo punto si ritirerebbe dall’impegno, ma egli non lo concede. E’ la sua lealtà, la sua speranza. Ma il 14 luglio del 1944 – poco più d’un mese dopo lo sbarco in Normandia – l’attentato clamorosamente fallisce, e la vendetta sarà tremenda. Le SS abbatteranno ogni copertura nell’esercito e nella magistratura, tutto il gruppo di Canaris sarà giustiziato dopo veloci Corti Marziali, l’Armata rossa è già alle porte di Berlino. Bonhoeffer viene impiccato il 9 aprile del 1943. Il cognato il 10, il fratello Klaus il 23 aprile. Avrà passato in carcere due anni, prima a Tegel, negli ultimi due mesi – Maria corre disperatamente a cercarlo e non lo trova da nessuna parte – trasportato a Dachau, a Buchenwald e infine a Flossenburg. E’ una terribile storia tedesca del novecento. Alla signora von Hase Bonhoeffer, la madre, la prima guerra mandiale ha preso un giovanissimo figlio, il nazismo ne ha giustiziati altri due e il genero più amato. La figlia Sabine ha appena fatto in tempo a mettersi in salvo con il marito ebreo. La sconfitta si abbatte sui due vecchi genitori come ha travolto all’est, i Wedemeyer. Da quella fusione fra amore per la vita e fedeltà alla crocifissione, ricerca della fede e assunzione di responsabilità terrene, nulla di facile, nulla che non sia totalmente esposto nel vacillare della chiesa e della nazione tedesca, vengono i testi dell’ “Etica” e le “Lettere dal carcere” pubblicate in “Resistenza e resa”. Marie von Wedemayer ha reso pubbliche più tardi le lettere del fidanzato – s’è spenta da pochi anni, era diventata una grande informatica, aveva avuto una vita piena, come egli avrebbe desiderato. Il lascito di Bonhoeffer è vasto, non agevole, traccia d’un pensiero che tende all’assoluto ma in ogni piega della Scrittura e dell’esistenza, molto concede alla gioia e nulla alla facilità. Mi ha colpito un breve filmato francese dove il biondo pastore Bonhoeffer, in giacca sportiva al bordo d’un bosco, non so dove né con chi, ride di cuore, come quando l’allegria ci travolge, una spuma iridescente che scorre sopra i pensieri. E’ un uomo come noi. Ed è vissuto come noi ma in presenza di Dio, senza sfuggire a nulla, senza chiedere a Dio nulla se non la forza. Non c’è non credente che possa non sentire questa lezione di laicità, nulla del mondo fuggito e nulla abbandonato. La biografia più completa è di Eberhaed Bethge, Dietrich Bonhoeffer, Una biografia, Queriniana 1975 sull’edizione tedesca del 1966, Monaco Kaiserverlag. Notizie più precise sul fidanzamento con Marie von Wedemayer in: Lettere alla fidanzata, Cella 92, Dietrich Bonhoeffer e Marie von Wedemeyer, Queriniana, Brescia, 1994. Una bella serie di saggi sulle fasi della vita e del pensiero in “Vorrei imparare a credere”, a cura di F. Ferrario, Claudiana, Torino 1999. Fra le opere tradotte: D. BONHOEFFER, Resistenza e resa. ed. Paoline 1970; Etica, Bompiani 1969; Una pastorale evangelica, Torino 1990, La parola predicata, corso di omiletica a Finkewalde, Torino, 1994.

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9 aprile 1945

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Il 9 aprile 1945, veniva giustiziato il teologo simbolo della resistenza cristiana al nazismo.

Il 9 aprile del 1945 moriva, all’età di 39 anni, il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, impiccato nel campo di prigionia di Flossenbürg. Teologo tra i più amati e significativi del XX secolo, Bonhoeffer è uno dei simboli della resistenza cristiana a Hitler.
Pastore della Chiesa confessante, nel 1944 aveva partecipato all’organizzazione del fallito attentato contro Hitler e per questo fu giustiziato. A Flossenbürg una lapide ne ricorda il martirio citando 2 Timoteo 1,7: “Dio non ci ha dato uno spirito che ci rende paurosi, ma uno spirito che ci dà forza, amore, saggezza”.

In questo frangente politico ed ecclesiale – ha dichiarato il professor Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica della Facoltà valdese di teologia di Roma – tre aspetti mi sembrano particolarmente attuali. Innanzitutto, il cittadino politicamente responsabile. Di fronte al pensiero unico, alla propaganda ossessiva e soprattutto alla violenza fisica sistematica, Bonhoeffer ha scelto di agire: l’arroganza del potere non si subisce, si combatte. In secondo luogo – ha proseguito Ferrario – il credente impegnato. In una chiesa, sia cattolica, sia evangelica, in parte complice e in parte silenziosa, Bonhoeffer afferma che ’solo chi grida per gli ebrei può anche cantare il gregoriano’. Il discepolato cristiano non si esaurisce nella predicazione, ma richiede l’immersione nella vicenda umana, ambigua e sporca. Non le anime belle, ma coloro che rischiano anche la purezza della coscienza nella lotta contro il tiranno, possono legittimamente richiamarsi all’uomo assassinato sul Calvario. Infine – conclude Ferrario – il pastore innamorato della chiesa. Bonhoeffer non ha amato una chiesa ideale, ma quella reale e concreta, mediocre e compromessa, e l’ha servita come pastore e come teologo. Egli non ha smesso di esortarla a studiare la Bibbia, a pregare, a esercitare la disciplina ’del corpo e della mente’, come egli si esprime. Bonhoeffer fu un credente appassionato alla Bibbia e proprio per questo con i piedi per terra”.
La figura di Bonhoeffer è stata ricordata anche dal pastore Keith Clements, segretario generale della Conferenza delle chiese europee, in un articolo pubblicato sulla rivista inglese “Reform”. “Bonhoeffer – scrive Clements – scelse di far parte della congiura contro Hitler, con tutte le ambiguità morali che questo comportava, come unico modo concreto di aiutare il suo prossimo. Egli accettò di diventare colpevole per il bene degli altri, piuttosto che lavarsene le mani preferì avere delle mani sporche di sangue. Come scrisse dalla sua prigionia ’la chiesa esiste solo quando essa è per gli altri’

Bio

Nato a Breslau (oggi Wroclav, in Polonia) nel febbraio 1906, Dietrich fu il sesto di otto figli di Karl e Paula Bonhoeffer. Il padre era un importante professore di psichiatria e neurologia; la madre, Paula von Hase, discendeva da una famiglia nobile.
Laureatosi in teologia a Berlino nel 1927, Bonhoeffer iniziò l’attività di pastore in una chiesa tedesca a Barcellona nel 1928. Nel 1930 andò a studiare a New York presso l’Union Theological Seminary; nel 1931 cominciò ad insegnare alla facoltà teologica di Berlino e fu ordinato pastore. In quel periodo iniziò l’attività nel nascente movimento ecumenico, stabilendo contatti internazionali che in seguito avrebbero avuto grande importanza per il suo impegno nella resistenza. Fu eletto segretario giovanile dell’Unione mondiale per la collaborazione tra le chiese ed entrò a far parte del Consiglio cristiano universale “Life and Work” (da cui sarebbe nato in seguito il Consiglio ecumenico delle chiese).

Confronto con il nazismo
Con l’ascesa di Hitler al potere alla fine del gennaio 1933, la Chiesa evangelica tedesca, cui Bonhoeffer apparteneva, entrò in una fase difficile e delicata. Molti protestanti tedeschi accolsero favorevolmente l’avvento del nazismo; in particolare il movimento dei cosiddetti “cristiano-tedeschi” (Deutsche Christen) si fece portavoce dell’ideologia nazista all’interno della chiesa, giungendo perfino a chiedere l’eliminazione dell’Antico Testamento dalla Bibbia. Nell’estate 1933 costoro, ispirandosi alle leggi ariane dello Stato, proposero un “paragrafo ariano” per la chiesa, che impedisse ai “non-ariani” di diventare ministri di culto. La disputa che ne seguì provocò una profonda divisione all’interno della chiesa: l’idea della “missione agli ebrei” era molto diffusa, ma adesso i cristiano-tedeschi sostenevano che gli ebrei fossero una razza separata che non poteva diventare “ariana” neanche tramite il battesimo. Bonhoeffer si oppose fermamente al paragrafo ariano, affermando che esso avrebbe vincolato gli insegnamenti cristiani all’ideologia politica.
In un saggio dell’aprile 1933 “La chiesa davanti al problema degli ebrei”, Bonhoeffer fu il primo ad affrontare il tema del rapporto tra la chiesa e la dittatura nazista, sostenendo con forza che la chiesa aveva il dovere di opporsi all’ingiustizia politica. Quando, nel settembre 1933, il paragrafo ariano fu approvato dal sinodo nazionale della Chiesa evangelica, Bonhoeffer si impegnò per informare e sensibilizzare il movimento ecumenico internazionale sulla gravità della situazione. Rifiutò inoltre un posto di pastore a Berlino, per solidarietà con coloro che venivano esclusi dal ministero per ragioni razziali, e divenne pastore di una congregazione di lingua tedesca a Londra.

La Chiesa confessante
Nel maggio 1934 nacque la cosiddetta “Chiesa confessante” per opera di una significativa minoranza interna alla Chiesa evangelica tedesca, che adottò la “dichiarazione di Barman” in opposizione al nazismo. Nell’aprile 1935 Bonhoeffer tornò in Germania per dirigere, prima a Zingst e poi a Finkenwalde, un seminario clandestino per la formazione dei pastori della Chiesa confessante, che stava subendo crescenti pressioni da parte della Gestapo, culminate nell’agosto 1937 nel decreto di Himmler che dichiarava illegale la formazione di candidati pastori per la Chiesa confessante.
In settembre il seminario di Finkenwalde fu chiuso dalla Gestapo, nei due anni seguenti Bonhoeffer continuò l’attività di insegnante in clandestinità; nel gennaio 1938 la Gestapo lo bandì da Berlino e nel settembre 1940 gli vietò di parlare in pubblico.

Teologo e cospiratore
Nel 1939 Bonhoeffer si avvicinò ad un gruppo di resistenza e cospirazione contro Hitler, costituito tra gli altri dall’avvocato Hans von Dohnanyi (suo cognato), dall’ammiraglio Wilhelm Canaris e dal generale Hans Oster. Il teologo costituì un legame fondamentale tra il movimento ecumenico internazionale e la cospirazione tedesca contro il nazismo. La sua attività per aiutare un gruppo di ebrei a fuggire dalla Germania, scoperta dalla Gestapo, portò al suo arresto, nell’aprile 1943.
Durante i due anni di prigionia che precedettero la sua morte, nelle lettere all’amico Eberhard Bethge, Bonhoeffer esplorò il significato della fede cristiana in un “mondo diventato adulto”, chiedendosi: “Chi è Cristo per noi oggi?” E giunse all’amara conclusione che il cristianesimo è troppo spesso fuggito dal mondo, cercando di trovare un ultimo rifugio per Dio in un angolo “religioso”, al sicuro dalla scienza e dal pensiero critico. Ma Bonhoeffer affermò che è proprio l’umanità nella sua forza e maturità che Dio reclama e trasforma in Gesù Cristo, “la persona per gli altri”.
Dopo un fallito attentato contro Hitler il 20 luglio 1944, Bonhoeffer fu trasferito nella prigione di Berlino, poi nel campo di concentramento di Buchenwald e infine in quello di Flossenbürg, dove fu impiccato insieme ad altri cospiratori.

Un ritratto di Dietrich Bonhoeffer, di Fulvio Ferrario
Bonhoeffer di Fulvio Ferrario

L’evoluzione di Bonhoeffer, di Paolo Ricca
Bonhoeffer di Paolo Ricca

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20 luglio 1944

Il 20 luglio del 1944 un gruppo di oppositori, raccolto intorno al colonnello Claus Schenk Graf von Stauffenberg (1907-1944), tentò di porre fine alla dittatura nazionalsocialista collocando una bomba nel quartier generale di Hitler, la Wolfsschanze. Hitler sopravvisse all’attentato. I congiurati riuniti intorno a Stauffenberg furono giustiziati. Tra loro, anche il teologo Dietrich Bonhoeffer.

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Le famiglie del gruppo di oppositori dovettero attendere a lungo, dopo la fine della guerra, prima che gli attentatori “venissero considerati non traditori, ma giusti”. Eppure i resistenti riuniti intorno a Stauffenberg sono stati uno straordinario esempio del fatto che non tutti i tedeschi stavano a guardare passivamente o collaboravano mentre i nazionalsocialisti portavano guerra e terrore in gran parte del mondo.

Franz Josef Jung, deputato CDU/CSU al Bundestag, intervenuto durante una commemorazione, ha definito degno di nota il fatto che molti uomini e donne della resistenza abbiano orientato le proprie coraggiose azioni secondo i valori cristiani: il 20 luglio 1944 è strettamente legato con la fede cristiana e la chiesa”. Dai verbali degli interrogatori della Gestapo risulta che oltre una ventina tra gli oppositori più attivi addussero una motivazione cristiana a sostegno delle loro idee e azioni.
Proprio oggi, in un’epoca in cui tutto ciò che ha a che fare con il cristianesimo e con la chiesa viene visto con grande diffidenza, ha detto Jung, questo comportamento dovrebbe indurre alla riflessione. I valori fondanti della nostra tradizione e cultura cristiana occidentale sono la colonna portante della convivenza e costituiscono la base della Costituzione: “Ricordarlo in ogni momento e rinnovare continuamente questa consapevolezza fa parte dei doveri che i resistenti del 20 luglio 1944 ci hanno lasciato in eredità”.

In un contributo apparso nel domenicale “Bild am Sonntag” l’ex presidente federale Richard von Weizsäcker ha definito esemplare la resistenza. Stauffenberg e gli altri uomini del 20 luglio agirono al posto di coloro che avrebbero dovuti intervenire. “Si addossarono la colpa, la nostra colpa per le omissioni di cui ci eravamo resi responsabili. Agirono guidati dalla loro coscienza e dalla loro fede in Dio. Furono abbastanza coraggiosi da vivere in modo consapevole e responsabile. E seppero sacrificare la loro vita per difendere la civiltà e la moralità e per salvare la Germania”. Dopo 70 anni, ha concluso Von Weizsäcker, il loro resta ancora un esempio da seguire.

I resistenti erano guidati dalla coscienza quale “istanza interiore”. Uomini come Stauffenberg, Ludwig Beck (1880-1944), Henning von Tresckow (1901-1944) e Fabian von Schlabrendorff (1907-1980) potrebbero costituire anche oggi un esempio di accettazione del rischio e di coraggio personale, ha affermato Rink. La resistenza militare voleva “cambiare il destino”, ha detto il vescovo citando il teologo Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) e ha manifestato così la volontà incondizionata di fermare il capo del Terzo Reich e la rovina militare della Germania. Il fallimento del tirannicidio contro Hitler costituisce una tragedia per gli anni dal 1933 al 1945. Rink ha ricordato che la mentalità degli uomini del 20 luglio era caratterizzata dall’ubbidienza incondizionata e dal giuramento di fedeltà a Hitler. Da questa si liberarono grazie all’obbedienza alla propria coscienza. L’esortazione biblica a essere sottomessi alle autorità (Romani 13) ebbe grande importanza per la resistenza. Tuttavia gli ufficiali mostrarono che per un cristiano la coscienza non può essere ignorata e deve essere continuamente esaminata alla luce della Bibbia. Una coscienza vigile è sempre indispensabile in una società moderna e costituisce il fondamento di ogni azione cristiana.

(trad. it. G. M. Schmitt VE)

da http://www.anpimedioolona.ithttp://www.anpimedioolona.wordpress.it in costruzione con Benazzi

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A Busto Arsizio si parla di Bonhoeffer!

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Etica del lavoro

Sono state diverse le persone che ci hanno richiesto lo scritto della Conferenza di Milano sull’etica del lavoro: ne abbiamo estrapolato la parte piu’ significativa per la diffusione. E’ un lavoro in stato di continua elaborazione e che verrà presto arricchito con le recenti acquisizioni librarie dell’opera di Ragaz e dei socialisti religiosi in lingua italiana edito da Jaca Book negli anni 70. A dir il vero, sono disponibili anche testi in lingua tedesca, ma ci mancano i traduttori per svolgere questo lavoro…

Ci sembra comunque interessante proporre la riflessione fatta a novembre, come sempre senza peli sulla lingua. Immagino che sappiate che la fatica e spesso la sofferenza della ricerca hanno sempre un prezzo da pagare. Intendo nella vita della persona. Del resto conoscete senza ombra di dubbio lo stato di abbandono spirituale dei lavoratori e delle lavoratrici da parte delle chiese cristiane. E’ una situazione che viene da lontano: ha radici profonde e ben consolidate nel pietismo, nell’individualismo, nell’opportunismo e nel cinismo politico-economico delle strutture ecclesiastiche.  Protestanti e in quella cattolica.

Ci rimane però la consapevolezza che non saranno le chiese a cambiare se stesse ma i cristiani a prendersi cura della propria dimensione lavorativa, che e’ centrale nella loro vita. E’ su questa convinzione forte che vediamo un orizzonte di speranza anche per le generazioni che verranno. E poche ore fa siamo venuti a conoscenza dei nomi delle persone e dei loro messaggi che sono stati inviati al prete operaio Artioli. Grazie perché abbiamo avuto il riscontro che il nostro lavoro non e’ fatto invano.

…Anche di questo riscontro vive una rivista fabbricata a Milano, ma col cuore nel mondo. Grazie anche a chi invierà un contributo.

Prima parte della conferenza di etica delle religioni

Buona sera a tutte e a tutti,

mi presento subito: mi chiamo Maurizio Benazzi, sono un attraversatore di chiese, di templi e sinagoghe; mi occupo dal 1997 di Teologia sociale e dialogo fra le religioni.

Nel ringraziare in modo particolare la gentile dottoressa Grazia Aloi per l’opportunità concessa, colgo l’occasione per precisare l’intento che anima questo incontro sulla figura di Martin Lutero, figlio di un minatore, e un pastore luterano dell’età moderna, il teologo Dietrich Bonhoeffer, martire della resistenza al nazismo. Intento non scontato e per nulla apologetico.  Il mio superamento di scelte operate in passato è sereno, pacato e lucido. Senza rimpianti né nostalgie. La mia strada era camminare attraverso. Non fermarmi semplicemente.

Cercherò  oggi andare di là dalla classica esposizione fatta a scaletta che sviluppa dei tratti biografici e di altre informazioni generiche che potete trovare nelle enciclopedie; vorrei invece – se mi è consentito – far parlare la storia nell’oggi. Vorrei capire il senso delle cose a voce alta. A partire dal mondo del lavoro.

La chiesa luterana in Italia – detto fra parentesi – è ancora una chiesa fortemente germanizzata, controllata da  pastori  di provenienza rigorosamente tedesca, e chiusa in un pseudo bilinguismo che sembra concedere solo qualche presenza molto controllata (in quanto minoritaria) anche agli italiani. Questi ultimi sono cultori del mondo culturale dell’Europa del nord. Soprattutto interessati a temi musicali e filosofici. Questa chiesa è anche beneficiaria di lauti fondi otto per mille dello stato italiano. Dirottati anche in Austria per ristrutturazioni di templi.

La storia deve insomma smettere d’avere pagine solo impolverate e acritiche dal tempo che passa e proporre ipotesi di analisi e riflessione per gli uomini e le donne d’oggi, basandosi sulla ricerca storica ma anche sulle capacità critiche di ciascuno/a. La tesi sostenuta qui dell’uomo che diventa sempre più adulto da Lutero a Bonhoeffer non è ben inteso una verità assoluta, semmai una buona pista di ricerca. Abbiamo ben presente nella nostra memoria i campi di concentramento e allo stesso tempo i talari, che alzavano le braccia con saluti di fedeltà ad Hitler. Esattamente come avveniva in quell’epoca in ambiente cattolico.

La teologia luterana sulla pienezza della salvezza oltre alla completa libertà da colpa e pena nella fede suscita in me degli interrogativi ad es. in quel contesto, riserve che mantengo anche di fronte alle bombe atomiche, i gulag e la semplice stupidità umana del non senso che a volte ci accompagna.

Stasera valorizziamo semplicemente l’apporto luterano nello scenario moderno dell’uomo, che diventa adulto e si emancipa sostanzialmente dall’autorità ecclesiale. Non solo del XVI secolo ma anche all’epoca del nazismo.

Mi riferisco all’esperienza della chiesa confessante e a quelle forme di messa in discussione della chiesa collegata al potere politico e economico. Come quacchero questi temi mi stanno particolarmente a cuore e ricerco anche dentro di voi quella scintilla divina che fa generare il rifiuto all’obbedienza cieca all’autorità religiosa. Perfino se questa e’ stata democraticamente eletta dai fedeli, come avveniva nella chiesa evangelica, compromessa col potere, in Germania nel 1933, tramite la banda dei criminali ecclesiastici detti dei “cristiani tedeschi” che si presentò e alle elezioni.

Il Pastore luterano D. Bonhoeffer nella cella 92 della sua prigione scriveva in quell’epoca dei lager in una lettera alla fidanzata: non intendo (vivere) la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele (a Dio) e malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura.

Vorrei dunque soffermarmi ora sull’etica del lavoro sostenuta dalla Riforma, che si inquadra storicamente nella fortissima ripugnanza per il lavoro manifestata dalla tradizione cristiana precedente, rappresentata prevalentemente dagli autori monastici.

Il lavoro nel 1500 era considerato da loro un’attività degradante e avvilente che era meglio lasciare a persone socialmente e spiritualmente inferiori. Se già i patrizi dell’antica Roma consideravano il lavoro manuale inferiore al loro rango, occorre affermare che nel cristianesimo si sviluppò un’aristocrazia spirituale che aveva un atteggiamento negativo e liquidatorio nei confronti del lavoro manuale; nel medioevo un tal modo di vedere le cose esercitò la sua massima influenza, giacché il lavoro era considerato come impedimento di un perfetto rapporto con Dio. Solo in alcuni ordini monastici il motto laborare est orare (lavorare è pregare) esprimeva che la vita contemplativa non era necessariamente turbata da un lavoro manuale, come occuparsi dei vigneti del convento o sovrintendere ad altri aspetti dei suoi affari mondani. Da questa minoranza di ordini era però inteso come una delle attività all’interno della vita monastica e ausilio a praticare l’umiltà. In generale però la spiritualità monastica considera il lavoro come qualcosa di degradante. Così risulta anche dagli scritti di Erasmo da Rotterdam.

Per la mentalità di allora era praticamente impossibile che un cristiano comune, che viveva nel mondo tutti i giorni, potesse venir considerato una persona che seguiva una vocazione religiosa o che potesse pretendere di essere un cristiano di prima classe. Potevano essere considerati – nel migliore dei casi – con indulgente carità.

La Riforma produsse un rovesciamento di questo modo di pensare, rifiutando innanzitutto la distinzione fra sacro e profano, tra l’ordine spirituale e quello temporale. Tutti i cristiani sono sacerdoti e tale vocazione si estende al mondo di tutti i giorni. I cristiani sono chiamati ad essere sacerdoti per il mondo perché per Lutero quelli che sembravano lavori profani sono in realtà una lode a Dio e costituiscono un’obbedienza che Dio gradisce. Lutero esaltò perfino il significato religioso delle faccende domestiche affermando che, “sebbene non abbiano nessun evidente connotato di santità, pure tali lavori domestici devono avere una stima più alta di tutte le opere di monaci e suore”. William Tendale, un suo discepolo inglese, osservò che lavare i piatti e predicare la parola di Dio sono attività umane molto diverse, ma che per quanto riguarda ciò che piace a Dio, non c’è alcuna differenza.

Alla base di ciò c’è ovviamente un nuovo concetto di vocazione.

Dio chiama il suo popolo alla fede ma anche ad esprimerla in settori ben definiti. Il singolo è chiamato a vivere l’essere cristiano in un campo d’attività ben determinato all’interno del mondo.

Vocazione non è uscire dal mondo, per entrare in clausura o in isolamento ma, sia per Lutero che per Calvino, è un entrare nel mondo della vita di tutti i giorni.

L’idea di una chiamata, ruf in tedesco, che vuol dire anche vocazione, riguarda essenzialmente il fatto che Dio chiama a servirlo qui in questo mondo. Il lavoro deve essere visto come il più alto impegno per Dio. Fare qualche cosa per Dio, e farlo bene, è il contrassegno distintivo di una fede cristiana autentica. Qualsiasi lavoro umano può essere perfettamente rispettabile ed essere considerato della massima importanza agli occhi di Dio. Cristo, nostro salvatore era un lavoratore, forse proprio falegname come Giuseppe, e si guadagnava il pane con fatica, perciò nessuno disdegni di seguirlo esercitando un mestiere o una professione. Egli non solo ha benedetto la nostra natura umana assumendo la forma di uomo ma nella sua attività ha benedetto tutte le arti e i mestieri.

E al di là dei risultati visibili della fatica, dello stress, del sudore, agli occhi di Dio ha importanza la persona che lavora almeno altrettanto del risultato del suo lavoro. E non c’è distinzione tra lavoro spirituale o temporale, fra sacro e profano. Poiché tutti i lavori glorificano Dio. Poiché essi sono un atto di lode, una risposta naturale all’iniziativa che Dio, nella sua Grazia, assume nei nostri confronti.

Calvino scriverà più tardi: Il vero scopo della nostra vita è di servire Dio servendo gli uomini.

I paesi protestanti europei si sono trovati ben presto in una situazione di prosperità economica, conseguenza involontaria e non proposito premeditato del nuovo significato religioso attribuito al lavoro e dell’etica protestante connessa anche con la funzione del risparmio. I riformatori non si stancavano di sottolineare che noi siamo quel che siamo per pura grazia di Dio e non per effetto degli sforzi umani. Ecco perché l’Evangelo è importante anche per le “persone che si fanno da sé”, che esistevano comunque già prima della Riforma. Loro non sono cristiani di secondo ordine come pensavano i monaci medioevali ma sono al servizio di Dio così come chi suona il piano, coltiva l’orto, scrive libri o vive fra gli ultimi della società. I cristiani sono chiamati a essere il sale e la luce nel mondo, senza conformarsi ad esso pur partecipandovi ma rimanendo legati all’esempio di Cristo.

Certo oggi vi sono tanti teologi, alcuni anche non credenti. Ci dovrebbe essere tanta Speranza (teoricamente) ma non è così purtroppo. Adriana Zarri, nel libro “Essere teologi oggi” scrive che la passione teologica le è nata dentro con la vita, io sono d’accordo.. Riferendosi all’episodio narrato in Esodo 33,20ss Lutero scriveva solo chi contempla le spalle di Dio, visibili nella sofferenza e nella croce, merita di essere chiamato teologo. La croce mette infatti alla prova ogni cosa, anche la teologia della gloria che cerca Dio al di fuori di Gesù Cristo, attraverso i trionfalismi, le manifestazioni di forza e sapienza umana. Pensate alle croci d’oro o altre statue che svettano sulle cattedrali, come simbolo di forza. Il che non ha nulla a che fare su sul recente dibattito sul crocefisso nelle scuole. Il comandamento di Dio di non fare scultura e immagine alcuna vale anche per noi cristiani. La nostra fede nel dio unico è quella di Abramo, Isacco e Giacobbe. E’ il Dio Padre che Gesù pregava da osservante in sinagoga e fuori di essa. Nessuno ha mai abrogato i comandamenti dati a Mosé. Di certo il comandamento dell’Amore non sostituisce i comandamenti di Mosé ma è il coronamento e la realizzazione piena.

Dio non permetterà a Mosé di vedere la sua faccia, ma questi potrà avere una visione indiretta di Dio, da dietro, mentre Dio passa. Mosé vede  Dio ma non gli è concesso di vedere il volto. Dio contesta amabilmente la nostra tendenza naturale a pensare che Egli si affidi al buon senso per parlarci di se stesso. Il nostro buon senso vorrebbe, infatti, che Dio si rivelasse in circostanze di grandissima gloria e potenza. Non veramente nel nostro cuore ma negli esterni. Ma la croce ci dice invece che Dio ha scelto di rivelarsi nella tribolazione dell’ignominia e della debolezza. L’affidabilità della nostra ragione è messa in crisi. Ci si chiede di imparare la più difficile delle lezioni di teologia cristiana, cioè di umiliarci e di accettare Dio così come Egli si rivela, anziché come noi vorremmo che fosse. La folla che si raccoglieva attorno alla croce, si aspettava che accadesse qualche cosa di straordinario. Un intervento di Dio affinché potesse salvare suo Figlio. Ma Gesù morì e coloro che erano sotto la croce, che basavano la propria concezione di Dio unicamente sulla propria esperienza ne trassero l’ovvia conclusione che in quel luogo Dio non c’era. La risurrezione rovesciò quel giudizio ma sotto la croce non ci si rendeva conto della presenza nascosta. E lì nella sofferenza agì Dio; eppure la nostra esperienza percepisce solo l’assenza e l’inattività di Dio. Ebbene Dio è passato per l’abbandono, per le ferite, sanguinante e morente, attraverso le tenebre della morte.

Così scrisse Lutero per esprimere quella presenza di Dio nel lato oscuro alla ragione della fede e della vita: Abramo chiuse gli occhi e si nascose nell’oscurità della fede e in essa trovo la luce eterna.

A noi piccoli uomini e piccole donne si chiede di dire sì a quella Luce. La vera pace non è la mancanza di difficoltà, ma la capacità di aver fiducia in Dio in mezzo alle difficoltà incontriamo ogni giorno.

Le nostre gambe iniziano a tremare quando sentiamo parole che individuano il Cristo uscire anche dalle altre religioni. Non siamo ancora pronti seriamente ad allargare il nostro orizzonte… non siamo ancora capaci di percepire quello che la mistica può enunciare senza troppi sforzi. Si forse Dio si spiega anche nella mistica. Oltre i nostri schemi, oltre il pensiero umano e la ragione. E’ il Dio totalmente altro. Altro anche da quello che pensava perfino Barth.

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Grazie Becky !

Arrivederci signora Becky

Apprendiamo con grande ritardo della morte della signora Becky Behar, ultima sopravvissuta all’eccidio di ebrei italiani a Meina. L’avevamo incontrata nella sinagoga riformata di Milano circa un anno fa, proprio in questo periodo dell’anno. Ci ricordiamo della sua indignazione nei confronti del regista Carlo Lizzati e della sua falsa ricostruzione storica nel film “Hotel Meina” (2007), ispirato all’omonimo libro di Marco Nozza. Non ci sorpresero le sue affermazioni: ci rendevamo perfettamente conto che era già in atto da anni un tentativo generale di manipolazione della storia a più mani e con diversi fini. Non tutti propriamente artistici.

Questa gentile signora cercava di trasmetterci una testimonianza autentica sulla barbarie vissuta in Italia nel 1943, durante il primo eccidio di ebrei da parte di nazisti. Parlava con orgoglio di un incontro con gli studenti del Liceo classico della città di Busto Arsizio, in provincia di Varese. L’abbiamo ascoltata con attenzione e compreso il suo dramma, come figlia del proprietario dell’Hotel Meina. Come donna ebrea scampata alla strage.

Possiamo ancora garantirLe gentilissima signora Becky la nostra alta vigilanza per denunciare in ogni circostanza qualsiasi pericolo che possiamo avvertire nei confronti degli ebrei, in segno d’amicizia rinnovata con tutto il popolo ebraico. Pur dichiarandoci autonomi e critici rispetto alle politiche governative di Israele (a maggior ragione se un Governo si dice laico!), siamo in grado di assumerci le nostre responsabilità umane, civili e religiose in difesa della sua esistenza.

Non temiamo oggi in Italia né l’opportunistica e strumentale posizione servile destrorsa né il silenzio o peggio il non detto della sinistra contro regimi tirannici come quello iraniano e la sua fede cieca nel crimine sistematico. Lei ha conosciuto semplicemente dei cristiani che hanno fatto tesoro per sempre della chiesa confessante fin dal dicembre 2002 quando apparivamo con qualche decina di iscritti su internet sotto il nome di “Orientamenti ecumenici”, scegliendo teologicamente di schierarsi per l’attuazione di questo testo di Bonhoeffer, che qui riproponiamo come momento di riflessione collettiva per migliaia di persone che adesso ci seguono. Ancora fuori dalle sacrestie e senza paura di dire quello che si deve dire.

Grazie Becky! Veramente tante grazie per la tua vita piena di passione per la Storia.

“Fare e osare non qualunque cosa, ma la cosa giusta;
non restare sospesi nel possibile, ma afferrare arditi il reale;
non della fuga dei pensieri, ma nell’azione soltanto è la libertà.
L’obbedienza sa cosa è bene,
e lo compie,
La libertà osa agire, e rimette a Dio il giudizio
su ciò che è bene e male.
L’obbedienza segue ciecamente,
la libertà ha gli occhi ben aperti.
L’obbedienza agisce senza domandare,
la libertà vuole sapere il perché.
L’obbedienza ha le mani legate, la libertà è creativa.
Nell’obbedienza l’uomo osserva i comandamenti di Dio,
nella libertà l’uomo crea comandamenti nuovi.
Nella responsabilità trovano realizzazione entrambe, l’obbedienza è libertà.”
(Dietrich Bonhoeffer)

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Ma Pio XII non ha gridato…

L’articolo che appare in questo numero di Claudio Giusti è segnalato contemporaneamente in lingua inglese anche su Facebook e sul nuovo nostro sito americano http://ecumenics.wordpress.com/ – Vi invitiamo a inoltrarci articoli per entrambi i siti: segnaliamo con piacere che da diverse settimane quello italiano www.ecumenici.it raggiunge un significativo numero di contatti giornalieri pur in assenza di qualsiasi attività di promozione.

 
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Bruno Segre, Shoah (gli ebrei, il genocidio, la memoria)

(Giorgio Chiaffarino/VE) L’autore, Bruno Segre, ripercorre le premesse, la svolta del 1933, le leggi, gli aguzzini, i conniventi, i resistenti, le omissioni e le amnesie, tutto per “una delle pagine più infamanti della storia dell’umanità”. Un testo accurato, dotato di mille riferimenti che chiariscono anche fatti poco noti o sconosciuti ai più, note utili anche per ordinare tante altre letture.
Tra le pagine che più mi hanno colpito il capitolo intitolato “Omissione di soccorso” ma soprattutto quello sul “Silenzio delle Chiese”. Nel primo caso nessuno può dire “non sapevamo”, non gli inglesi, non gli americani, nemmeno gli enti o le organizzazioni internazionali, ad esempio la Croce Rossa o le potenti comunità ebraiche americane. Almeno dalla fine del ‘42, certo dal 1943, rapporti circostanziati e sicuri erano arrivati agli Alleati. Nessuna ragione riesce a giustificare una assoluta inerzia. Eppure gli alleati non hanno risparmiato aerei e bombe, anche su obiettivi ingiustificati… Niente per i campi, per i forni, per le stazioni e le ferrovie delle linee per lo sterminio, tanto per fare un esempio.
Pagine dure, difficili, quelle sul silenzio delle chiese, in particolare di quella cattolica. Il dibattito è tuttora aperto, come spesso leggiamo sulla stampa. Nuoce anche qui, si può dire, l’ossessione del segreto che lascia presagire verità inconfessabili ed è così contraria a quella pagina della Scrittura che ci chiede di dire si, se è si e no, se è no (Matteo 5,37).
Gli interrogativi sono innumerevoli e tutti senza risposte, se non pigliamo per tali le difese, più o meno d’ufficio, talune addirittura goffe, che troviamo spesso negli spazi deputati. Se sapevano gli stati, figuriamoci la chiesa. Perché allora il blocco dell’enciclica di Pio XI? Perché il silenzio dopo “la notte dei cristalli”? Perché tanto antisemitismo cattolico di chierici e di laici, in tanti paesi europei, senza reazioni apprezzabili? Sappiamo che un atteggiamento risoluto, anche in qualche paese occupato, ha ostacolato se non interrotto le deportazioni e ha salvato tante vite. Più difficile pensare a una possibile risposta positiva dei nazisti nei confronti di una iniziativa del papato. Certo avrebbe incoraggiato ancora di più i tanti cattolici, i cristiani che si sono così spesi per salvare gli ebrei. Ma è il Vangelo che chiede di schierarsi per i perseguitati, così come Giovanni Paolo II che ha letteralmente gridato contro la mafia.
A pag.168 è citata una dura espressione di François Mauriac,: “… non abbiamo avuto il conforto di sentire il successore del Galileo, Simone Pietro, condannare con parola netta e chiara, e non con allusioni diplomatiche, la crocifissione di questi innumerevoli fratelli del Signore”. Infine sembra conclusiva e condivisibile la parola del grande teologo, Dietrich Bonhoeffer che, dopo la più nota frase sul canto “gregoriano” (pag. 106), ha aggiunto: “Pio XII nei riguardi degli ebrei è stato un buon cristiano, salvandone, accogliendone, nascondendoli. Ma a un papa si chiedeva molto di più. Si chiedeva che dopo secoli e secoli di grida contro gli ebrei, gridasse per gli ebrei. Ed egli non ha gridato” (la recensione è tratta da “Il Gallo”, marzo 2005).

Bruno Segre
Shoah (gli ebrei, il genocidio, la memoria)
Il Saggiatore, 2003

 segre

 

Intervento di Claudio Giusti

 

 

Aux martyrs de l’Holocauste.

Aux révoltés des Ghettos.

Aux partisans de forêts.

Aux insurges des camps.

Aux combattants de la résistance.

Aux soldats des forces allies.

Aux sauveteurs de frères en péril.

Aux vaillants de l’immigration clandestine.

A l’éternité.

 

Inscription at Yad Va-shem Memorial, Jerusalem

Michael Walzer, Just and Unjust Wars, Basic Books, 1977

 

 

La visione temporale dei forcaioli.

 

La teoria della deterrenza della pena di morte è semplice:

la gente ha paura di morire e non commette certi crimini, o ne commette molti meno, se questi sono passibili di pena capitale. La scomparsa di questa minaccia causa un aumento dei delitti, in particolare dell’omicidio, e un gran numero di vite innocenti sono sacrificate dalla criminale stupidità degli abolizionisti.

La dimostrazione di questa teoria si basa sull’oculata scelta dei dati da usare e nell’ignorare quelli che non collimano con i propri presupposti ideologici. Tutto quello che non coincide con il mantra “più esecuzioni uguale meno omicidi” non è preso in considerazione. Soprattutto ci si rifiuta di guardare alle esperienze dei paesi abolizionisti e a quelle degli stati americani.

Gli hangman-friends fingono di non sapere che, negli anni ’30, a un alto tasso di esecuzioni corrispondeva un altrettanto alto tasso di omicidi e non spiegano la rapida diminuzione di entrambi negli anni ‘40 e ‘50. Però attribuiscono l’aumento degli omicidi degli anni sessanta alla sospensione delle esecuzioni nel periodo 1967-1977, evitando di notare che la pena di morte è scomparsa solo nei pochi mesi successivi alla sentenza Furman. Salutano entusiasticamente il ritorno del boia (17 gennaio 1977) e il crescere delle esecuzioni, correlandolo al contemporaneo calo degli omicidi; senza però spiegare come mai, fra il 1986 e il 1991, crescono sia le esecuzioni che gli omicidi.

Qualcuno fa addirittura i conti e pretende di dimostrare che ogni esecuzione salva la vita di almeno 18 innocenti (ma c’è chi offre molto di più).

Dall’anno 2000, inspiegabilmente, il trionfalismo forcaiolo si arresta e sembra che in America, dalla fine del millennio, non accada più nulla di interessante. La ragione è semplice: i dati successivi sono l’esatto contrario di quello che ci si dovrebbe aspettare (nel caso ovviamente che uno sia così stupido da credere a questa teoria)

Questa sorta di millennium bug della deterrenza ha le sue buone ragioni per esistere.

Nel 1999 abbiamo visto il record delle esecuzioni (98) e delle condanne (circa 300) mentre il tasso di omicidio scendeva al 5,7 per centomila che, pur essendo quasi sei volte il nostro, era un tasso estremamente basso: quasi la metà di quello di vent’anni prima.

E vissero tutti felici e contenti ?

No, tutt’altro. 

Negli anni successivi abbiamo assistito, attoniti, non solo al vertiginoso calo del numero delle condanne a morte e al precipitare delle esecuzioni (sospese fra il 25 settembre 2007 e il 6 maggio 2008), ma anche alla stupefacente stabilità del tasso di omicidio che, alla faccia della deterrenza, è rimasto incredibilmente stabile.

Le condanne a morte sono passate dalle 300 l’anno a poco più di cento, mentre le esecuzioni, dopo il picco di 98, sono scese a 53 del 2006, 42 nel 2007 e 37 nel 2008 (complice la moratoria dovuta alla sentenza Baze) e me ne aspetto un massimo di 40-50 nel 2009, in gran parte in Texas.

Allo stesso tempo il tasso di omicidio restava incrollabilmente bloccato fra il 5,5 e il 5,7.

Quindi, o gli americani non sanno che ora è ancor più difficile e raro essere condannati a morte e uccisi, oppure i forcaioli ci hanno raccontato delle balle. 

Propendo per la seconda ipotesi.

Gli Americani forcaioli soffrono di insularità e si rifiutano di prendere in considerazione le esperienze del resto del mondo. Evidentemente sanno che Italia e Canada sono la dimostrazione vivente che la pena capitale non è un deterrente.

Il 14 luglio del 1976 il Canada sopprimeva la pena di morte. Da allora il suo tasso d’omicidio si è continuamente ridotto fino a diventare un terzo di quello precedente l’abolizione: cosa del resto già avvenuta in Italia nei vent’anni che seguirono la fine della pena capitale. L’esempio canadese è particolarmente interessante perché, proprio in quello stesso luglio, con la sentenza Gregg, la Corte Suprema degli Stati Uniti dava il via libera alla “new and improved” pena di morte. Al contrario di quanto avvenuto in Canada il tasso d’omicidio americano è prima cresciuto, poi diminuito, poi di nuovo cresciuto e solo successivamente abbiamo assistito ad una consistente diminuzione del numero degli omicidi. Diminuzione avvenuta anche in Italia dove, nel 2002, abbiamo avuto 638 omicidi contro i 2.000 del 1991. In quello stesso anno gli americani ne avevano contati 25.000 e hanno attribuito alla pena di morte la diminuzione ai 16.638 nel 2002. 

Gli hangmanfriends non tengono in considerazione nemmeno le esperienze nazionali. Peccato, perché lo studioso Thorsten Sellin mezzo secolo fa, confrontando le varie giurisdizioni degli Stati Uniti, scoprì che “in generale gli Stati con il boia avevano tassi di omicidio significativamente più alti di quegli Stati che non uccidevano gli assassini.”

A questo riguardo il forcaiolo Lott ha avuto l’impudenza di scrivere che:
“This simple comparison really doesn’t prove anything. The 12 states without the death penalty have long enjoyed relatively low murder rates due to factors unrelated to capital punishment.”

Forse pensa che siamo tutti stupidi

 

Bibliografia

Homicides in U.S.

http://www.ojp.usdoj.gov/bjs/homicide/tables/totalstab.htm

murders rate

http://www.deathpenaltyinfo.org/murder-rates-1996-2007

sentences

http://www.deathpenaltyinfo.org/death-sentences-year-1977-2007

executions

http://people.smu.edu/rhalperi/

 

La citazione di T. Sellin è in Mark Costanzo, Just Revenge. Costs and Consequences of the Death Penalty, New York, Saint Martin’s Press, 1998, pagina 97

 

John Lott: Death as Deterrent.

Fox News Wednesday, June 20, 2007

http://www.foxnews.com/story/0,2933,284336,00.html

 

Crimini in Italia

http://www.cittadinitalia.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0900_rapporto_criminalita.pdf

http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0902_ABSTRACT_rapporto_sicurezza_2006.pdf

 

 

 

 

Eexecutions and Homicides in USA
 

                        Executions      death                          homicide                                homicides
                                               sentences        rate

 

1973                                       42                               9.4                              19.640

1974                                       149                             9.8                              20.710

1975                                       298                             9.6                              20.510

1976                                       233                             8.8                              18.780

1977                1                     137                             8.8                              19.120            

1978                                       185                             9.0                              19.560

1979                2                     151                             9.7                              21.460

1980                                       173                            10.2                              23.040

1981                1                     223                             9.8                              22.520

1982                2                     267                             9.1                              21.010

1983                5                     252                             8.3                              19.308

1984                21                    284                             7.9                              18.692

1985                18                    262                             7.9                              18.976

1986                18                    300                             8.6                              20.613

1987                25                    287                             8.3                              20.096

1988                11                    291                             8.4                              20.675

1989                16                    258                             8.7                              21.500             Italian

1990                23                    251                             9.4                              23.438            homicides
1991                14                    268                             9.8                              24.703             1901
1992                31                    287                             9.3                              23.760             1441

1993                38                    287                             9.5                              24.526             1065

1994                31                    315                             9.0                              23.326             938

1995                56                    315                             8.2                              21.606             1004

1996                45                    317                             7.4                              16.645             945

1997                74                    275                             6.8                              18.208             864

1998                68                    298                             6.3                              16.974             879

                        (500)               (6406)                                                            (539.396)

1999                98                    277                             5.7                              15.522             810

2000                85                    232                             5.5                              15.586             749

2001                66                    162                             5.6                              16.038             707

2002                71                    167                             5.6                              16.229             642

2003                65                    153                             5.7                              16.582             719

2004                59                    138                             5.5                              16.137             711

2005                60                    128                             5.6                              16.692             601
                      (1004)             (7633)                                                            (652.182)

2006                53                    115                             5.7                                                        621

2007                42                    110                                                                                          593

2008                37

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Chi è ?

Quale è il nome dell’ultimo testimone italiano del martire cristiano Dietrich Bonhoeffer? E’ un sopravvissuto al carcere di Tegel.

Indicare pf esattamente nome e cognome.

 

Rimane valido il premio non attribuito nell’ultimo quiz, la cui risposta esatta era Rudolph Bultmann, il teologo del Dio non oggettivabile. Nella Patria degli idoli religiosi ci sembra ancora il messaggio piu’ chiaro e forte per un cristianesimo essenziale e allo stesso tempo libero dai fondamentalismi, compreso quello evangelicale.

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Il senso della nostra testimonianza

“Abbiamo imparato troppo tardi che l’origine dell’azione non è il pensiero ma la disponibilità alla responsabilità. Per voi pensare e agire entreranno in un nuovo rapporto. Voi penserete solo ciò di cui dovrete assumervi la responsabilità agendo. Per noi il pensiero erano molte volte il lusso dello spettatore, per voi sarà completamente al servizio del fare”.

D.  Bonhoeffer

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