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Piedi e pedate

Caro Pastore Cavallo,

sapevamo qui tutti della situazione determinatasi nella Chiesa Cristiana Protestante in Milano da diversi mesi, pur nella situazione di silenzio – riteniamo complice – della chiesa cattolica ambrosiana e di quella valdese, ci riferiamo in primis a livello istituzionale. Diversi sono gli interessi in gioco: da quelli diplomatici con la madre patria dell’attuale pontefice, ai dialoghi bilaterali luterano-cattolici, fermi sostanzialmente dal 2000, agli interessi spiccioli da parte dei calvinisti milanesi e non, che si pongono sotto il nobile nome di Valdo, ma di cui non condividono certo lo Spirito delle origini… Per quest’ultimi è molto meglio infatti occuparsi del Centro Melantone in Facoltà a Roma, alle necessità finanziarie dei loro ospedali coperte anche dalla ELKI (i luterani in Italia), alle sorti della casa editrice Claudiana e dei relativi soci della “santa alleanza protestante” (sigh!), ai finanziamenti provenienti dagli enti ecclesiastici dei vari Laender, che – come sa bene – non sono affatto riformati. Cioè affini alle sue scelte teologiche di fondo.

E’ stato sempre così del resto in via Marco de Marchi, nel tempio costruito in stile gotico-lombardo nel 1864 da riformati svizzeri. I migliori pastori della CCPM sono stati messi alla  porta allorquando nel dopoguerra non sono risultati più graditi alla nuova maggioranza luterana tedesca, che detta legge. Soprattutto col denaro e le pressioni dirette e indirette anche attraverso il Decano di turno. Ne so qualcosa personalmente come candidato alla formazione pastorale circa 10 anni fa.  La ricca borghesia germanica e il corpo pastorale che la esprime mantengono inossidabile il controllo ecclesiastico: tenga presente che da quella porta che domani varcherà per l’ultima volta, prima del congedo finale, sono passati piedi di tutti i tipi. Da quelli di un figlio di un proletario socialista come me, a quelli del coraggioso pastore Banse o del Pastore De Petris, a tanti ex cattolici in cerca di un’alternativa anche all’epoca del volto dialogante del Cardinale Martini, per non parlare poi di ex avventisti  anche della mia città, di curiosi, ecc. ecc. Perfino i piedi che indossavano gli stivali neri luccicanti delle truppe di occupazione nazista, durante il secondo conflitto mondiale… Non frequentavano solo il tempio tedesco cattolico. Sono proprio liberali, vero?

Milano e noi in particolare ci ricorderemo della sua iniziativa di caffè e coperte per l’inverno ai senzatetto della metropoli. Non ci era mai capitato di sostenere un pastore evangelico per un’iniziativa così densa di significato e testimonianza, come cristiani evangelici uniti al di là delle rispettive posizioni sulla questione ecclesiologica. Ma proprio su questo tema ci uniamo al messaggio di Vittorio Tozzini e di tantissimi altri riformati e luterani che Le hanno espresso solidarietà e un messaggio di saluto, anche per dire no alla “chiesa del dominio”, alle religioni delle bandiere,o peggio all’ufficio ecclesiastico del Consolato milanese di Berlino. E tutto ciò proprio sul bollettino parrocchiale…  Noi siamo nati nel laboratorio cristiano di quella comunità. Siamo figli della provetta pluriconfessionale e della nostra ricerca di libertà nello Spirito di Gesù liberatore e guaritore dalle sovrastrutture.

Noi continueremo in ogni caso la nostra testimonianza a Milano e abbiamo bisogno a nostra volta anche dei suoi auguri. Perché se non diamo voce a queste persone firmatarie della lettera, di fatto isolate, non lo farà nessun altro. Non c’è proprio nessuna “Riforma” oggi nelle chiese.

Ci rifletta. E proprio come anche per Lei,   non ci sarà nessun Consolato svizzero che esprimerà una pubblica opinione di dissenso. Qui siamo soltanto ribelli per amore del rabbi crocefisso e abbandonato. Prendiamo solo pedate e basta.

Una questione di piedi, insomma . A Berna hanno infatti accettato una pastora luterana ad interim!

Con stima

Maurizio Benazzi

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Protestanti italiani…perchè avete dimenticato questo martire?

Paul Schneider pastore a Buchenwald
Fu tra i primi martiri della Chiesa evangelica confessante in Germania, assassinato nel luglio 1939 

 

Luglio 2009 – (ve/epd) Il 18 luglio 1939 la voce del “predicatore di Buchenwald” fu messa a tacere per sempre. Paul Schneider, pastore della chiesa evangelica confessante (quella parte della chiesa protestante tedesca decisa a resistere, fin dalla metà degli anni Trenta, alle pressioni del regime nazista), fu ucciso mediante un’iniezione letale. Il quarantunenne pastore fu tra i primi membri della chiesa confessante a cadere sotto la violenza hitleriana. Morì al termine di un calvario durato 15 mesi, trascorso in isolamento nel famigerato “Bunker” del campo di concentramento di Buchenwald nei pressi di Weimar. I compagni di prigionia raccontarono che dalla sua cella Schneider non cessò mai di testimoniare ad alta voce la sua fede e di denunciare le torture e gli omicidi commessi dai nazisti.

Profeta, martire o fanatico?
Settant’anni dopo la sua morte, Paul Schneider è ammirato e celebrato, ma c’è anche chi lo ricorda con una certa perplessità. Quel pastore della cittadina di Dickenschied, nella Renania, è stato un martire, come ha sostenuto ad esempio Dietrich Bonhoeffer, o era invece un fanatico? È stato un combattente antifascista, un eroe della fede o era invece un cristiano fondamentalista? Perché ha deciso di opporsi apertamente ai nazisti, invece di limitarsi a disapprovare in privato le scelte del regime?

Rifiuto di ogni compromesso
Paul Schneider, figlio di un pastore, è nato il 29 agosto 1897 a Pferdsfeld, nei pressi di Bad Kreuznach. La sua fede, forte e non disposta a scendere a compromessi, lo ha inevitabilmente spinto a entrare in conflitto con lo stato nazista, ma anche con la sua chiesa di appartenenza, quella del Land della Renania. Entrato a far parte della “chiesa confessante”, è stato arrestato una prima volta nel 1934. Altri arresti si sono succeduti, ad esempio per non avere rispettato il divieto di annunciare dal pulpito della sua chiesa i proclami della chiesa confessante.
Nel novembre del 1937, Schneider viene trasferito dal carcere della Gestapo di Koblenz nel campo di concentramento di Buchenwald. Dopo alcuni mesi di lavori forzati nelle cave di pietra, è rinchiuso nel “Bunker”. Il motivo della condanna alla cella di rigore: Schneider si è rifiutato di salutare la bandiera uncinata nel giorno del compleanno del Führer.

Predicatore di Buchenwald
Il pastore Paul Schneider si è costantemente opposto, con irremovibile coerenza, alle pressioni e agli ordini delle autorità naziste, fuori e dentro il carcere e il campo di concentramento. I compagni di prigionia sopravvissuti hanno ribadito a più riprese la forte impressione provocata su di loro dalla sua fermezza e dal suo coraggio. Le testimonianze raccolte hanno portato a definire Schneider il “predicatore di Buchenwald”: dalla finestra della sua cella, il pastore gridava dei versetti biblici ai prigionieri radunati per l’appello sul piazzale del campo di concentramento.

Il ricordo
La chiesa evangelica tedesca ha ricordato, sabato 18 luglio, il pastore Paul Schneider. A Buchenwald, dove oggi sorge la “KZ-Gedenkstätte Buchenwald”, la sua memoria è stata onorata nel corso di un culto ecumenico.

Bibliografia:
Margarete Dieterich Schneider, Il predicatore di Buchenwald. Il martirio del pastore Paul Schneider (1897-1939), Claudiana, Torino 1996

Paul Schneider, articolo da Bautz Biographisch-Bibliographisches Lexikon
http://www.bbkl.de/s/s1/schneider_pa.shtml 

Fonte: www.voceevancelica.ch

 

 

La casa editrice Claudiana ha pubblicato:

Schneider Dieterich Margarete

Paul Schneider
Il predicatore di Buchenwald
A cura di T  Franzosi

Nostro tempo, 56

pp. 256, Euro 16.53, 1996

Offerta

11.57 € fino al 31-07-2009

2 commenti

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Il Dio del nord…

Ultime Notizie!

La Chiesa di Scozia sostiene la chiamata pastorale di un reverendo apertamente omosessuale!

 Edimburgo, Scozia


Il Reverendo Lindsay Louise Biddle, cappellano della Chiesa “Affirmation Scotland”, autore del Corso di Autodifesa su basi bibliche e già membro del Congresso Nazionale MLP, ci ha fatti partecipi di questa buona notizia proveniente dalla Congregazione delle Chiese Scozzesi:

 “Dopo 3 ore e mezza di dibattito, l’Assemblea Generale delle Chiese Scozzesi, riunitesi ad Edimburgo lo scorso sabato sera, 23 maggio 2009, con 326 voti a favore e 267 contrari ha approvato l’azione condotta avanti dal Presbiteriato di Aberdeen (intrapresa nel gennaio del 2009) per appoggiare pienanamente la chiamata pastorale (proposta nel novembre del 2008) da parte della Chiesa Parrocchiale Croce della Regina Celeste ad Aberdeen, a sostegno del Reverdo Scott Rennie, un prete apertamente omosessuale all’interno della Congregazione delle Chiese Scozzesi, il quale vive un rapporto di convivenza con il suo compagno cattolico cristiano David, che lavora come insegnante di educazione religiosa.
Rendiamo grazie a Dio per una chiesa tollerante nella quale tutti sono i benvenuti!

“Gesù mi ama!”, è ciò che mi dice la Bibbia. “Apparteniamo tutti a Cristo, qualsiasi sia il nostro orientamento sessuale! Gesù mi ama! Questo afferma la Bibbia! Dio ci ha creato tutti buoni, ed è ciò che è stato fatto! Sì, Gesù mi ama! Sì, Gesù mi ama! Tutto ciò me lo dice la Bibbia!”

 

Messaggio inviato dall’orgoglioso Cappellano della Chiesa Affirmation Scotland, reverendo signor Lindsay Louise Biddle,
30 Ralston Avenue , Glasgow G52 3NA 0141- 883-7405
Rendiamo grazie a Dio per questa giusta, Straordinaria decisione piena di fede presa il giorno 23 di maggio 2009 dalla Congregazione delle Chise Scozzesi e preghiamo per la sua testimonianza e perchè ispiri la Chiesa Presbiteriana d’America (negli Stati Uniti) e tutte le altre comunità religiose di base Cristiana.

con gratidudine e speranza,

Michael

Michael J. Adee, M.Div., Ph.D., Executive Director & Field Organizer

More Light Presbyterians, 369 Montezuma Avenue # 447, Santa Fe, New Mexico 87501 USA (505) 820-7082, michaeladee@aol.com, www.mlp.org 

 ab

 

Ecumenici aderisce dal 2007 a MLP.

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Sermon of Pastor Mark Phillips – USA

ON BEING THE GOOD SAMARITAN
(Text: “Jesus said to him, ‘Go and do likewise.’” – Luke 10:37)

A few years ago, an astonishing thing happened in New York City. A construction worker named Wesley Autrey was standing on a subway platform with his two young daughters, ages four and six, waiting on a train. Suddenly another man on the platform, apparently suffering from a seizure, stumbled and fell off the platform down onto the subway tracks. Just at that moment the headlights of a rapidly approaching train appeared in the subway tunnel. Acting quickly, and with no thought for himself, Wesley Autrey jumped down onto the tracks to rescue the stricken man by dragging him out of the way of the train. But he immediately realized that the train was coming too fast and there wasn’t time to pull the man off the tracks. So Wesley pressed the man into the hollowed-out space between the rails and spread his own body over him to protect him as the train passed over the two of them. The train cleared Wesley by mere inches, coming close enough to leave grease marks on his knit cap. When the train came to a halt, Wesley called up to the frightened onlookers on the platform: “There are two little girls up there. Let them know their Daddy is OK.”

Immediately, and for good reason, Wesley Autrey became a national hero. People were deeply moved by his selflessness, and they marveled at his bravery. What Wesley had done was a remarkable deed of concern for another person. He had no obvious reason to help this stranger. He didn’t know the man. He had his young daughters to think about. What he did was at severe risk to his own life. But a human being was in desperate need, and Wesley saw it and, moved with compassion, did what he could to save him. “The Subway Superman”-that’s what the press called him, the “Harlem Hero.” But the headline in one newspaper described Wesley Autrey in biblical terms. It read, “Good Samaritan Saves Man on Subway Tracks.”

Read more here:  http://ecumenics.wordpress.com

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31 ottobre: Festa della Riforma

Desmond Tutu: quando la libertà del cristiano osa sperare

Premio Nobel per la pace per il suo impegno a favore dei diritti umani e contro il razzismo, Desmond Tutu dal 1996 è presidente della Commissione per la verità e la Riconciliazione istituita dal governo del Sudafrica per favorire la riconciliazione nazionale e far luce sulle violazioni dei diritti umani commesse dal 1960 al 1993 durante il regime dell’apartheid (si veda la “Commissione per la verità e la Riconciliazione in Sudafrica” nella sezione Esperienze di nonviolenza).
La sua storia si incontra quindi con quella di Nelson Mandela, simbolo, per il popolo sudafricano, della conquista della libertà e dell’uguaglianza. Di lui ha detto: “Nelson Mandela trascorse ventisette anni in prigione. Quei ventisette anni furono la fiamma che temprò il suo acciaio, rimuovendo le scorie. E quella sofferenza patita nell’interesse di altre persone gli conferì un’autorità e una credibilità che non avrebbe potuto avere altrimenti. I veri leader devono prima o poi convincere i loro seguaci che non si sono buttati nella mischia per interesse personale ma per amore degli altri. Niente può testimoniarlo in modo più convincente della sofferenza. Sarebbe riuscito Nelson Mandela a ritagliarsi il suo posto nella storia come grande leader politico e morale senza quella sofferenza? Ne dubito”
Desmond Tutu nasce a Klerkdorp nel 1931 nel Transvaal, Sudafrica. Dodici anni dopo si trasferisce a Johannesburg dove termina le scuole superiori e inizia a insegnare in una scuola elementare di una baraccopoli nera della città.
Si sposa con Leah e ha quattro figli. Intanto intraprende la preparazione teologica e nel 1961 viene ordinato sacerdote. Dopo qualche anno di studio in Inghilterra, prende ad insegnare teologia in alcune università del suo paese. Nel 1975 è il primo nero ad essere nominato decano di Johannesburg e due anni più tardi vescovo di Lesotho.
Intanto fra l’opinione pubblica, in risposta alle azioni di repressione da parte del governo contro le manifestazioni a favore dell’uguaglianza sociale e sulla spinta del black consciousness, movimento di emancipazione della popolazione nera nato all’interno del mondo accademico e guidato da Steve Biko, va crescendo la protesta pubblica per le strade. Il momento più drammatico si verifica nel giugno del 1976 quando una protesta pacifica si trasforma, dopo la morte di un ragazzino, in un massacro di 500 persone. Seguono provvedimenti contro le stesse organizzazioni cristiane sostenitrici del movimento di “coscienza nera” che appoggia le proprie rivendicazioni proprio su una rilettura della Bibbia dal punto di vista dei bisogni e della realtà dei neri, fino a sfociare nella cosiddetta black theology (teologia nera) di cui si fa portavoce il nostro autore : “[…]La teologia nera è quella che si interessa a questa parte dell’umanità, a questi uomini e donne che hanno acquisito la coscienza del loro valore in quanto persone, che si rendono conto di non doversi più scusare per il fato di esistere, che credono di avere un’esperienza qualitativamente distinta da quella degli altri, e che tale esperienza richiede di essere studiata e compresa in relazione a ciò che Dio ha rivelato di sé e tramite il figlio, Gesù Cristo […]”.
È proprio in questa fase delicata che il vescovo anglicano Tutu assume l’incarico di segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese sudafricane (SACC).
Nel 1979, sostiene una campagna di disobbedienza civile dei neri d’Africa. Da questo momento inizia una vasta opera di pressione presso la comunità internazionale e di denuncia del regime dell’apartheid che costringe i neri a condizioni disumane. Naturalmente ciò gli costa vari provvedimenti restrittivi da parte del governo che arriva persino a dichiararlo sovversivo; così replica: “Con il dovuto rispetto, tutti i commissari erano persone che beneficiano quotidianamente del sistema socio-politico che noi vogliamo cambiare”.
Nel settembre del 1984 scoppia un’altra protesta nel ghetto di Soweto, dove a lungo aveva incoraggiato la sua gente a non arrendersi alle discriminazioni da pastore; la risposta dell’allora primo ministro Botha non cambia. Nello stesso anno il ricevimento del premio Nobel per la pace gli consente di avanzare richieste più visibili al governo in direzione dell’uguaglianza sociale e politica in un paese democratico.
Con l’istituzione della repubblica del Sudafrica (1994), Desmond Tutu prosegue la sua azione pastorale non esitando a far sentire al sua voce anche a livello politico.

Ecumenici parteciperà domani al culto di Milano della Festa della Riforma con lo stesso spirito libero di Desmond Tutu e di tutti coloro che vivono pienamente la libertà del cristiano. Appuntamento alle ore 20.30 presso la Chiesa Evangelica Battista, Via Pinamonte da Vimercate, 10 (adiac. Moscova). Sermone del pastore luterano  Ulrich Eckert

 

Come protestante non posso non ricordare a me stesso e alle chiese evangeliche le parole di Desmond Tutu “Perdonare e riconciliarsi non significa far finta che le cose sono diverse da quelle che sono. Non significa battersi reciprocamente la mano sulla spalla e chiudere gli occhi di fronte a quello che non va. Una vera riconciliazione può avvenire soltanto mettendo allo scoperto i propri sentimenti: la meschinità, la violenza, il dolore, la degradazione…la verità. ”

Anche fra le chiese e dentro le chiese e fra gli stessi cristiani.

Maurizio Benazzi

 

 

 Una breve riflessione sull’affermazione della Riforma

 

(Ecumenici) Zwingli iniziò il suo ministero nella chiesa cattolica a Zurigo durante la peste del 1519, che provocò la morte di quasi una persona su due, nella città svizzera. Fra i suoi compiti vi era quello di consolare i morenti per cui si rese conto ben presto che ciò avrebbe potuto implicare la malattia. La sua sopravvivenza fisica era quindi nelle mani di Dio. In un inno dedicato alla peste che scrive, non si appella ai santi perché lo guarissero e non si aspetta che la chiesa possa intervenire per lui in qualche modo. Vi si ritrova invece l’austera determinazione di accettare qualsiasi cosa gli venisse riservata da Dio. Leggiamo infatti:

Fai quello che vuoi,

perché nulla mi manca.

Son tuo strumento,

che puoi riscattare o distruggere.

E’ impossibile leggere questa poesia senza essere colpiti dall’abbandono totale del riformatore alla volontà di Dio. Zwingli superò il periodo della peste ma quell’esperienza fece crescere in lui la convinzione di essere uno strumento nelle mani di Dio, da usarsi esclusivamente per l’adempimento dei propositi divini.  Il problema dell’onnipotenza di Dio non era una questione da manuale teologico ma la questione anche della sua esistenza. Per taluni critici Zwingli accettava il fatalismo di Seneca, autore verso cui mostra un certo interesse come del resto per tutti i classici, sebbene Zwingli sia prevalentemente influenzato dall’interpretazione dell’apostolo Paolo, che vede quasi coincidenti Legge e Vangelo. Ma la sovranità di Dio, porta Zwingli in un certo senso anche fuori dall’umanesimo dell’epoca. La Riforma era per lui un processo educativo e scriverà che circa duemila persone a Zurigo sono illuminate per effetto della sua predicazione. Riconosce insomma che il destino generale dell’umanità e quello stesso della Riforma sono determinati dalla provvidenza divina. Poiché è Dio l’attore principale del processo di Riforma e non i singoli individui.

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Quando un pastore di provincia e sua moglie sono più grandi di un papa

Il Pastore Trocmé e sua moglie Magda, la toscana.

 

 

Pastore del villaggio francese di Le Chambon-sur-Lignon, André Trocmé ha guidato una “cospirazione del bene” allo scopo di salvare dallo sterminio nazista circa cinquemila persone

 

Ecumenici mette a disposizione di scuole, gruppi e associazioni un paio di DVD in lingua francese che raccolgono le interviste e la storia del villaggio durante la guerra

Scrivere a ecumenici@tiscali.it 

 (VE) Tutto cominciò una notte dell’inverno 1940/41 quando qualcuno bussò alla porta di André Trocmé, pastore riformato di Le Chambon-sur-Lignon. Quando aprì, si trovò di fronte una donna, affamata e infreddolita. Era una profuga, ebrea, in fuga dai nazisti, che cercava un riparo.

A quel gesto di accoglienza fece seguito un’intensa attività di aiuto a favore di migliaia di persone perseguitate dal governo francese di Vichy e dall’occupante nazista. Gli abitanti di Chambon diedero ospitalità a circa cinquemila profughi ebrei, li ospitarono, si presero cura di loro, si occuparono dell’educazione dei bambini, organizzarono la fuga di centinaia di ebrei verso la Svizzera e la Spagna.

André Trocmé, aiutato dalla moglie e coadiuvato dal collega pastore Édouard Theis, fu la guida spirituale e morale del villaggio. Era nato nel 1901, in una famiglia dalle radici ugonotte e tedesche. Nella sua formazione era stato profondamente colpito dalla testimonianza, ricevuta da adolescente, negli anni della prima guerra mondiale, di un soldato tedesco obiettore di coscienza. Divenuto pacifista, decise di andare a Le Chambon, in una regione discosta, per poter liberamente vivere la propria scelta non-violenta. Nel 1938 fu tra i fondatori di una scuola pacifista internazionale a Le Chambon. E quando una personalità di spicco del protestantesimo francese chiamò Trocmé, durante la guerra, chiedendogli di smettere la sua attività di aiuto a favore degli ebrei – attività che, riteneva, avrebbe danneggiato i protestanti in Francia – egli rispose con un categorico rifiuto.

André Trocmé mostrò agli abitanti di Le Chambon una via pratica ed efficace di resistenza a Vichy e ai nazisti. Il personale della scuola rifiutò di prestare giuramento di incondizionata fedeltà al capo dello stato e la campana della chiesa non suonò – trasgredendo l’ordine ricevuto – in occasione dell’anniversario della presa di potere del maresciallo Pétain. Trocmé rispose a tutte le richieste che gli furono rivolte di mettere in salvo o trovare un riparo per gli ebrei in fuga, anche se questo comportava dei pericoli per lui, per la sua famiglia e per i membri della sua chiesa.

I profughi erano accolti nelle case degli abitanti del villaggio, nelle fattorie, negli edifici scolastici. E quando c’erano dei rastrellamenti, venivano mandati nei boschi.

Le autorità di Vichy intuirono presto quello che stava succedendo a Le Chambon – del resto non sarebbe stato possibile tenere completamente nascosti i movimenti di tante persone. Ma quando chiesero esplicitamente di cessare ogni aiuto ai profughi, il pastore rispose: “Queste persone sono venute da me in cerca di aiuto e rifugio. Io sono il loro pastore. Un pastore non abbandona il suo gregge. Non so che cosa sia un ebreo. Conosco soltanto esseri umani”.

Nell’estate del 1942, degli autobus della polizia di Vichy arrivarono a Le Chambon. Il capitano di polizia chiese a Trocmé una lista completa dei nomi dei rifugiati presenti nel villaggio e l’immediata consegna dei profughi. La lista non fu consegnata e l’indomani gli autobus della polizia se ne andarono, vuoti.

André Trocmé fu arrestato e minacciato, ma non firmò l’impegno a seguire le direttive del governo relative all’atteggiamento da assumere nei confronti degli ebrei. Suo cugino, Daniel, fu arrestato e internato nel campo di concentramento di Majdanek, dove fu ucciso. Sul finire della guerra, André Trocmé dovette passare nella clandestinità, per evitare l’arresto da parte dei nazisti.

Nel 1990 i cittadini di Le Chambon-sur-Lignon sono entrati nella lista dei Giusti delle nazioni e la loro opera è stata riconosciuta da Yad Vashem e dalla Holocaust Martyrs’ and Heroes’ Remembrance Authority di Gersalemme. E nell’estate del 2004 il presidente francese Jacques Chirac si è recato a Le Chambon, in visita ufficiale, per rendere omaggio al coraggio di chi salvò tante vite umane.

 
 

(Peacelink) Animatori di una strordinaria esperienza di resistenza nonviolenta al nazismo. “Andre’ Trocme’ ha svolto la sua missione evangelizzatrice come pastore riformato a Le Chambon sur Lignon, un villaggio francese nelle Chevennes, la cui popolazione durante l’ultima guerra ha salvato la vita a migliaia di profughi anzitutto ebrei, tra i quali molti bambini. Le Chambon sur Lignon ha avuto una lunga storia di persecuzioni: la sua popolazione riformata, nel passato aveva sofferto molto per la sua fede. In questo villaggio Andre’ Trocme’ e sua moglie Magda, una toscana, avevano fondato il Collegio Cevenol, scuola internazionale di educazione alla pace, alla comprensione di tutte le idee, razze, nazioni. Dopo la sconfitta della Francia, sotto il governo di Vichy, in una notte scura di tempesta un’ebrea austriaca, sfinita, bussa alla porta della casa pastorale di Le Chambon e Magda Trocme’ l’accoglie con amore. La domenica seguente il pastore Trocme’ predica sulle “citta’ rifugio” descritte in Deuteronomio cap. XIX. Il Concistoro si riunisce ed inizia ad organizzare la resistenza nonviolenta contro la persecuzione dei profughi: migliaia di loro vengono ospitati dalle famiglie, nella scuola, vengono nutriti, nascosti e poi condotti alla frontiera. Molti sono i ragazzi, addirittura i bambini, del villaggio che conoscono le stradine per le montagne e conducono i profughi. Al centro di tutta la vicenda e’ la famiglia pastorale: Andre’ e Magda con i loro quattro figli ancora giovanissimi, con la casa sempre piena di ospiti da nascondere. E’ una vera lotta nonviolenta condotta con amore e tenacia che dura degli anni; solo dopo molto tempo vengono arrestati i pastori Trocme’ e Theis, ma grazie a Dio ritornano vivi. Purtroppo non succede cosi’ per il cugino Daniel Trocme’. Per molti anni Andre’ Trocme’ e’ stato uno dei responsabili del Movimento Internazionale della Riconciliazione” (Hedi Vaccaro). Opere di Andre’ e Magda Trocme’: Magda e Andre’ Trocme’, Una scuola, un villaggio contro il nazismo, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2000: “Una storia come quella narrata nelle pagine di questo libro dimostra se non altro una cosa, elementare ma fondamentale: l’Evangelo della pace puo’ essere non solo predicato ma praticato, non solo prospettato ma vissuto. Gia’ in questo mondo e in questa vita la pace e’ possibile perche’ e’ possibile viverla non solo nel segreto della propria anima ma anche nell’intreccio delicato (e spesso tormentato) dei rapporti umani, non solo di quelli tra persone ma anche di quelli tra Stati, popoli, razze e culture. Andre’ Trocme’ con sua moglie Magda s’e’ forgiato come testimone della pace e della nonviolenza negli anni bui della seconda guerra mondiale e della guerra civile: in quel contesto di odio e di morte ha maturato la sua vocazione pacifista, vissuta poi fino alla fine della sua vita. Leggere un libro come questo significa apprendere una lezione di pace, e apprendere una lezione di pace significa imparare la cosa piu’ bella che ci sia, e cioe’ imparare a costruire il nuovo in questo vecchio mondo” (Paolo Ricca). Cfr. anche Andre’ Trocme’, Gli asini e gli angeli (Racconti di Natale e di altri tempi dell’anno), Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2000.

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