Autore: Emil Fuchs e altri socialisti religiosi

Emil Fuchs

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Emil Fuchs (13 maggio 1874 Beerfelden , Granducato di Hesse – 13 Febbraio 1971) è stato un tedesco teologo .

Studiò teologia in Giessen con Stade, Baldensperger, Holtzmann, Kattenbush e Siebeck; nel 1897 primo esame di teologia; nel 1897/1898 servizio militare; nel 1898/1899 seminario omiletico in Friedberg; vicario in Brauerschwend/Vogelberg, ordinazione; nel 1902 vicario in Manchester; 1903/1905 ripetitore  in Giessen; nel 1905 parroco in Ruesselsheim; nel 1914 dottore onorario della facoltà teologica di Giessen; 1918 parroco a Eisenach; nel 1913 professore di scienze religiose all’accademia pedagogica di Kiel; marzo 1933 destituzione, prigionia, 1933/1934 Freinwalde, 1934 noleggio di auto in Brits; quindi fino al 1943 guadagno del sostenimento, a Berlino, con la spiegazione del Nuovo Testamento e la spedizione di copie dattiloscritte ad amici dappertutto in Germania; 1943 Gorttipohl- Montafon (Vorarlberg) 1945 Francoforte sul Meno 1947/48 viaggio in America, lezioni a Filadelfia 1949 professore di etica cristiana e sociologia religiosa a Lipsia; 9 febbraio 1961 colloquio con W. Ulbricht, che divenne fondamentale per la politica ecclesiastica della SED.  Partito di Unità Socialista di Germania (in tedesco: Sozialistische Einheitspartei DeutschlandsSED)

Un socialista religioso , Fuchs è stato uno dei primi pastori luterani Come un devoto pacifista , ha poi aderito al Società Religiosa degli Amici (Quaccheri). Era un titolare di borsa di studio a Woodbrooke College (ora Woodbrooke Quaker Study Centre ), Selly Oak , Birmingham durante 1934-5.

Fuchs è stato sia un cristiano impegnato e un socialista e ha scritto numerosi libri sul rapporto tra marxismo e cristianesimo . Nel 1958 Fuchs divenne membro onorario della Germania Est CDU , che faceva parte del governo tedesco-orientale e perseguito un corso filo-comunista. Su 9 febbraio 1961 Fuchs era membro di una commissione cristiana che è stato incaricato di discutere le questioni di stato e la chiesa con il leader della DDR Walter Ulbricht . Da allora Emil Fuchs impegnato per la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato e la chiesa in Germania orientale. Anche se un fedele sostenitore della DDR Fuchs di tanto in tanto si è opposto alla linea del partito: era contro la persecuzione del giovane Congregazioni (Junge Gemeinden) nel 1950 e quando l’arruolamento è stato introdotto in Germania Est, è riuscito a convincere la leadership comunista per consentire un’alternativa per servizio armato . Gli uomini che hanno rifiutato il servizio al solito sotto le armi potrebbero di conseguenza servire come “soldati di costruzione» ( Bausoldaten ), che, come è evidente dal termine, ha fatto per lo più attività di costruzione.

Nel 1906 sposò Else Wagner (1875-1931), il cui suicidio in seguito lo ha investito. Hanno avuto quattro figli: Elisabeth (1908-1939, suicidio), Gerhard (1909-1951), Klaus (1911-1988) e Kristel (b 1.913.). Come il padre, i figli di Fuchs supportati socialismo. Suo figlio Klaus Fuchs , un fisico, è stata una spia atomica , condannato per fornire informazioni dalla ricerca bomba atomica inglese e americana alla URSS durante e subito dopo, la seconda guerra mondiale .

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LE QUESTIONI DECISIVE NELLA VITA ECCLESIALE DEL FUTURO

Finora la questione teologica era decisiva per la vita della chiesa. Ciò era necessario fino a tanto che la vita ecclesiastica doveva liberarsi dal peso della tradizione per dedicarsi disinvoltamente alla vita ed esperienza religiosa nel presente e nel passato. Questa battaglia è stata combattuta. Possono essere necessari alcuni combattimenti di ritirata, ma è chiaro a destra e a sinistra che la vita religiosa vive di una dedizione imparziale ai valori e non di una sottomissione ad alcuni documenti ed opinioni. Ora si è giunti nuovamente a creare pietà dalle esperienze presenti, a far valere i documenti del passato su se stessi, disinvoltamente, come vita. Così ci si può porre la domanda, se si ha veramente tanto bisogno di questa scienza teologica. La generazione di teologi in formazione non comprende affatto la nostra passione scientifica. Non ha più bisogno, come noi, della liberazione tramite la scienza. Ne segue che la scienza non avrà più per la vita religiosa quel significato che ha avuto finora. Essa sarà necessaria come prima. Ma lavorerà e vigilerà sullo sfondo piuttosto che cooperare in primo piano formando e indicendo nella vita ecclesiale . Questa è anche la sana posizione della vita: pietà nella vita presente , operante disinvoltamente. La scienza come guida attenta, osservatrice. Noi che abbiamo visto un contenuto di vita proprio nella scienza teologica e nella lotta per essa, dovremmo essere grati di poter e dover intraprendere questo mutamento interno. Ma che cosa determina il futuro della chiesa? Mi sembra che, a questo proposito, nei circoli ecclesiastici , regni la cecità più completa per cui bisogna parlarne una buona volta molto seriamente.

Sedevo recentemente insieme ad un avvocato. Disse: “Se Lei conoscesse la gente come me, allora non crederebbe che si possa intraprendere qualche cosa con questo popolo, con questa classe operaia”.

“Da quanto tempo è avvocato?”

“Quasi 20 anni”.

“Cosa ha fatto per porre termine a questa situazione del suo popolo?”

Allora mi guarda molto meravigliato. Questo succede da noi. Un uomo condanna per 20 anni membri del suo popolo, inveisce contro intere città, ma non si pone mai la questione di che cosa possa fare per mutare tale situazione. E’ molto diverso per la grande massa dei nostri parroci? Certo i parroci han fatto di più degli altri membri delle classi “intellettuali”. Ma han preso sul serio i pericoli della vita del popolo, così tremendamente sul serio come avrebbero dovuto, come ora lo sono dai grandi movimenti che stanno sorgendo? …Una cosa deve essere chiara per i parroci: che essi affrontano i grandi danni ed indigenze della vita del popolo molto più decisamente delle altre classi. Ma questa è la grande questione della vita ecclesiale  intorno alla quale gli spiriti cominciano a dividersi: posizione estremamente decisa e superficialità. Sarà uno degli obiettivi principali dei parroci nel futuro, appartenere a quella casta di agiati benestanti, “formati accademicamente con scopi e morale di birra”, oppure si schiereranno decisamente con coloro che lottano in tutti i campi della vita per la formazione di una nuova vita, non importa da quali strati sociali provengano?

Questo vale pure per la posizione nei confronti della questione sociale. E’ insopportabile come i parroci accettino completamente in questo punto il modo di giudicare estremamente superficiale degli “intellettuali”. Non solo la classe operaia, ma tutto il popolo tedesco è stato moralmente devastato dal capitalismo in misura tale che non che non si arricchiscono con la miseria del loro popolo. Ognuno fa tutto quello che può per raggiungere lo stesso. E poi si sentono ancora nei nostri circoli dei giudizi secondo i quali non si può fare a meno di questa specie di economia e della devastazione delle forze umane. Noi, invece, dobbiamo porci con estrema serietà la domanda se non ci sia una strada per strappare il nostro popolo da questa brama e questa follia. Ma vi è solo una strada; si chiama socialismo. Per realizzarla occorre un socialismo nei sentimenti (Gesimung) affinché si formino uomini che con saldi sentimenti etici si pongano alla direzione di questo grande mutamento. Solo quando il socialismo nella vita economica è semplicemente questione di grandi organizzatori. E’ fatale per loro e per noi che costoro uniscano oggi il loro talento di organizzatori , così naturalmente, con un egoismo vergognoso per la serietà morale. Perciò noi abbiamo oggi questo bolscevismo capitalista che saccheggia il nostro popolo in favore di singole, grandi formazioni di capitali e distrugge così gli ultimi capitali di onestà e fiducia. Le forti masse del capitalismo hanno oggi la sensazione di aver bisogno di una “santificazione” della loro vita per poter meglio resistere all’attacco dei doveri morali. La “chiesa” cercherà di dar loro questa santificazione dell’egoismo perché partecipino più vitalmente alla vita ecclesiale? Questa è un’ altra delle grandi questioni vitali, di fronte alle quali ora ci troviamo. Vederle chiaramente significa capire di fronte a quale abisso si trova la chiesa.

Non appena siamo decisi a cercare di sollevare il nostro popolo con la forza morale, conosciamo pure la chiara posizione da prendere di fronte a un altro pericolo. Ogni violenza significa disperare della forza morale, sia essa adibita all’interno oppure all’esterno . Non vi è formazione giusta , pura, nobile della società popolare con la violenza . Essa viene operata solo dalla formazione delle convinzioni e dall’agire secondo forti convinzioni. Non vi è grandezza e neppure libertà di un popolo con violenza, distruzione e guerra. Questo lo dovremmo constatare ora dall’esempio dei nostri vittoriosi nemici. Vi è giustizia e grandezza solo nell’operare tenace di uomini moralmente seri. Se, invece, sotto una pressione insopportabile mediante una giusta distribuzione , la volontà operosa struttura una grande e buona convivenza, e l’umanità viene costretta a volgersi dalla propria autonomia egoista al servizio di valori morali, allora sarà la stessa forza di questa strutturazione della vita e far cadere le catene che essa ci ha imposte. Non si può legare colui del quale si vede l’opera. Quale strada, come chiesa, vogliamo percorrere con il nostro popolo, per il nostro popolo?

Gli vogliamo predicare che giustizia, verità forza morale sono ideali per colui al quale altrimenti va tutto bene? Se ti va male, invece, ti devi prima procurare con i pugni i beni e la libertà necessari, allora tu puoi credere a quei grandi valori morali – se ne hai ancora voglia! No. Prendere sul serio fino all’autonegazione, prendere sul serio fino all’autonegazione, prendere su serio la grande, la santa fede di Dio che giustizia e libertà, bontà e verità sono la sua volontà e realizzazione del suo essere nell’umanità. Questa è la vita che penetra nella nostra opera e nel nostro essere. Dove essa è presente, lì, c’è anche forza e futuro, dove non c’è , vi è morte e decadenza.

Almeno la chiesa dovrebbe esplicitamente attenersi alla grande realtà che la guerra mondiale e il tramonto degli idoli di questo tempo è giudizio su una generazione per la quale quei valori erano divenuti valori domenicali e la fede patrimonio domenicale. Se noi restiamo con quella posizione, allora il giudizio prosegue. Lo effettuiamo su noi stessi. Solo la via della vita porta fuori dalla decadenza integrando il divino nella nostra volontà e vivendo solo per la giustizia, la verità, la purezza, l’amore e credendo solo alla sua operatività creatrice di futuro.

Siamo così arrivati all’ultimo punto. Nel tutto c’è la grande questione della realtà del divino. Bisogna ancora predicare all’uomo di credere a Dio, perché altri glielo dicono o perché Gesù venne, fece miracoli, risuscitò? Oppure deve divenir loro chiaro che tutti questi valori di fede sono veri perché è presente in noi, in ognuno di noi, il valore e la forza di tutte le forze come enorme, sovraumana, potente operosità? Qui essa è la volontà di quella grande, genuina formazione umana e comunitaria per la quale ha e deve avere valore il lavoro di tutta l’umanità se non vuole essere stoltezza, peccato e morte. Qui essa è la forza crescente di questa formazione che fiorisce in noi e ci fa membri di un mondo superiore, opera realtà e operosità nella quale esperimentiamo l’eterno e noi come eterni. Colui per il quale ciò è vero, vive in esso e non ha senso se gli vien detto: con tutto ciò non vi è libertà di un popolo, né futuro. Qui deve intervenire la forza. Per noi, invece, qui c’è la realtà di Dio in cui noi viviamo e dobbiamo operare – guai a colui che abbandona il Dio vivente e nell’incredulità si stacca da lui. Dove vuol volgersi la chiesa?

Appare sempre nuovamente in ogni domanda: prendi in tutta la sua serietà la realtà di Dio – molto seriamente, così seriamente come la deve prendere una generazione che vive in questo tempo – oppure vuoi servire Dio e altri dei nello stesso tempo?

Ma una generazione come la nostra imparerà a credere in Dio lì dove esperienza realtà del suo essere che lo obbliga al mondo. Non è in nostro potere fargliela esperimentare . Ma guai a noi se noi ci dedichiamo totalmente lì dove essa ci parla.

Ed ora riflettiamo su quale nuovo contrasto cresce nella chiesa al posto del vecchio “ortodosso-liberale” . Certamente potremo averne paura. Ma ora siamo passati dalla teoria alla lotta per la devozione totale alla santa volontà che visse in Gesù e da lui investe noi affinché ci dedichiamo ad esso.

 

3.

 

Tuttavia, a questo punto, venne la potente scrollata. Guerra e rivoluzione parlavano di altre realtà – questo aprì gli occhi per ciò che già da tempo aveva sottratto il significato decisivo a tutto questo sforzo – anche se esso restò in un significato relativo.

C’era stato Ludwig Feuerbach con i suoi pensieri che l’uomo si crea un suo Dio come l’immagine ideale dei suoi fini e desideri più elevati. All’interno del mondo spirituale di Schleiermacher ciò lo si poteva ammettere fino a un certo punto: l’uomo, l’umanità si crea la sua immagine, il suo concetto di Dio sempre nuovamente in condizioni temporali. Ma essi creano questa immagine di Dio (la “visione” della prima edizione dei Discorsi) mossi dall’incontro con il divino che avviene prima di ogni formazione di pensiero e fantasia. E il fatto che quest’incontro con la divinità è una verità, è sicuro perché ogni conoscenza umana potrebbe essere solamente relativa se non portasse in sé, in qualche parte, come fondamento e potese mostrare questo incontro con la totalità, l’universo.

Ma a questo punto venne Karl Marx e diede la spinta decisiva. Tutto questo mondo della scienza e della conoscenza, della filosofia e degli ideali, della fede religiosa e della determinazione etica è certamente un mondo unitario, con scopi unitari. Ma il fondamento unitario non è l’universo, bensì l’ambito formato dalla società nella quale viviamo, divenutoci naturale. Un mondo come quello medioevale che viene sostituito da una organizzazione feudale che rappresenta una scala discendente dalla divinità fino alle più basse forme della vita terrena, percepirà la religione come suo fondamento e riporterà ogni organizzazione e tecnica alla religione, mentre riterrà eresia ed empia rivoluzione ogni tentativo di riconoscere l’organizzativo, il tecnico nella sua propria autonomia. Un mondo che viene sostituito dalla tecnica e quindi dalle conoscenze basate sulla legge della casualità, concepirà questo nesso causale come l’essenza di tutte le cose e riporterà ad esso ogni scienza, organizzazione e pietà. Il materialismo è l’ideologia della società fondata sulla tecnica.

Dunque: tutta questa vita spirituale, nella cui profondità Schleiermacher indicò la verità della religione, è una sovrastruttura su una determinata forma di società. I gruppi sociali che non sono stati ancora vitalmente afferrati dalla durezza e violenza ferrea della loro formazione tecnico-organizzativa, si costruiscono una ideologia. Questi valori e conoscenze di genere spirituale sono realtà per essi, così pure la religione in tutto questo contesto di “vita” spirituale. Per colore, invece, la cui vita è determinata e dominata immediatamente dalla tecnica e dall’organizzazione del lavoro, questi valori e queste verità non esistono e non possono essere loro provati. Mancano tutte le presupposizioni che sono presenti solo in connessione con quella vita spirituale, e quella vita spirituale è l’ideologia necessaria di coloro che si trovano in una sicurezza e agiatezza economica e sociale. Essi conferiscono verità e consistenza in se stessa a questa sicurezza e agiatezza con una tale visione del mondo e verità generale che li pone, anche spiritualmente , al di sopra di quegli orrori che essi lasciano agli altri.

Dal punto di vista spirituale, ciò viene confermato dalla potente opera di Vaihinger La filosofia del “come-se”; anche in essa viene provato che tutto il nostro edificio di conoscenze, chiuso, non è una certezza, ma una interpretazione del mondo. Dappertutto l’uomo considera il mondo  “come –se” esso fosse come egli può comprenderlo, elabora questa convinzione e, consciamente o inconsciamente , corregge i suoi errori affinché il conto sia più o meno esatto senza che in queste “conoscenze” gli si possa rivelare in qualche modo il mistero dell’esistenza.

Guerra e rivoluzione fornirono un  terribile insegnamento pratico della dottrina di Karl Marx. Era grottesco con quanta leggerezza il mondo istruito “liberale”, allo scoppio della guerra, si buttò su tutte le ideologie che erano ora necessarie per la conservazione di ciò che esso considerava l’esistenza propria e del popolo. Era impressionante con quanta facilità si accettò l’ideologia democratica per necessità di vita, dopo la rivoluzione invece per le stesse necessità vitali si divenne “reazionari” e si pervenne fino alla rielaborazione di una forma autoritaria della pietà. Proprio il comportamento delle Chiese che provocarono a tutto il popolo, quanto poco di “incondizionato” esse avevano da annunciare, era ed è uno dei più grandi insegnamenti pratici di Karl Marx . Certamente non poteva essere dimostrata in modo più chiaro la dipendenza anche della religione dai condizionamenti economici e sociali e questo insegnamento pratico continua giulivamente e inconsciamente nel comportamento dei nostri circoli ecclesiastici dominanti.

A colui che vede veramente dovrebbe essere ora chiaro quanto assurdo è il metodo che con Schleiermacher spiega al “pensante” che la religione è necessaria all’interno del mondo della formazione culturale oppure con Ritsch attira, organizza, educa il “semplice” al riconoscimento dell’autorità dell’edificio storico della Chiesa. Davanti alle porte stanno coloro per i quali tutti e due i metodi significavano esser prigioniero di una grande bugia, dell’ideologia di un tempo passato, o del tempo della schiavitù che tiene prigionieri gli uomini sotto l’autorità, oppure della comoda borghesia che aveva edificato la sua comoda esistenza sociale e spirituale sulla indigenza dimenticata delle masse.

Nessuno dei due ha in sé la possibilità di convincere uomini che si sono veramente sottratti spiritualmente al tempo antico.

4.

Chi ha conosciuto ciò, saprà che egli non ha per se stesso la certezza della sua fede – e meno ancora l’ha per altri finché egli necessita ancora, in qualche modo, di questa esistenza protetta. Il segno più sicuro di miscredenza, che noi nascondiamo solo mediante questo racchiuderci nel mondo di queste sirezze, è che noi abbiamo paura di abbandonare questa esistenza protetta spiritualmente e socialmente, che odiamo chiunque voglia strapparci da questa esistenza protetta. Mi sembra, inoltre, che in ciò vi è una prova che la guida di  Schleiermacher non è stata completamente falsa. Essa mi diede il coraggio e la forza di uscire da questo circolo sicuro. Egli mi aveva istruito in maniera tale che io non mi feci alcuna voluta illusione quando subentrò la verità per la quale si chiudevano tanti del nostro tempo, della nostra generazione di teologi.

Improvvisamente sapevo che l’ultima certezza della fede si trovava solo nel compito che è connesso con il risveglio del mondo in cui viviamo.

Giunsi a Karl Marx. Ma l’occhio istruito da Schleiermacher vide che anche Karl Marx, in un punto, riconosceva quel che per Schleiermacher era l’universo e l’incontro con esso. E’ il passo che Karl Marx accuratamente si nasconde con la parola razionalista “Sviluppo”. Questo è il punto in cui anch’egli, nel suo mondo delle lotte di classi e catastrofi e bisogni naturali, che si oppongono a vicenda, ha sentore di qualcosa, come un senso e una connessione. Questo è il punto in cui appare la domanda: Perché, Karl Marx , l’umanità ebbe bisogno fin dall’inizio di dare in qualche modo , un senso alle sue lotte con una ideologia religiosa? Era solo perché essa vuole e deve sbagliarsi sull’assurdità del tutto? Perché le risplende dal tutto un senso e una necessità ? E allora si poteva rispondere all’altra domanda : l’umanità vivrà nel futuro senza una ideologia religiosa oppure sarà costretta dalle realtà della sua vita a crearsene nuovamente una?

Fin qui il discepolo di Schleiermacher si confronta con Karl Marx. La soluzione delle domande non può e non deve essere cercata presso Schleiermacher, Ritschl o un altro pensatore e teologo. Essa può essere solo cercata e trovata nella realtà delle masse e nella loro stessa sorte. Perciò essa può essere solo cercata e trovata da colui che si pone al centro di questa sorte, esistenza e lotta delle masse.

Essa già stata trovata quando fui costretto a rischiare tutte le sicurezze spirituali e sociali, a prender su di me tutta la forza per l’esistenza, lotta che doveva necessariamente iniziare per il parroco che diveniva socialdemocratico. Nella stessa costrizione c’era la certezza: “Tu sei stato troppo per me  e hai vinto; ma io sono perciò deriso ogni giorno… Ma vi era nel mio cuore come un fuoco ardente chiuso nelle mia ossa che io non potevo contenere e non potevo sopportare “ (Ger 20,7/9).

E’ un grido che ci costringe ad edificare il regno di Dio e a riconoscerlo come metro per misurare lo stato del nostro mondo. Ed è un grido che attraversa la storia dell’umanità indipendentemente da chiesa e “religione”. Oggi a partire da Karl Marx esso ha acceso tra le masse la rivoluzione per la quale esse debbono e vogliono edificare non solo la comodità della loro esistenza, ma anche il nuovo mondo della giustizia, della libertà e della fraternità.

Questo era il grido che risuonava quando Gesù viveva tra gli uomini: “Ma io vi dico”. Similmente oggi dall’afflizione, miseria indigenza di milioni di persone, dalla contesa, odio e lotta di questo mondo e dell’infinita nostalgia che pervade tutto ciò, risuona un nuovo potente; “Ma io vi dico…”!

Colui per il quale ciò è solo ripetizione patetica di pensieri socialisti non sa di che cosa si tratta. Si tratta del fatto che all’uomo preso nella realtà piena di incredibile orrore, si mostra uno sfondo pieno di doveri, spinte e impulsi. Esso lo trascina nel compito che va al di là di se stesso, valorizza la sua persona solo come servizio al tutto. Gli fa apparire uno scopo pieno di santità al quale egli deve obbedire e immolare i sacrifici più duri. Fa del popolo calpestato e disprezzato una unità. Supera rabbia e amarezza delle masse in progetto e chiarezza. Da singoli uomini che combattono contro la miseria personale, forma un grande corteo, il “corteo di milioni di persone” che “esce senza fine dal letargo”.

Noi veniamo trasportati da una realtà che non è solo teoria, che non è solo scienza e conoscenza e viene da esse riconosciuta, ma da un vero movimento, vera forza, vera esigenza, vera offerta di sacrifici e vero divenire nelle anime e nelle masse – verso ciò che Gesù chiamava il Regno di Dio.

Questi milioni di persone di persone non lo sanno. Essi l’hanno.Essi non possono chiamarlo Dio, poiché chiesa e il mondo borghese chiamano Dio e le loro leggi e i loro valori più eccelsi. Non posso chiamarlo regno di Dio, poiché ad esso è capitato lo stesso. Venne relegato nel cielo ciò de cui essere non si cercava e non si voleva saper niente sulla terra.

Ed ora improvvisamente noi ci troviamo in mezzo ad esso e lo vediamo la sua potenza immensa e dobbiamo e possiamo dargli un nome e sappiamo , all’improvviso, con tutta chiarezza dove ciò che abbiamo portato in noi per tutta la vita e cercavamo di comprendere con tutte le autoillusioni di una aristocrazia superata dalla dura realtà.

Certo, ora lo possiamo riconoscere anche nuovamente con Schleiermacher e con Karl Marx e con Karl Marx interpretato dalla conoscenza di Schleiermacher nella sua necessità scientifica. Ma ciò è secondario. E’ decisivo , invece, che noi sappiamo che nell’umanità e nella sua lotta vi è un comando e questo grido ci ha raggiunti ed ora noi siamo uniti in obbedienza verso il grido e in grande corteo a lottare per la realizzazione di ciò di cui siamo stati incaricati.

“Essere responsabili” nella nostra vita personale e lasciarsi trasportare dalla responsabilità per gli altri, l’umanità, questa è la grande, chiara, immediata rivelazione della divinità che avviene sempre nuovamente. Essa è così infinitamente grande ed incredibile che l’uomo più forte può consumarvi le sue energie e il pensatore più acuto venir meno di fronte ai suoi misteri, questa realtà che noi siamo chiamati a condividere la stessa responsabilità con tutta l’umanità, responsabilità che nessuno che vi è chiamato, può allontanare da sé. Averla qui in realtà e lasciarsi portare alla decisione , dà senso alla vita dell’uomo e solo allora si può pensare, scrivere, discutere, filosofare del senso della vita dell’uomo.

Chiesa, religione, cultura sono assurde in un mondo che vive comodamente sulla miseria delle moltitudini. Essi non sentono il grido e non lo portano in se stesse.

Ma dove il grido è stato ascoltato e ci si trova nel “dovere” che va verso il futuro, lì c’è certezza e tranquillità e diviene certezza e tranquillità, qui si edifica il nuovo mondo della devozione – e questo è quello antichissimo del detto:

“Quel che avete fatto ad uno dei più piccoli fra i miei fratelli …

quel che non avete fatto…”

Paul Piechowski, il teologo luterano socialista-religioso

Biografia

Piechowski è nato il 30 giugno 1892  a Turoscheln , Prussia orientale (Turośl moderna, Polonia), ha nel 1911 iniziato a studiare teologia luterana e Filosofia presso l’ Università di Königsberg . 1914 primo esame teologico; 1916 licenziato. Nel ottobre 1916 ha lavorato come pastore a Königsberg e 1917-1919 come Cappellano militare. Nel 1919 entra a far parte del “movimento religioso-socialista” e ha iniziato a lavorare come pastore in Berlin-Neukölln fino al 1928, 1923 dottorato presso la Facoltà filosofica di Francoforte sul Meno; 1927 fondazione dell’associazione dei teologi socialisti di Germania, dal 1928 fino al 1934 in Berlin-Britz . Nel 1924 è diventato il Presidente dell’Unione dei teologi socialisti. Piechowski ha iniziato a studiare a Berlino medicina nel 1932/33, è stato licenziato dalla sua posizione di Pastore nel 1934 e ha lavorato come medico di fabbrica presso l’AEG. Dopo la seconda guerra mondiale, ha praticato a Babelsberg e divenne direttore medico presso l’Amministrazione centrale tedesca della zona di occupazione sovietica . Dal 1946-1953 Piechowski era un membro del ramo medico del l’amministrazione comunale di Berlino . 1953 prassi a Moabit. Fino al 1961 ha praticato come medico a Berlino-Moabit .

Piechowski era un membro del Partito socialdemocratico tedesco e morì nel 1961 a Bad Godesberg

Fede proletaria: risultati e prospettive

(prima parte)

I.

Come considerazione conclusiva vogliamo porre una considerazione molteplice: Dapprima qualcosa che non segue dalla nostra esposizione, ma che merita di essere sempre nuovamente mostrato co ogni energia. Si tratta dell’assoluta indifferenza che il proletario mostra nei confronti di tutte le realtà ecclesiastico-religiose. Essa è documentata non solo dal 90% dei compagni di fabbrica e del 100% dei compagni del parlamento che, ignorando il nostro questionario, sono passati all’ordine del giorno, ma anche diversamente la si può constatare in ogni momento nella vita di partito e di sindacato. Manca, allo stesso tempo, la comprensione e la possibilità interna per tutte le relative spiegazioni. Infatti il religioso-ecclesiastico non interessa. Gli è inerente l’”odio” che si ha verso l’irrealtà , un vagare intorno nel nebuloso, un bearsi di grandi parole che trascurano le necessità di questa terra. Sociologicamente si può fondare più da vicino un tale atteggiamento dei compagni. In questo contesto, però, è secondario. Qui si tratta piuttosto di comunicare che l’indifferenza religiosa nel proletariato ha raggiunto una misura tale di cui la persona che sta all’esterno non può rendersi conto. E’ vero che, nei due anni dopo la rivoluzione , nelle serate a pagamento ( riunione dei membri) dei partiti di sinistra e dei sindacati vennero tenute , stranamente spesso, conferenze e discorsi sul tema religione (cristianesimo) e socialismo. Ma il presupposto sotto cui ebbero luogo queste spiegazioni era per lo più che i dirigenti – senza cattiva volontà, piuttosto in modo ingenuo – volevano servirsi della religione come mezzo per il fine, come mezzo ausiliario per la propaganda di idee socialiste specialmente nel campo borghese, giacché il socialismo stava stabilmente come la grandezza sovrastante cui tutto il resto doveva assoggettarsi. Corrispondentemente anche quelle numerose conferenze passarono quasi senza effetto. In verità non si notò un approfondimento del movimento socialista tramite lo spirito cristiano-religioso. Quelle spiegazioni ebbero, forse, il solo risultato di scuotere la coscienza proletaria anche in questa direzione: la nostra religione è il socialismo.

La prima osservazione che presentiamo dunque è che, visto dal proletariato, il religioso –ecclesiastico è sempre più cosa di una piccolissima parte dei compagni e, per quanto noi possimao vedere, resterà ancora tale per lungo tempo. La constatazione significa l’attenuazione dell’affermazione ripetuta così solennemente , che la questione religiosa è semplicemente la domanda vitale per ogni uomo, la vera e decisiva di tutta l’esistenza. Questo può essere vero per l’appassionato di religione che vede tutte le cose intorno a sé alla luce della religione. Ma significherebbe cozzare contro la realtà, se si volesse sostenere la validità di quella affermazione anche per la massa del proletariato. Il contrario di questa affermazione corrisponde a verità. Di 100 compagni, nel caso migliore reagiscono 10 a domande religiose e di questi 10 quasi tutti negano il diritto di esistenza della chiesa attuale, e 6/7 il valore della religione cristiana in genere. Questa è la realtà di fronte alla quale ci troviamo.

2.

La seconda osservazione che noi sottolineamo è che lì dove si fa notare una vita interna, spirituale – e così quanto detto qui nel libro cade sotto il punto di vista della nostra considerazione – lì si mostra chiaramente la totale frammentarietà del punto di vista proletario. Pazzo e confuso, variopinto e arruffato, uno spettacolo di decomposizione  e dissoluzione, un quadro di consolante desolazione, una ricerca e un palpare spirituale insicuro, ma anche un quadro pieno di tendenze all’apertura e un campo solcato da passioni e pieno di sordi impulsi vitali, sotto il quale vi è fermento e gorgoglio esplosivo, sussulto e strepito, così ci si presenta l’ani9ima proletaria, dal lato religioso. Nel corso della nostra esposizione abbiamo spesso sottolineato la frammentarietà del punto di vista proletario. Le più diverse opinioni e tendenze si scontrano qui vicendevolmente. Da nessuna parte ci si mostrano linee unitarie.

Volontà di critica e scetticismo si introducono in ampia corrente nel pensiero proletario e pongono sempre nuovamente la domanda della verità. La prevalenza razionalista è inconfondibile. Ma non sempre mancano romanticismo e fanatismo per natura. Tuttavia dappertutto si spalancano contraddizioni. L’esaltazione, per esempio, della natura come espressione di forza divino-creatrice ci viene incontro nel freddo fuoco dell’ateismo, per il quale non vi è più addirittura un divino. Ma a volte, si possono leggere tutti e due sullo stesso , unico foglio. Similmente, da una parte si mostra nel proletariato la volontà conscia di entrare nella cultura borghese per assimilare ed usare i suoi mezzi di formazione e dall’altra parte, nuovamente come in una sconsolata disperazione, la coscienza dell’impotenza, della debolezza, la consapevolezza che non si è all’altezza dell’”altro” ( con la sua cultura borghese) e che perciò deve chiudersi in se stesso ed edificarsi per se stesso un nuovo mondo sulla strada della dittatura. Risuonano voci di rabbia. Il sentimento della delusione di fronte all’indegnità della religione e della chiesa, di fronte al loro influsso che frena il movimento operaio trabocca in odio feroce che sempre nuovamente ci arde contro nel questionario. Inoltre rumoreggia nell’anima proletaria una specie di energia religiosa contenuta e il sentimento di una missione si fa strada in essa. Ma dal mare dei suoni si rendono discretamente percepibili espressioni : l’odio contro la chiesa, il relativo riconoscimento del cristianesimo e il grido fremente: la nostra religione è il socialismo.

3.

Questa è dunque, la terza osservazione che noi facciamo: il rifiuto dell’eccesiasticismo tradizionale. Lo stato di fatto da noi inizialmente espresso con maggiore accuratezza che, secondo nostre precise statistiche, circa i tre quarti di tutti i compagni organizzati ha rotto il filo esterno che li teneva uniti alla chiesa, conferisce a questo rifiuto una serie validità. E l’umanità con la quale esso avviene è ciò che conferisce un gusto amaro al rifiuto di ogni esistenza ecclesiastica. E’ una realtà spaventosa che anche i pochi compagni che appartengono alla Chiesa, salvo eccezioni irrilevanti, si pronunciano con eguale drasticità e radicalità di rifiuto sulla chiesa, come i dissidenti. Si pone perciò con tutta serietà la questione se è ancora possibile una società ecclesiastica, in presenza di tendenze così opposte quali sono quelle causate dalla lotta politico-economica tra gli imprenditori orientati capitalisticamente e il mondo operaio orientato socialisticamente (comunisticamente). Forse lo spasmodico discorso di una comunità popolare ecclesiale ci illude su una realtà rotta in se stessa. Poiché le riunioni ecclesiastiche son diventate completamente vuote e senza significato pratico per il proletario. Anche un proletario inglese afferma:

“Nella chiesa il proletario sta affianco all’imprenditore e il parroco predica: Amatevi l’un l’altro. Ma il lunedì mattino l’imprenditore sta a fianco al fianco all’operaio con il suo nodoso bastone e lo minaccia : “Se non lavori quanto più duramente puoi, guai a te”. A chi debbo ora credere , alla parola del parroco che sta al servizio della società capitalistica, oppure alla dura , spietata esperienza della mia vita? Posso discutere le parole, ma non ciò che sperimento. La religione può tuttavia , avere un valore. Non lo so. Ma ci può convincere solo se essa significa qualcosa di pratico nella nostra vita”.

Da questo punto di vista le difficoltà che si frappongono sulla strada di ogni annuncio ecclesiastico sono insuperabili. La chiesa e il proletario si separano completamente l’uno dall’altro, verticalmente e orizzontalmente. Non bisogna negare che la parte della chiesa sono stati fatti alcuni sforzi per il superamento di questo problema. Ma per colui il quale si trova in mezzo al proletariato questi sforzi della chiesa, tutte le diverse tendenze sociali, le scuole sociali, i convegni sociali e qualsiasi nome abbiano questi tentativi, appaiono completamente senza senso e miserabilmente falliti come tentativi di equilibrare quelle tensioni, dapprima perché essi vengono condotti nel loro spirito che si propone a priori lo scopo di portare il socialismo, in quanto eresia, ad absurdum, e poi soprattutto perché (almeno finora) coloro che sono interessati, i dirigenti e la massa del proletariato socialista (comunista), non sono mai stati fatti partecipare, né ascoltando, né organizzando, a queste trattative. Il proletariato, trascurando i tentativi della chiesa, di giungere ad un accordo con lui, passa all’ordine del giorno perché non crede né alla serietà effettiva né allo scopo pratico di tali sforzi.

Porta ugualmente fuori strada, fidarsi come spesso succede, degli impulsi religiosi congeniti al proletariato più o meno nel senso in cui si dice: anche il socialista vive del cristianesimo: Anche il proletario si piega rispettosamente davanti alla figura del Salvatore. Perciò la predicazione di Gesù raggiungerà anche lui. No, non lo raggiungerà e la ricettività dell’operaio per la personalità di Cristo, vista chiaramente, potrebbe esse causa di poca gioia per il punto di vista cristiano. Noi aggiungiamo in riferimento a quanto detto nella parte II, capitolo IV: niente unisce così strettamente il proletario con la chiesa quanto la sua posizione nei confronti dell’uomo Gesù, e niente lo separa tanto dalla chiesa quanto la sua posizione nei confronti di Cristo, Figlio di Dio. Egli ama  l’uomo Gesù, respinge Cristo, Figlio di Dio. Egli non gli è necessario per la salvezza nel senso della chiesa. Non vuol sapere nulla della valorizzazione culturale-religiosa. In questo modo salta l’Assolutezza del cristianesimo per la coscienza proletaria. Per il resto, gli impulsi religiosi immanenti del proletariato, di cui bisogna ancora parlare in seguito, stanno scavandosi, in una misura decisiva, un altro letto per divenire fluide e attive in una direzione che non ha più niente a che fare con la chiesa cristiana.

4.

Tuttavia non si può negare che una parte dei compagni organizzati continua ad appartenere almeno esteriormente alla chiesa e che soprattutto coloro che passano al socialismo da un ambiente borghese, potrebbero attualmente non sentirsi inclinati a tagliare il filo esterno tra essi e la chiesa. Merita anche considerazione l’osservazione che il grido rivoluzionario contro la chiesa, i suoi ministri e i suoi fedeli non ha tanto il fondamento nel fatto che si tratta di cristiani, uomini religiosi, ma piuttosto per il fatto che in questa organizzazione , nei suoi impiegati e nei suoi aderenti si vede maltrattato, violentato il genuino , il vero cristianesimo. Così la lotta contro la chiesa diviene lotta per i genuini ideali del cristianesimo. In questi compagni (nonostante la posizione nei confronti della chiesa precedentemente schizzata) è viva la coscienza di una religione cristiana come ideale superiore e il socialismo viene valorizzato come il mezzo più significativo per realizzare l’umanità e l’etica che il cristianesimo predica. Noi dobbiamo designare questi compagni nei quali si può riscontrare, in parte, una sensibilità molto forte per il carisma profetico di Cristo, come socialisti cristiani e nominare il movimento che negli ultimi anni si è sviluppato in questo senso, il movimento del socialismo cristiano. Come simbolo di questo movimento risplendette sugli uomini che si incontrarono nell’agosto del 1926 nel convegno di Meersburg, un segno impressionante: la bandiera rossa con la croce nera. In questa immagine significativa è ben riassunto tutto l’essenziale. Il fuoco e l’ardore per la formazione del mondo che cova dietro il socialismo, la protesta e il grido di rivolta dell’umanità prostrata contro l’oltraggio alla vita, viene sentito e affermato come espressione di necessità. Non vengono santificate e benedette le forme in cui questa necessità si fa strada, si percepisce, invece, un originario spirito cristiano negli impulsi del movimento socialista e la possibilità di una organizzazione pratica della vita nel senso dell’ideale cristiano, nelle dottrine economiche socialiste. Non si può dir di più, poiché la lotta dopo un chiarimento astratto precede fermamente. Quanto ciò sia necessario, lo rivela il fatto che nella risposta al questionario non pochi compagni di questa parte proletaria hanno senz’altro compiuta l’equazione: cristianesimo e socialismo sono un’unica realtà. In ogni caso possiamo presentare come quarta osservazione il fatto che, all’interno del proletariato organizzato, vi è una schiera di uomini che noi dobbiamo nominare i socialisti religiosi.

5.

La chiesa si trova qui di fronte

La chiesa si trova qui di fronte a una svolta decisiva nel suo sviluppo. Qui si annunziano grandi compiti. Per quanto questi compagni respingano la chiesa nella sua forma attuale, essi appartengono ad essa e accettano il cristianesimo come loro religione. Potrebbe essere giusta l’opinione che parti molto importanti della massa di proletari non organizzati, ma seguenti la parola d’ordine socialista debbono secondo il loro fondamentale atteggiamento interno, annoverarsi tra i socialisti religiosi. E’ chiaro che solo questi compagni , siano essi organizzati o meno, saranno in grado di formare un ponte efficiente tra chiesa e proletariato. Un falso comportamento della chiesa nei confronti di questa parte del mondo operaio avrà come conseguenza che quel burrone si estenderà in separazione nefasta. Si pone dunque la domanda: che cosa deve accadere , che cosa deve fare la chiesa? Noi vogliamo accennare solo a un punto, non a partire da una “ideologia” qualsiasi , ma dalla realtà proletaria come si rispecchia nel nostro questionario.

Bisogna prima di tutto dire che tutte quelle manifestazioni ufficiali, sociali della chiesa, per quanto possano essere preziose per il pubblico ecclesiastico delle più diverse parti, tuttavia non sono assolutamente in grado di operare quella riconciliazione tra chiesa e proletariato . Poiché esse significano il tentativo di “avvicinarsi al mondo operaio” dal punto di vista e con i mezzi della spiritualità borghese e di liberare il proletariato dall’illusione del “marxismo materialista”. Tutti questi sforzi partono da presupposti totalmente falsi (il mondo operaio non vuole affatto essere liberato dal marxismo, vuole al contrario che la chiesa si apra alle enormi verità della visione marxista) e sono perciò solo buoni a inasprire ulteriormente i contrasti. Anche “parroci sociali” borghesi non sono affatto indicati per il lavoro di riconciliazione tra chiesa e operai. Per quanto essi possono andare incontro al “popolo” con grande gentilezza, tuttavia il giorno delle elezioni politiche, seguendo i loro sentimenti, si decideranno contro la lotta per la vita e l’economia del proletariato e perciò verranno considerati come ipocriti dai compagni e non saranno ritenuti neppure di un grado superiori agli altri preti. Simili parroci potranno far del bene all’interno dell’azione della chiesa, nel campo dell’assistenza caritativa, ma non sposteranno neppure di un passo nel senso della realizzazione il problema della comprensione tra massa e chiesa.

Bisogna dire, inoltre, che l’osservazione seguente ci è sempre più causa di preoccupazioni. Molti compagni affermano nel questionario che il loro restare nella chiesa è solamente legato alla speranza che tramite il movimento del socialismo religioso sia reso possibile un rinnovamento di tutta la chiesa. Uno scrive queste parole: “La conoscenza dell’esistenza della lega dei socialisti religiosi (cristiani) significò una liberazione interna per mia moglie e me”. In tale contesto si mostra sempre nuovamente la grande fiducia che il mondo operaio porta verso il ministro socialista. Quanto più chiaramente i compagni sentono che il parroco ha trovato la strada verso di loro a partire da convinzioni cristiane, si impegna con sincero entusiasmo per gli offesi e diseredati del popolo, combatte spalla a spalla con loro per una nuova organizzazione della vita, tanto più forte è questo legame di fiducia che poi lega anche in qualche modo con la chiesa, proprio tramite la persona del ministro. Il problema chiesa e proletariato , per quel che riguarda la separazione tra chiesa e socialisti cristiani, verrà sensibilmente portato vicino alla soluzione nella misura in cui alla chiesa riuscirà di risvegliare le forze qui necessarie e al momento deficienti, di far operare ministri socialisti, aiutanti della comunità e membri  dell’associazione nei punti scottanti della vita proletaria. Naturalmente qui non si può comandare e ordinare niente, si tratta di un processo di crescita a lunga scadenza che può essere, però, essenzialmente frenato o sostenuto dalla chiesa. Molto dipenderà dalla visione che qui prevarrà.

Naturalmente l’accettazione degli operai cristiano –socialisti nel lavoro ecclesiastico comporterà gravi scosse alla vita comunitaria. Ma non si può impedire che il socialismo cristiano si risvegli in qualche modo ai compiti ecclesiastici e alla loro organizzazione dato che la chiesa e cristianesimo devono stare , in qualche modo, in una necessaria connessione. Se la chiesa frena questo processo oppure , come attualmente , a causa del suo essere legata ai detentori del potere – ecclesiastico persiste in uno stato di attesa poco benevolo, allora questo comportamento avrà come conseguenza di spezzare il tenue filo della fiducia proletaria nelle forze cristiane operanti nella chiesa , di spezzare la speranza in un rinnovamento della vita ecclesiastica, che allora il proletario esca dalla chiesa e con questa uscita è congiunto un pericolo molto più grave , cioè la possibilità , che bisogna senz’altro tenere presente, che il proletario con lo sradicamento della chiesa vada perduto addirittura per il cristianesimo , abbia tanto più facilmente luogo il passaggio a quella parte di proletariato che, eliminato il cristianesimo, ha scritto sulla bandiera la parola d’ordine la nostra religione è il socialismo.

6.

Questa è ora l’ultima osservazione che noi vorremmo sottolineare ancora una volta in connessione con quanto detto a pag. 207 ss. Dall’andirivieni spirituale, dal processo di trasformazione nel quale si trovano i simboli religiosi all’interno del proletariato, questo strato sociale si segnala, forse, ancora nel modo più chiaro. Esso è fortemente proletario nel senso della necessità sociale e dell’amarezza sociale. Un sordo impulso vitale combatte per venire a chiarezza, e la maledizione dell’esistente ordinamento capitalista si fa sentire più forte in esso, poiché questo ordinamento e la sua durezza inumana, distruggitrice della vita vengono esperimentati nuovamente ogni giorno nella immediata situazione vitale. Lo sbarramento – per spirito di classe- dalla sfera borghese e dalle sue forme di vita viene proclamato qui nel modo più chiaro. Questi compagni han posto il loro cuore e la loro passione, tutte le loro forze di sentimento, la loro più interna ansia e speranza sul mondo del socialismo. Esso non viene tanto accettato e portato avanti con la mente quanto piuttosto istintivamente. Esso viene perciò assolutizzato e rappresenta la sconvolgente esperienza interna dei compagni.

Bisogna anche dire, però, che questa collocazione religiosa, sentimentalmente di una parte della massa verso il socialismo non viene in genere condivisa dai dirigenti e portavoce del movimento proletario per il fatto che molti temono uno spostamento dei fini e una confusione del pensiero socialista. In genere è il nome religioso e le formulazioni religiose che suscitano scandalo. In effetti, questi dirigenti portavoce in modo diverso e senza quelle formulazioni predicano la stessa religione, in quanto anche per essi il socialismo e la sua realizzazione è divenuto il supremo scopo della vita e l’oggettivazione di un senso ultimo del mondo. Questa religione del socialismo mette radici nella massa e lotta per giungere allo stato cosciente in una parte della massa. Sono state già tentate anche fusioni organizzative, forse troppo presto e perciò senza giusto legame alla coscienza della massa. Incontriamo questa religione in molte risposte date al questionario, ma siamo convinti che forti contingenti di coloro che non hanno affatto risposto devono essere considerati come fedeli del socialismo nel senso di aderenti a questa religione proletaria. Similmente vi appartengono anche molti liberi pensatori proletari. Essi, spesso inconsciamente, sono seguaci di questa religione. D’altro canto, quando lo spirito libero del mondo borghese si ripercuote nelle file del proletariato , proprio dal libero pensiero si affaccia il pericolo della desantificazione, della chiusura interna, e propriamente come dice Tillich, lo spirito della finitezza gloriantesi in se stesso, che domina tra la borghesia e che annienta semplicemente ogni entusiasmo religioso e ogni profondità. E’ un’osservazione fatta da noi in modo diverso, che compagni socialisti (religiosi nel senso della religione popolare socialista) non si trovano internamente a loro agio in circoli proletari del partito, di libero pensiero , ma cercano piuttosto di unirsi ai socialisti cristiani, benché neppure qui  potranno essenzialmente trovare un appagamento definitivo, tranquillo, interno. In ogni caso gli aderenti alla religione popolare socialista non sono da sottovalutare per il loro numero, ed uno di loro l’ha espresso, una volta, molto istintivamente : “il socialismo è la religione delle masse del futuro”.

Tutte le valorizzazioni sentimentali e le aspirazioni sociali qui integrate e il singolo non si pone qui solo personalmente, ma sempre in unione con il tutto. Risuona tra le generazioni del presente il grido verso la comunità, verso una fratellanza generale degli uomini, come con l’ultima forza e con disperazione mortale. Il carattere obbligatorio, estendendosi a tutta la terra di questa religione fa paura. E’ grandioso il quadro sul quale si levano mani bisognose in tutti gli angoli, spigoli, paesi e popoli per una solidarietà umana generale. E il canto impetuoso dei proletari: fratelli, in alto verso il sole, verso la luna, fratelli in alto verso la luce! Non è solo un grido di battaglia del movimento, ma è anche attraversato dallo spirito infuocato delle religione. Ci si può girare e voltare, come si vuole, si può gridare mille volte: non c’è una religione socialista! In questo modo non si elimina dal mondo il fatto che per milioni di proletari” il vangelo non significa niente e il socialismo tutto”. Questi proletari dobbiamo chiamarli (e così concludiamo le nostre osservazioni  dal punto di vista che qui a noi interessa e per evitare confusione nella classificazione, socialisti religiosi in senso stretto.

II
Prospettive? – Bisognerebbe essere profeti per vedere la presenza del futuro nella realtà presente. Noi possiamo solamente dire che questa realtà da parte della organizzazione ecclesiastico-religiosa sta sotto il segno della lotta e delle tensioni. Perciò il quadro di confusione nel quale si rispecchia la situazione presente. Ma ogni lotta chiama la pace e ogni tensione tende alla soluzione. Dobbiamo rinunciare a indicare soluzioni che sono in ogni modo giuste e parlare di una pace che verrà in ogni modo. Noi ci accontentiamo di guardare solamente il presente agli occhi e ci consoliamo con la coscienza che colui il quale ha capito il suo tempo può andare tranquillamente incontro al futuro. Perciò vogliamo concludere le nostre considerazioni, tentando di addentrarci nella lotta spirituale dei nostri giorni e di chiarire a noi stessi, dal punto di vista della religione come in un compendio, le diverse tensioni di cui è piena la vita del proletariato e la vita della chiesa.
1. Le tensioni all’interno del proletariato
All’interno del proletariato una parte decisiva dei compagni è dominata dal libero pensiero. Chi conosce la storia e lo stato attuale del movimento dei liberi pensatori, saprà che anche all’interno di questo movimento lo sviluppo non è stato univoco e rettilineo, che piuttosto resta sempre ancora la tensione tra la parte, piccola per numero, di liberi pensatori religiosi che accettano la religione in un modo libero e agli altri compagni che negano semplicemente tutto il religioso. Anche all’interno del proletariato organizzato, per quanto appartiene al libero pensiero, come abbiamo già accennato precedentemente , si può constatare il fatto che alcuni compagni che si definiscono liberi pensatori proletari, nel senso della nostra esposizione sono piuttosto da annoverare tra i compagni che noi chiamiamo socialisti religiosi. Questo gruppo si trova in forte tensione con i socialisti cristiani, con i compagni , dunque, per i quali il socialismo non è simbolo religioso, non è niente che si possa rapportare, senza mediazione, a senso fondamentale di tutte le cose in un rapporto di necessità. In fondo si tratta in questa tensione della lotta spirituale tra due potenze della storia che, come nient’altro, han mosso e muoveranno l’umanità nelle sue profondità ed altezze: cristianesimo e socialismo. Dobbiamo osservare quanto segue: ogni religione nel suo insegnamento , nelle sue formulazioni si pone assolutamente, vale a dire è missionaria ed è necessariamente intollerante. E’ naturale che quelle due potenze che riempiono la storia e il tempo, il cristianesimo e il socialismo possono percorrere insieme un buon tratto di strada, che nei loro scopi etici (“non uccidere”, santità della vita, pensiero della fraternità ecc) mostrano straordinari punti di contatto, che molto è passato, rispettivamente passerà dal mondo del cristianesimo nel mondo del socialismo che deve essere ancora completato dogmaticamente , come una volta anche il cristianesimo primitivo ha assunto e tramandato materiale di formazione contemporanea, alcuni pensieri e rappresentazioni della filosofia greca oppure di altra origine (culto di Mitra). Ma tutte e due le grandezze, cristianesimo e socialismo, vengono ora concepite religiosamente. Esse tendono agli uomini e alle masse e devono , in fondo, essere nemici, dato che ogni grandezza vuole occupare l’anima per sé sola. Dovrà sopravvivere fra le due una lotta per la vita o per la morte, proprio come il cristianesimo primitivo dovette combattere questa battaglia decisiva, nonostante le sue straordinarie affinità con l’etica della filosofia greca. L’anima dell’uomo non può essere riempita completamente, nelle profondità in cui si trova il santo, da tutte e due, dagli ideali del socialismo che si comprende come religione. Qui vi è solo una unità e uno o-o. In questo contesto, in una sfera , dunque, del religioso-sentimentale, è in parte vero che il cristiano molto difficilmente può aderire veramente al movimento socialista, che lì deve sentire solamente tollerato, che li può ottenere solo con estrema difficoltà un diritto di acclimatazione. D’altro canto, troviamo qui la spiegazione alle dichiarazioni di alcuni compagni che non appena essi vennero in contatto con il socialismo, il cristianesimo finì per loro. Nessun uomo, difatti, può appartenere a due religioni dato che ognuna di esse pretende tutto l’uomo per sé. Capiterà necessariamente che quando la seconda religione è divenuta santa per l’uomo, egli sarà infedele alla prima e si libererà di essa. “Nessuno può servire a due padroni. O odierà l’uno e servirà l’altro. Oppure aderirà all’uno e disprezzerà l’altro.”
La confusione della situazione attuale viene condizionata dal fatto che questa liberazione dal campo cristiano si è già verificata da lungo tempo presso moltissimi compagni, ma questo mutamento dello stato della loro coscienza, del fondamento della loro fede non è divenuto chiaro per loro nel senso che ora accettino anche le conseguenze esterne e completino l’uscita dal tempio della vecchia religione (il cristianesimo). Si può comprendere dialetticamente questo perseverare nelle vecchie forme come la contraddizione di vivere il nuovo, come una tensione che deve esserci in favore di una conoscenza superiore (sintesi). Tuttavia bisogna anche dire che ogni principio dialettico viene meno di fronte al sorgere di una religione, nei confronti degli effetti di impulsi religiosi. Questi sono sempre e completamente imprevedibili. Essi, se bisogna parlare di un rapporto logico, non si lasciano catalogare né nel rapporto di causa ed effetto (causalità), né di quello degli opposti che porta ad una unità superiore (Dialettica). Essi si lasciano piuttosto comprendere come il senso progrediente dell’immediato ed eterno in una catena di forme susseguentesi, il cui destino è di sottomettersi allo spirito della finitezza in esse dimorante, risolversi in se stesse nella lotta e nel dolore ed essere ingoiate da nuove forme di vita. Visto così il rapporto tra cristianesimo e socialismo, resta solo: la lotta per la vita o la morte. Da qui si diffonde una nuova luce sull’inimicizia della chiesa contro la socialdemocrazia. E’ come un istinto sicuro di colui che sente che di là spira alito di morte per il suo essere più intimo. Non nel senso che la socialdemocrazia “aizza” le masse e le conduce al “materialismo”, ma nel senso molto più ampio che essa deve semplicemente annientare le chiese , poiché pone un nuovo assoluto al posto del vecchio o piuttosto comprende l’assoluto in una nuova forma di vita, perché essa in questo modo annuncia un nuovo vangelo al posto del vecchio, il vangelo della liberazione con le forze che il socialismo risveglia nell’umanità.
I socialisti religiosi sono essenzialmente impegnati in questo fluttuare e lottare. Essi verranno considerati all’interno dei partiti e dei sindacati di poco valore, come mezzi socialisti o cattivi cristiani. Questa valutazione è per noi di nessuna importanza, fin quando si accompagna alla nota specie di libero pensiero che è contraria a tutto il religioso. Ma noi riteniamo di essere autorizzati, in base all’esposizione fin qui fatta, a ritenere che quel disprezzo dei socialisti cristiani sia, molte volte, causato dall’intolleranza che è congenita ad ogni nuova, forte esperienza religiosa, che effettivamente i compagni per i quali il socialismo è divenuto l’esperienza religiosa decisiva non possono fare a meno di considerare tutti gli altri compagni, soprattutto i socialisti cristiani, come lottatori per la vita non ancora completamente svegli, come compagni che non hanno ancora compreso il senso vero del movimento socialista. Naturalmente, anche dall’altra parte, nelle file dei socialisti religiosi, non mancano simili scoppi di intolleranza. In modo dispregiativo si parla qui della “religione sostitutiva del socialismo”: “Ah, questa è una miserevole, secolarizzata religione della felicità dove Dio è diventato la sana ragione dell’uomo, che s’incarica freddamente della formazione del mondo senza demoniaco, senza estasi, senza slancio delle anime, calcolando solo l’utilità. Bisogna opporre una difesa energica a queste pretese di voler mutare il mondo in un regno di giustizia e ragione, per così dire, con mano piatta. Tali religioni illudenti ed idolatriche debbono essere smascherate. Bisogna sempre nuovamente presentare loro il socialismo nella sua profanità, senza alcuna apparenza di santità in tutta la sua peccaminosità, affinché sian resi impossibili tali tentativi di idealizzazione religiosa”. Ancora non si è imparato ad accettare il fatto che per molti compagni vi è stata effettivamente una rottura definitiva, che partì dal proletariato sono andate definitivamente perdute per la religione cristiana e che gli impulsi religiosi sono presenti ed integrati in quell’abbozzo di opera nuova e nel movimento socialista son divenuti una fiamma santa che risplende a innumerevoli proletari come la luce della loro vita, tanto che al confronto tutti i fuochi degli altri si sono spenti nella loro coscienza. Ma anche all’interno dei socialisti cristiani si notano tensioni di ogni genere. Esse hanno il loro fondamento nella rispettiva formulazione religiosa. Quest’ultima oscilla tra forme radicali e liberali fino alle formulazioni di una moderna teologia ortodossa, di cui però non si può dire con sufficiente chiarezza come essa insegni completamente nel vuoto rivolgendosi alla capacità di comprensione del moderno proletariato della grande città, liberatosi da tutti i vecchi legami, come inoltre causi la più forte reazione nel proletariato a causa della sua combriccola con la teologia dominante la vita ecclesiastica delle classi possidenti. Perciò i socialisti cristiani che si trovano sotto il segno di questa teologia non hanno alcuna forza di incidenza nella massa proletaria, ma operano solo nelle regioni –limite in cui si confondono gli elementi proletari e borghesi. La forza d’influsso del socialismo cristiano cresce nella misura in cui esso si libera dalle formulazioni della teologia ecclesiastica e dagli appesantimenti causati dalla chiesa, si orienta verso la realtà della vita e valorizza il socialismo come adempimento parziale del cristianesimo, come pietra di costruzione per il regno della nuova società. Di ciò, tuttavia, non vuol sapere niente lo strato di coloro per i quali il socialismo in quanto tale è finito oppure è divenuto fortemente problematico e che perciò anche al di là della linea di confine che tirano le parole socialismo e proletariato, quindi nel vasto campo della borghesia raccolgono tutti gli impauriti, vedono in tutti gli impauriti la schiera di combattenti per il regno di Dio. Ora è al di sopra di ogni dubbio che membri dello JUNGDO possono essere mossi, nella corrente degli avvenimenti contemporanei, da potenti forze religiose. (L’abbiamo potuto occasionalmente constatare in maniera chiara nella celebrazione della festa ecclesiastica di Pasqua). Ugualmente è al di sopra di ogni dubbio che membri dell’associazione dei combattenti del fronte rosso (lo sentimmo molto interessante in occasione di un funerale per un giovane comunista entusiasta caduto nelle lotte sulle strade) possono appartenere a coloro che sono più profondamente scossi, in cui rivivono potenti energie, indirizzate escatologicamente. Ma sarà molto difficile trovare qui una linea comune di esperienza interna e ancora più difficile trovare qui una linea comune di esperienza interna e ancora più difficile trovare qui una linea di collegamento con l’esperienza generale cristiano-religiosa che, in ogni caso, non ha niente a che fare con spirito di vendetta e spirito di violenza. In questo gruppo di socialisti cristiani vi è quindi bisogno di una riflessione e limitazione progressivo-religiosa. Anche la domanda sulla chiesa non è chiarita, bensì discussa tra i socialisti cristiani. Tuttavia si fa sempre più strada la convinzione, dato che cristianesimo e chiesa si trovano in una necessaria connessione, che bisogna impegnarsi attivamente per la formazione della vita ecclesiale, che il proletario deve esser condotto a prender coscienza del suo compito ecclesiale, che bisogna accettare la tensione tra profondità religiosa e necessità di agitazione e prender parte alle votazioni ecclesiastiche, che bisogna far valere, per questa strada, la propria nuova esperienza anche nelle associazioni e sinodi ecclesiali. Tuttavia vi è, inoltre, un gruppo di coloro che senza attenersi alle formulazioni della tradizione cristiana, si trovano come nella piena corrente del tempo e da un atteggiamento generale fondamentalmente religioso cercano di comprendere ed ordinare il tutto con una responsabilità profondamente sentita. Per questi socialisti orientati più intellettualmente la domanda sulla chiesa non è più scottante. La chiesa è divenuta per essi assolutamente irreale. Tuttavia non si può , d’altro canto, dimenticare che anche queste persone, anche se seguono in forma radicale una “religione senza Dio e senza l’al di là”, hanno desunto le più tenaci radici della loro forza dal fondo di vita protestante, che essi non possono essere in nessun modo considerati come portatori della religione proletaria, come noi li abbiamo definiti.

2. La situazione della chiesa
Non diverso è il quadro all’interno della chiesa. Anche qui vi è lotta e tensione, suscitate dal proletariato che bussa alle porte della chiesa desiderando entrare od uscire.
Il movimento di uscita che viene essenzialmente combattuto dal popolo lavoratore scuote potentemente le fondamenta della chiesa. Negli anni 1919/1924 uscirono 1.111.359 evangelisti dalla chiesa. Se si sottraggono coloro che son ritornati, resta sempre una perdita di 1.020.505 membri per lo spazio di soli sei anni. Di fronte a queste cifre il risultato inizialmente comunicato delle nostre precise ricerche sull’appartenenza alla chiesa non dovrebbe più meravigliare. Ha proprio ancora senso e fine parlare con tanta enfasi di una chiesa popolare in questa situazione e nella evidente, perdurante disgregazione? Dall’altro lato, queste cifre rafforzano le nostre riflessioni. Dato che la dimensione religiosa è una funzione della nostra coscienza umana, non può venir meno naturalmente non ha più niente a che fare con la chiesa, anzi appartiene, forse, a una associazione ateista! Così le energie religiose divenute libere vanno avanti e proliferano nel popolo. Lì dove esse si incontrano con la nostalgia del socialismo, è pronto il terreno sul quale irrompe la religione del socialismo.
Ma intanto il socialismo cristiano deve adempiere ancora una missione per la chiesa. In questo contesto ci sembra essenziale indicare ancora una volta che numerosi proletari sperano in un fondamentale rinnovamento cristiano-socialista. Nel momento in cui vien meno questa speranza ed escono dalla chiesa vengono perduti per il cristianesimo – bisogna sempre tener presente questa possibilità. Qui si presenta un compito serio e grande alla cristianità. Potrà essa essere recepita ancora una volta come chiesa popolare e come forza della vita pubblica, come la coscienza sociale del nostro tempo? Sarà accettata con comprensione la mano che i proletari cristiani tendono alla chiesa?
Vedrà e comprenderà la chiesa i segni dei tempi? Non le sarà, forse fatale che essa è, come sembra, irrimediabilmente inserita e legata con tutta la sua struttura a potenze che sono divenute nemici mortali del proletariato? Non appare, perciò, segnata la sorte della chiesa popolare evangelica? Il futuro della chiesa si presenta a tinte fosche . Il suono delle sue campagne si dissipa nella tempesta che rumoreggia intorno ai suoi campanili.
Nuove tensioni si mostrano lì dove i socialisti cristiani sono entrati nelle associazioni e sinodi ecclesiastici e sono divenuti portatori della vita comunitaria ecclesiastica. Proprio qui nel tentativo di lavoro all’interno della chiesa si fanno sentire più volentieri i contrasti tra i socialisti cristiani e gruppi cristiano – borghesi. Così il lavoro all’interno della chiesa viene necessariamente ridotto a una lotta per il potere ecclesiastico. Se la base ecclesiale su cui si trovano i socialisti non si estende precedentemente , l’elemento proletario resta sempre insignificante nella comunità. Frattanto i vecchi detentori del potere ecclesiastico impediscono continuamente ai socialisti l’accesso alla chiesa. Poiché essi, come stanno ora le cose, controllano dappertutto la maggioranza, la minoranza viene continuamente battuta dalla maggioranza nelle votazione. E’ chiaro che ciò , a lungo andare, verrà sentito come sopruso e che una tale esperienza riduce ancora la già scarsa volontà di lavorare nella chiesa dei socialisti. In realtà il persistere in una opposizione forzatamente infruttuosa, la sconfitta elettorale in tutte le proposte decisive (per esempio nelle elezioni dei parroci) ad opera della maggioranza ecclesiastico-borghese, il dover partecipare a rappresentazioni ufficiali, ecclesiastiche che non suscitano alcun eco interno e significano la negazione di una migliore comprensione, l’essere spinti, costretti in forme ecclesiastiche (liturgia e costrizione confessionale) tutto ciò e ancora altro è una prova dura, pesante per la forza e la pazienza del proletario cristiano. Vi sono numerose riunioni che sono pressoché una tortura per i rappresentanti socialisti della comunità. Inoltre esse impongono un doppio superamento a colui il quale nel suo cuore ha forse perso la fede nel cristianesimo, senza esserne ben reso conto ed è divenuto già da socialista cristiano un socialista religioso.
In ogni caso, in base a questi contrasti non si può affatto parlare di una comunità ecclesiale. Non vi è qui una comunità, bensì, nel caso migliore, solo una comunità d’interessi in rapporto alla vita ecclesiastica esterna. Dato che la lotta del proletariato per il diritto di voto ecclesiastico è solo di recente data, non si può dare un giudizio definitivo se per questa strada viene pianificato quell’abisso tra chiesa e mondo operaio e può essere formata una comunità ecclesiastica popolare. Forse sarà necessario di fronte alle grandi difficoltà accennate, percorrere, per un certo tempo di transizione, (se la chiesa ha in sé veramente una seria volontà di giungere a una chiesa popolare) anche l’altra strada che è stata presentata nel 1920 all’assemblea ecclesiastica costituente prussiana del memorandum di Neukoelln dell’associazione dei socialisti religiosi (cristiani): la formazione di singole comunità proletarie, libere, all’interno dell’unione ecclesiale nei punti focali della vita industriale. Per questa strada il proletariato cresce organicamente e in piena, autonoma attività nei suoi diritti e doveri ecclesiastici. D’altro canto, vengono evitate, in questo modo, gravi scosse alla vita della comunità e viene ugualmente evitato il pericolo che alcune volte si vede sorgere nella situazione esistente che con la amarezza e la passionalità con la quale si giunge all’accomodamento dei contrasti, vengano lacerate e sconvolte le rispettive corporazioni ecclesiali.
Vogliamo chiudere con il richiamo che, come in tutti gli altri campi della vita, la via del proeltariato verso l’alkto, cioè verso una attiva partecipazione al processo culturale è stata e resta una via spinosa, così anche all’interno della chiesa la via del proletariato quale portatore cosciente e formativo della vita comunitaria continuerà attraverso molti impedimenti e delusioni, molti errori e confusioni , molte oppressioni e abusi. Consola sola la consapevolezza che solo in tali tempeste e guai maturano le forze per il superamento. In fondo ogni tempesta e pena, ogni lotta e contesa si comprendono come destino di coloro che si sentono responsabili, che sentono un nuovo in sé e son chiamati come da un santo dovere a organizzare vivamente questo nuovo. Questo è il servizio che il proletariato presta, deve prestare alla vita con tanto sacrificio. Ma su di lui risplende come un’aurora: la fede in una comunità di coloro che sono di buona volontà.
SULLA TEOLOGIA ODIERNA
ALCUNE ANNOTAZIONI PROLETARIE
L’impressione che il proletario marxista riceve dalla teologia attuale, per quanto egli cerchi di comprendere. È molto deprimente. La nostra teologia è simile a una foresta vergine in cui tutte queste opinioni si ammassano caoticamente l’una sull’altra. Come bisogna ritrovarsi in questa foresta vergine e pazza; vecchia di molti secoli, in questa confusione di visioni di fede contraddicentesi l’un l’altra? Quanto diversamente viene concepito di cristianesimo nel suo nocciolo essenziale! Quanti sistemi di dottrine e scuole di teologia si combattono inesorabilmente! Non ci si capisce perché ci si è ipostatizzati formalmente nel “discorso” e nel “pensiero” ed ora si parla invano di diverse lingue e concetti. Tutte le possibilità di pensiero esistenti sembrano esaurite. Non si poteva semplicemente andare avanti, e sembrava che la nostra teologia si fosse ostinata al termine, venne data una efficiente parola d’ordine. Essa diede un determinato indirizzo ai nostri teologi di controversia. Si cercò di orientarsi nuovamente verso Lutero, verso le verità fondamentali dei riformatori. Vennero esaminati ancora una volta vecchi ragionamenti e gli entusiasti credettero di scorgere in essi, come in uno specchio magico, il vicolo cieco nel quale, secondo la loro opinione, errava la nostra teologia da due secoli. Venne maledetta la teologia dell’illuminismo e vengono gettati, come ferro vecchio, i pensieri di uno Schleiermacher, di un Troeltsch e di un Adolph von Harnack. La trascendenza di Dio cresce gigantescamente davanti a noi. Ci si bea di “penitenza” e “giudizio”, “grazia” e “redenzione” e le parole “dogma” e “chiesa” vengono scritte a grandi lettere. In questo modo il proletariato riceve una precisa impressione di questa teologia, propriamente l’impressione: “Si può lottare eccellentemente a parole, preparare un sistema a parole”. E’ causa di spavento per esso l’impressione venuta meno la considerazione per ciò che avviene nel mondo che a questa teologia sia semplicemente al di fuori del campo visivo del campanile della loro chiesa, ciò che lo riguarda così profondamente e penosamente. Ma non ricevono questa impressione solo i nostri proletari coscienti, interessati religiosamente. La condividono anche una grande schiera di membri borghesi. Questo vien fuori chiaramente in molte conferenze di parroci. Si ascolta in verità molto volentieri una conferenza sulla teologia “moderna”. La sua punta ortodossa soddisfa pienamente il parroco medio. Non si vuole apparire non-moderni. Si sa bene che questa teologia domina attualmente nelle nostre università. Ma sul fronte più ampio si fa viva anche l’opposizione. Si rimprovera l’inutilità pratica ai nostri neo-ortodossi, i cosiddetti teologi dialettici, e per il resto resta tutto come prima, vale a dire il parroco che assume l’incarico si prepara la sua propria teologia. Visto dal punto di vista marxista, ciò significa: concepire il mondo della Bibbia a partire dalla propria posizione sociologica. Egli annuncia il cristianesimo dal pulpito , in buona fede, ma socialmente legato alla borghesia. Il benessere borghese è il suo proprio benessere e così avviene che la morale borghese diviene per lui – senza essere conscio – semplicemente morale cristiana. Più o meno combattivamente viene respinto come non cristiano tutto ciò che si oppone alle visioni della classe alla quale egli stesso appartiene socialmente –economicamente.
Di conseguenza il marxista è imponente e scuote la testa di fronte alla nostra teologia. Per lui essa è uno spirito di vuote parole. Manca ad essa il rapporto alla vita reale, al mondo dell’economia e ciò che riguarda profondamente la grandissima maggioranza degli uomini nella professione, nella lotta per l’esistenza e che essi sentono come del tutto essenziale. Che deve farsene il proletario che, disoccupato, abita con i suoi in un freddo, umido buco sotterraneo nel terzo o sesto cortile posteriore, mezzo morto di fame e ammalato, dei ragionamenti di una teologia che è atta a portargli via l’ultimo resto di forza di volontà, di rabbia combattiva, di passione rivoluzionaria e che, del resto, contraddice pienamente a ciò che egli conosce con la ragione e che gli sta chiaro e distinto davanti agli occhi? Egli non trova in essa nessun punto di appoggio, di sostentamento per il suo pensiero poiché tutto ciò che vaga nell’aria e procede “irrazionalmente”. La nostra teologia odierna è ostentatamente “irrazionale”. Essa vive delle forze che sono al di là del razionale nelle profondità dell’inconscio. Il proletario, invece, si pone criticamente. Egli non aderisce ad una teologia che gli si presenta in atto di pretesa, ma con sufficiente chiarezza di termini. Si lasciano piuttosto tirare linee di riferimento tra il mondo spirituale dell’operaio e la teologia dell’anteguerra, precisamente quella teologia che era orientata in senso critico e nel senso della storia delle religioni e che è più o meno legata ai nomi di Troeltsch e Adolph von Harnack. I rappresentanti di questa tendenza si sforzano onestamente di liberare la chiesa della vecchia immagine del mondo, di comprendere il cristianesimo secondo la storia delle religioni e la Bibbia criticamente e di stabilire l’accordo tra fede e scienza, religione e vita, chiesa e mondo. Il proletario che vuole comprendere e conquistare il mondo avrà sempre comprensione per questa teologia. Essa si trova sul suo stesso piano. Può seguire ai suoi ragionamenti e li può anche ampiamente condividere. Al contrario egli si trova in una difficile posizione nei confronti della teologia “moderna”. Essa è per lui un libro magico con sette sigilli. Gli mancano tutti i relativi presupposti teologici per poterla comprendere. Per lui, per esempio, “l’assolutamente Altro”, il Dio pensato trascendentalmente non è l’autorità senz’altro indiscussa che non si può discutere e spiegare. Ma possiamo dilucidare ancora con altre questioni principali di cui si tratta nella teologia moderna le tensioni che sussistono nei confronti della coscienza proletaria. Queste tensioni sono di genere formale e contenutistico.
INDIETRO?
Senza dubbio la teologia moderna è stata suscitata dalle profonde scosse dell’anima connesse con la guerra. Essa incarna una reazione non solo alla chiesa legata alla guerra e allo stato ma anche alla falsa beatitudine culturale che dominava la cristianità prima della guerra. Senza dubbio la situazione della chiesa e della teologia alla fine della guerra mondiale erano sconsolanti. La sua completa inettitudine a trovare una via d’uscita doveva essere superata da un ritorno alla “teologia luterana”, da un ripensamento delle verità fondamentali della riforma. Venne “riscoperto” il luteranesimo che rivisse il suo “riconoscimento”, la sua rinascita. Questo ritorno alla eredità dogmatica della riforma è divenuto indiscutibilmente la caratteristica più spiccata della nostra teologia dal 1918, benché questa teologia non sia in sé qualcosa di unitario e benché si debba anche dire che gli stessi riformatori – se pensiamo, per esempio, a Lutero, Zwingli e Calvino – avevano opinioni fortemente divergenti su punti importanti. Dobbiamo ora comprendere che, considerato dal punto di vista puramente formale o spirituale, questo ritorno all’eredità teologica di un tempo già sepolto da secoli deve suscitare le più forti reazioni nel proletariato orientato verso il futuro, favorevole al progresso. Già il non proletariato potrebbe seriamente domandarsi: questo “indietro” non contiene una rinuncia? Non è paura di fronte ai compiti del presente , una fuga romantica nel passato? Non è simile ad una via d’uscita alla perplessità, della disperazione? Non vi è un “avanti” nella teologia protestante? Dobbiamo arrampicarci alle sorgenti gocciolanti, sempre e solo faticosamente elemosinando, invece di navigare con la nave della vita sull’onda del tempo seguendo la corrente del mare? Questo “indietro” suscita reazioni intime, schiette, del tutto insuperabili alla coscienza proletaria. Questo “indietro” significa per colui che considera la vita spirituale e quindi anche religiosa di un tempo in stretta connessione con la vita sociale-economica di questo tempo, l’attualizzazione della schiavitù, della servitù della gleba, della morale dei signori, dell’ordine corporativo piccolo-borghese, di gerarchie e dispotismo della peggiore specie, Perciò l’operaio marxista non può collaborare a questo “ritorno alla Riforma”. Tutto in lui vi si oppone, s’impenna contro questa passeggiata spirituale nel paese del passato. Aspettiamo ancora una storia della chiesa, scritta secondo il modo di pensare del materialismo storico. Ma proprio l’era delle riforme potrebbe essere, dal punto di vista del materiale, una miniera particolarmente ricca e i suoi risultati giustificherebbero, secondo me, il punto di vista proletario secondo cui è falso misurare e normare in modo decisivo la vita del presente secondo parametri religiosi del passato. Ogni tempo vuole essere compreso a partire da se stesso nel suo nocciolo più intimo, nel suo contenuto immediato ed eterno. Questo contenuto immediato ed eterno, come si rispecchia principalmente nello sviluppo della vita spirituale, non conosce marce indietro, ma solo in avanti. In questo contesto è fondato il diritto interno del proletariato di respingere fondamentalmente quell’”indietro”. Non vuole bearsi, felice, di quei pii pensieri di un tempo passato, ma interroga il battito religioso del presente se e fino a che punto religione e cristianesimo, chiesa e teologia possono ancora essere possibili ed attivi nell’odierno processo di produzione.
PECCATO ORIGINALE?
A questi ostacoli di genere se ne aggiungono altri di genere più contenutistico. Essi riguardano il contenuto di questa teologia “riscoperta”, neoortodossa, antico-luterana. Essa stabilisce il contrasto tra Dio e l’uomo, chiesa e mondo, bibbia e realtà. Ma il marxista chiede con quale diritto ciò avviene e con quale diritto deve essere valido oggi ciò che si rivelò necessario al tempo di Lutero in rapporti sociali e politica economica completamente diversa. Il marxista nega la validità generale di idee religiose rivelatesi un tempo. Piuttosto queste acquistano continuamente nuova forma, proprio come la società umana è sottoposta ad un continuo processo di trasformazione con il continuo mutamento delle forze produttive. Tutto è sempre in divenire, anche la formazione della teologia, e la corrente che ci porta non conosce marcia indietro, ma solo in avanti. Il ripensamento della teologia della riforma ha per il proletario solo un valore mediato, prevalentemente storico.Ma egli non può essere influenzato da essa decisivamente nella sua coscienza religioso odierna, per niente, poi, quando quel ripensamento avviene in maniera tale che la cultura vitale, materiale, contemporanea viene trascurata nel suo significato centrale anche per la formazione delle realtà ecclesiastiche. Inoltre il marxista è mille miglia lontano dal condividere il giudizio pessimista sul mondo è sull’uomo, proprio del luteranesimo. Questo può inizialmente sembrare strano. Se mai qualcuno aveva motivo di divenire pessimista, questo doveva essere il proletario. Esperienze amare gli gridavano e gli gridano letteralmente in faccia che l’uomo è un lupo e la terra una valle di lacrime per lui. Ciò non di meno, egli ha lottato per una visione diversa con una ardente brama esistenziale. Il mondo in se stesso non è né buono né cattivo. Solo l’amministrazione di questa terra ad opera dell’uomo è malvagia e cattiva. Ma egli vede in lontananza un altro stato di cose. Sente che le forze che lo spingono avanti devono essere completamente opposte alle forze che egli vede ora attive nel mondo e nell’umanità. Perciò la sua confessione di fede è, come l’ha formulata Leonhard Frank , nel titolo di uno scritto: L’uomo è buono! Non vi è dunque posto nella coscienza proletaria per la dottrina del peccato originale e della creazione caduta. Il suo riconoscimento significherebbe per lui la rinuncia ad una nuova organizzazione della società umana e della divisione dei beni terreni. No, egli sente legato a questa terra, aggrappato a questa vita, si sente sempre più come uomo dall’al di qua e rinuncia perciò con gioia ad un pareggio di tutte le stupidità ed ingiustizie esistenti in un nebuloso al di là. Il proletario marxista cadrebbe subito al suolo, perderebbe il suo equilibrio se volesse pensare diversamente, se volesse dire un sì ed un Amen al dogma luterano della caduta e del peccato originale che è nato da un senso di colpa individuale (Lutero: “come aver un >Dio pietoso”) né permette un senso gioioso del mondo e la fede nell’uomo. Tanto meno può egli accettare amichevolmente questo dogma per il fatto che sta sotto il sospetto che è divenuto comune tra il proletariato marxista. Esso fiuta in quel dogma un inganno di cui si serve la classe dominante per poter meglio e più facilmente sostenere le sue pretese di signoria. La teologia attuale proclamando nuovamente, in un ritorno alla riforma e senza tener presente il legame naturale, sociologico al tempo contemporaneo, la contraddizione tra spirito del modo moderno e spirito del vangelo (compreso letteralmente), tra fede nella ragione “autonoma” e l’antica fede nella rivelazione, tra la libertà della volontà dell’uomo e l’immeritata grazia di Dio e formulando questa contraddizione in parole d’ordine e di lotta della vecchia teologia, completamente estranee al proletario, spranga la porta della comprensione ed offende solamente l’operaio marxista. Questi accetta lo spirito del mondo moderno. Accetta la fede nella ragione autonoma. Accetta – almeno fondamentalmente – la libertà di volontà dell’uomo. Ma accetta lo spirito del mondo moderno. Ma accetta anche il legame sociologico di chiesa e religione e non può perciò seguire una teologia che vive dell’opposto di questa accettazione. Ma l’apertura al mondo del proletariato marxista non è senz’altro da confondere con la fede nel progresso e la beatitudine culturale del liberalismo borghese. Dietro la sua accettazione del mondo rumoreggiano forze escatologiche ed egli sa che la vittoria della rivoluzione proletaria significa la fine della cultura esistente, della cultura borghese. La lotta gigantesca portata avanti dal proletariato non è solo segno di una forza molto profonda che vive in esso ma, considerata dal punto di vista spirituale, anche il tentativo di riuscire a dare un senso nuovo all’esistenza. Questo dare un senso nuovo all’esistenza non consiste nel sottrarsi all’azione in questo mondo e nello spiare il “totalmente altro” che è al di là di tutte le possibilità di percezione, ma tenta di riorganizzare questo mondo secondo ciò che egli esperimenta come “divino” ed è “santo” per lui.
Quella sterile trascendenza del luteranesimo, che porta solo all’auto-beatitudine si muta in immanenza nel pensiero proletario e vien posta con una forte finalizzazione etico-sociale nella comunità e al servizio della comunità
GIUSTIFICAZIONE?
Tanto meno il proletario può accordare un senso alla dottrina della giustificazione, benché, secondo la visione dei riformatori, si tratta qui di un articolo con il quale sussiste oppure viene meno (articulus stantis et cadentis ecclesiae). Bisogna dire, molto generalmente, una volta per tutte , che il proletario non è impegnato confessionalmente. Non gli interessa la riflessione confessionale, in questo caso sulla riforma, ma nell’ipotesi migliore, la riflessione sul valore e l’essenza del cristianesimo in genere. Inoltre le potenze dell’illuminismo e le correnti da esso causate (filosofia idealistica) hanno semplicemente distrutto ogni possibilità di una fede nella giustificazione nel senso del luteranesimo all’interno della cristianità protestante occidentale. Se tuta questa questione è stata nuovamente posta sul tappeto con Holl e se anche la guerra è stata certamente capace di scuotere la fede nella bontà dell’uomo, nutrita dall’illuminismo, non ne segue ancora lontanamente che il protestante dovrebbe ritornare alla dottrina della giustificazione come ad un Evangelium aeternum, come credeva Holl, e far irrompere vittoriosamente nella coscienza del tempo l’asserzione di Lutero sull’ ”uomo perduto e maledetto”. Non è mai penetrato del tutto nel pensiero proletario perché, secondo lo schema della teologia della chiesa, l’innocente uomo Gesù dovrebbe soffrire per i peccati altrui secondo quell’antica formula di fede: “Il castigo è su di lui perché avessimo la pace e noi siamo salvati dalle sue ferite”. Il proletario religioso, libero da ogni pensiero autoritario non può ritrovarsi nel labirinto dei ragionamenti teologici che trattano di colpa e giustificazione e che lì dove vien meno la forza della dimostrazione, richiedono “obbedienza di fede”. Orientato razionalmente respinge lontano da sé in una percezione naturale e sana la credenza che su un di un altro, Gesù, venne caricata una colpa di cui, secondo la sua comprensione, l’uomo stesso, l’umanità stessa porta la responsabilità. L’ingenua pia ideologia: Gesù è morto per te perché tu sia beato! E’ per lui un enigma incomprensibile psicologicamente e contenutisticamente. Egli non vorrebbe che si comprendesse la salvezza personale “della sua anima” come una salvezza che gli si apre al di là dei confini della tomba e della morte, ma una salvezza che consista nel libero sviluppo della vita della sua anima in connessione con un tenore di vita esterno migliore, più degno dell’uomo. Questa salvezza della sua anima, da marxista, non la può separare dal destino della classe alla quale egli appartiene. Ma egli vede minacciata la salvezza dell’anima della sua classe molto concretamente da potenze che per lui si incarnano in determinati uomini e gruppi e che sono divenuti veramente colpevoli in misura stragrande per il fatto che tentano di opprimere costantemente il mondo operaio e di continuarlo a tenere in una miseria perpetua. Egli non può attribuire la responsabilità di questa miseria a nessun dio. La colpa è dell’uomo stesso e nessun dio lo libera da quella indigenza e miseria, ma egli solo : con ragione e volontà, con fede e bontà, con lotta e nuova organizzazione della vita. L’intervento di un dio è superfluo perché l’intervento di gruppi di uomini orientati in senso marxista è sufficiente a dare un senso a contesti attualmente senza senso. Noi lo vediamo, la coscienza proletaria nel suo modo sano e anturale incarna allo stesso tempo la rivoluzione religiosa e rappresenta ciò che i nostri teologi ecclesiastici chiamano Hybris, sacrilegio e peccato. Perciò non vi è posto in essa per ragionamenti che riguardano la questione della giustificazione e che sono desunti dalla nostra vecchia teologia protestante, ora divenuta nuovamente moderna.

 

 

RIVELAZIONE?

Corrispondentemente il proletario non sa neppure che cosa farsene del concetto di rivelazione della nostra odierna teologia. Si parla volentieri oggi di una riscoperta comprensione della rivelazione, dove, però, non si tratta d’altro che del recupero del concetto di rivelazione dei riformatori. Bisogna, però, riflettere che il concetto di rivelazione dei riformatori era ed è opposto , nel modo più drastico, alle cognizioni del nuovo sistema mondiale che si affermò vittoriosamente nel pensiero occidentale, libero da ogni dommatica luterana. L’uomo moderno si trova sul campo di queste cognizioni, specialmente il proletario che si lascia facilmente e volentieri entusiasmare dalle scienze naturali. Così avvenne che le intuizioni teologiche si mutarono da sé stesse sotto la spinta del movimento di vita ed accettazione della cultura verificatasi negli ultimi secoli. La teoria dell’ispirazione secondo cui la “Sacra Scrittura” era stata “ispirata” parola per parola dall’azione dello Spirito Santo venne gettata come ferro vecchio e la concezione che Dio aveva operato una rivelazione unica e definitiva si rivelò come completamente insostenibile. La rivelazione divenne allora la manifestazione continua, irrompente di tempo in tempo, della volontà divina. Tutti i grandi nell’ambito religioso, tutte le figure di profeti, tutti i classici religiosi divennero contemporaneamente portatori della rivelazione. In essi risplendette la divina verità, nel modo più chiaro naturalmente in Gesù Cristo come il primo e precipuo portatore della rivelazione. Faceva parte dell’indirizzo di questo pensiero considerare tutti i grandi dell’umanità, non solo gli eroi della religione, come “graziati”, come spirito e figure ai quali era stato affidato un incarico speciale da Dio. Infine non solo la vita e la storia umana, ma specialmente la natura divenne il grande luogo di rivelazione dello spirito divino. Si disse che bisognava andare per il mondo con occhi religiosamente aperti. Dio è immanente e può entrare dappertutto nella coscienza umana. Bisogna ammettere ora che questo concetto di rivelazione che è stato proprio della nostra teologia d’anteguerra, almeno di quella orientata liberalmente e secondo la storia della religione, ha della forza persuasiva anche il proletario. Questi è profondamente convinto che un senso speciale è insito nel movimento proletario e che nelle guide del movimento, in Marx ed Egels, in Lenin ed altri, risplende per lui, finché è orientato religiosamente, la luce divina, la ragione e la coscienza del mondo. Pensieri di questo genere, anche nel rivestimento velante della teologia, troveranno eco e guadagneranno terreno nel proletariato. Ma la teologia del presente si trova in nettissima opposizione a questi ragionamenti. Essa, come abbiamo già sentito, è orientata secondo la volontà, troppo tedescamente bisognerebbe dire, contro la ragione, oppure come ritiene Dadbruch “irrazionalmente “. Essa giura sulla trascendenza di Dio. Lo stare in piedi dell’uomo con proprie forze, concessogli da Dio, è per essa peccato e infine essa proclama l’azione unica, redentrice di Dio in Gesù Cristo, una rivelazione di Dio, quindi, che nel quadro della visione moderna del mondo è una presentazione completamente irreale. Tutto ciò che egli non comprende è per l’operaio marxista magia, mistero ed enigma. Ci si può ancora richiamare a numerosi detti della Bibbia in cui si parla di Cristo come unico mediatore, tali affermazioni possono essere certamente gradite alla concezione protestante , alla dommatica luterana, possono essere anche di stimolo alla riflessione per teologi particolarmente interessati, ma per la vita interna degli operai marzisti sono completamente inutili, Sarebbe diverso se quelle affermazioni stessero in una connessione in qualche modo reperibili con la necessità vitale, sociale ed economica che oggi grava sul proletariato, Ma non è così.

Così succede che quel restringimento del concetto di rivelazione intrapreso dalla moderna teologia rende solo più difficile il lavoro di coloro che  lottano già con sufficiente difficoltà nel proletariato marxista per una comprensione del cristianesimo e il riconoscimento di valori vitali religiosi. Il proletariato orientato razionalmente pretende una dimostrazione razionale della verità, come per tutte le asserzioni, così anche, in modo particolare, per le asserzioni per lui estremamente sorprendenti della teologia presente. Ma non può fornire questa prova una teologia che non può affatto essere compresa razionalmente. Ciò che essa sostiene è frutto di convinzione personale di fede, per cui si dilegua nel nulla la sua pretesa ad una validità generale. Essa si sottrae al campo della scienza. Non è più scienza, ma solo la domenica. Vuole essere autorità e si richiama al peso della testimonianza personale. Il proletario marxista, invece, pone la domanda della verità e prende sul serio solo ciò che resiste al fuoco di questa domanda, Così la teologia si elimina da se stessa dalla sua coscienza. Essa si muove su un altro piano in cui sono determinati fede ed autorità, mentre egli si sforza quanto più possibile di strappare i suoi compagni di classe da quel campo. Essi non debbono “credere ed obbedire”, ma riflettere e contraddire. Se la nostra odierna teologia adduce citazioni neotestamentarie per giustificare delle sue vedute, ciò non prova la loro verità universalmente valida, ma solo che allora, in una determinata situazione di tempo sono state necessarie, temporaneamente necessarie, determinate intuizioni religiose. La loro validità per il presente sarebbe solo allora provata se la rendessero necessarie la situazione di tempo in cui ci troviamo, i rapporti in cui viviamo, gli uomini coi quali venivamo a contatto. Fintanto che manca questa prova, quelle citazioni sono storicamente interessanti, ma in nessun modo necessarie alla vita, in nessun modo obbligatoriamente necessarie “per la salvezza della nostra anima”. Vista più da vicino la spiegazione teologica dei nostri giorni è afflitta da due mali. Uno è che nessuno sa propriamente che cosa sia in modo specifico “Vangelo” oppure “cristianesimo” (Essenza del cristianesimo ). In questa tendenza non vi è alcuna determinazione univoca del concetto e noi disponiamo di tutta una serie di “cristianesimi”. Questo male è antichissimo e i nostri moderni teologi non ne sono in alcun modo colpevoli. Sono però certamente colpevoli e inostri moderni teologi non ne sono in alcun modo colpevoli. Sono però certamente colpevoli dell’altro male. Esso consiste nel fatto che si procede con un concetto generale “uomo” e si trascura il legame sociologico dell’uomo. Il mondo vitale, religioso di un anticapitalista è, difatti , diverso da quello di un socialista . I bisogni spirituali di un borghese sono di genere diverso da quelli di un proletario. I rapporti economici e sociali al tempo di Gesù eran diversi da quelli dei nostri giorni. La teologia che facciamo noi teologi esamina nel modo più preciso tutti questi contrasti e sarà, perciò, sempre protetta contro il rimprovero di alienazione dal mondo, lontananza dalla terra, mancanza di connessione con l’infuocata corrente vitale del presente.

 

DOLORE E VITA
E’ una legge della vita che ogni realtà veramente grande, buona e nuova nasce dal solo più profondo dolore. Ma dove sono, si domanda il proletario, i rappresentanti della nostra moderna teologia che lottano e soffrono, in ogni senso, nella più profonda ed ultima indigenza terrena? Ma senza lottare e soffrire ogni teologia resta una teologia della lettera che sta sulla carta e non vale un fico secco. Ciò non di meno la teologia del presente si gonfia di pretese enormi. Essa si pone propriamente contro tutto il mondo moderno nel quale non vi è posto per un cristianesimo dogmatico. Noi sottoscriviamo in questo contesto la costatazione dell’”annale ecclesiastico” del 1931 “che tutta la vita spirituale degli ultimi secoli si è sviluppata dalla protesta contro il vecchio dogma”. Noi assumiamo questa protesta e la proseguiamo contro la teologia del presente in quanto tutrice del “vecchio dogma”. Salvo alcuni incitamenti, questa teologia, vista generalmente , pratica un pericoloso gioco d’azzardo : o si afferma e questo significherebbe praticamente la fine della cultura autonoma e l’erezione dello stato della chiesa. Oppure, invece, non si afferma e questo significa praticamente l’espulsione della chiesa dalla corrente di vita della cultura, significa la dichiarazione di bancarotta della religione, come una forza penetrante e decisamente determinante il mondo degli uomini. Allora non resta altro che un mucchio di grosse parole al quale non corrisponde la realtà e al quale mancano soprattutto gli uomini combattenti nell’estrema necessità terrena. Non è nostro compito indicare gli effetti della moderna teologia all’interno del mondo borghese. Per quanto riguarda il mondo proletario bisogna espressamente sottolineare che tutte le sue porte debbono restare chiuse a questa teologia, comunque vada quel gioco d’azzardo. Essa non dispone delle chiavi che gli aprano l’accesso al mondo operaio marxista. Essa misconosce le forze che hanno propriamente permesso l’ascesa del proletariato: ragione, volontà di vita e solidarietà. Essa precida “Chiesa” in senso dogmatico (Dio fonda la chiesa), mentre il proletario conosce e riconosce solo una chiesa come istituzione umana nel senso sociologico letterale (finché non perde fiducia in questa chiesa). Essa annuncia un cristianesimo della fede e della rinuncia, mentre il proletario religioso esige un cristianesimo pieno di chiarezza di comprensione e di qui un cristianesimo dell’azione e della penetrazione del mondo. E se Holl ha formulato una volta una delle leggi del movimento della storia della chiesa in questi termini: “La storia del cristianesimo non scorre in una linea sempre continua, ma piuttosto una rottura sempre ripetentisi con l’immediato passato”, allora dobbiamo noi riempire questa rottura per avere via libera per l’annuncio del Cristianesimo al proletariato marxista.

TEOLOGIA E PREDICA AL PROLETARIATO
Le cognizioni e i risultati della nostra presente teologia non ci possono tendere una mano per la stesura di una predica indirizzata particolarmente al proletariato. Una predica al proletariato, la cui ossatura fosse costituita da questa teologia, non incontrerebbe i proletari. Essa sarebbe al massimo una predica borghese, ma c’è da dubitare che la “parola di Dio” susciti un’eco molto estesa nella borghesia dalla bocca dei nostri teologi dialettici, fin quando stanno sul pulpito. Poiché anche parti molto estese della borghesia vengono determinate nella loro condotta di vita, nella loro direzione di spirito delle forze che ci han portato la nuova concezione del mondo, l’illuminismo, la filosofia idealista e la ricerca critica. Tuttavia non può essere trascurata una differenza per noi più importante. L’uomo medio legato alla borghesia si sorbisce in silenzio i ragionamenti ortodossi, benché egli personalmente li ritenga pazzi. Egli li ingoia quasi come una pillola inevitabile e si dice: appartiene certamente alla maniera dei teologi pensare e discorrere in questo modo e non diversamente; debbono , inoltre, muoversi in tali rappresentazioni (!) “caratteristiche” per amore del popolo. Egli non protesta e resta nella chiesa. Il proletario, invece, che rappresenta la testa del popolo, non ingoia questa pillola. La sputa piuttosto via con un energico gesto di rifiuto e traccia una chiara linea di demarcazione tra sé e questa teologia ecclesiastica alla quale egli appiccica il vecchio rimprovero che i suoi ragionamenti vetero-dogmatici annuvolano le menti dei proletari, che vogliono istupidire il popolo. Egli non tace ed esce dalla chiesa.
In ogni caso l’apporto della teologia dialettica per il problema divenuto scottante di un annuncio ecclesiastico adeguato ai tempi nei punti focali dell’industria è estremamente ridotto. Da che dipende? Leggo a proposito questa frase presso Sasse: “Dobbiamo imparare nuovamente la fede di Lutero nell’onnipotenza della parola di Dio che quando viene predicata schiettamente e puramente , anche nel ventunesimo secolo, nelle masse scontente del proletariato, come nella borghesia contenta di se stessa, è capace di agire – ubi et quando Deo visum est – nell’assemblea della comunità di Gesù, come –à non lo si può negare – nella divisione degli spiriti”. Se si tiene presente l’abbondanza di prediche ortodosse che sono state tenute di domenica in domenica dai nostri pulpiti ”schiettamente e puramente”. Secondo la salda convinzione dei predicatori, allora bisogna costatare con ricrescimento che gli effetti di queste prediche sono stati estremamente poveri, che qui è stato raccolto poco, ma disperso molto nel senso che oggi la fiaccola dell’odio contro il cristianesimo arde in milioni di uomini e l’ateismo ha sollevato la testa nei nostri giorni minacciando mortalmente tutta la cultura cristiana. Ma propria questa frase di Sasse ha dimostrato che i nostri teologi si muovono continuamente in un cerchio e che discuteranno invano l’un l’altro poiché non vi è nessun accordo su che cosa sia “parola di Dio” e quali siano i parametri riferendosi ai quali, si possa dire che sia stato predicato “schiettamente e puramente”. Ogni speculazione teologica termina, completamente senza speranza, in uno sterile relativismo.

Hermann Kutter
 
Hermann Kutter (12 settembre 1863 – 31 marzo, 1931) è stato un svizzero protestante teologo . Insieme a Leonhard Ragaz , è stato uno dei fondatori del socialismo cristiano in Svizzera . E ‘stato fortemente influenzato da Christoph Blumhardt . Ha combinato l’aspettativa di Blumhardt di una venuta del Regno di Dio con una fede nel socialismo in corso. Ha visto la socialdemocrazia come uno “strumento” del Dio vivente, e dei suoi seguaci come servi inconsapevoli di Dio. E ‘autore di 11 libri.
Biografia
Kutter è nato a Berna , il figlio di Wilhelm Rudolf Kutter (1818-1888), un ingegnere, e Marie Albertina König (1833-1923). Dopo lo studio della teologia a Berna con Oettli ed Adolf Schlatter, primo esame teologico nel 1992. Nel 1883/84 studia a Balisea con F. Overbeck, R. Staehelin, J. Kaftan e R. Smend. Egli sposò Lydia Rohner (1868-1936) nel 1892. E ‘cresciuto in una casa pietistico e ha studiato teologia a Basilea , Berna e Berlino . Nel 1844 divenne parroco a Vinelz (Bielersee), Parroco del Neumuenster a Zurigo 1898; dal 1903 scritti polemici e amicizia con Ragaz; dal 1906 collaborazione con il movimento religioso-sociale. Nel 1912 a causa della solidarietà di Ragaz con gli operai in sciopero, in occasione dello sciopero generale di Zurigo, allontanamento dai socialisti religiosi; dal 1914 al 1918 simpatizzante per la Germania. 1923: dottorato onorario della Facoltà teologica di Zurigo; nel 1926 ritiro anticipato dalla parrocchia per motivi di salute; dal 1926 al 1931 riposo a Sciaffusa e Zurigo Morì a San Gallo il 22 marzo 1931
Filosofia
Sotto l’impressione di una combinazione di Christian per l’attesa del Regno di Dio, Kutter ha raggiunto una visione dinamica della Dio: Dio, che per mezzo di Cristo penetra l’uomo e il mondo in realtà eterna è l’unica realtà della vita. Con questa teologia teo-centrica Kutter ha spianato la strada per la cosiddetta “teologia dialettica” ( Karl Barth , Emil Brunner , Eduard Thurneysen ). Per Kutter, il ritorno alla “vita diretta” si completa nella storia del genere umano; il socialismo è un segno di questo. Ma per Kutter questo ritorno alla diretta è allo stesso tempo il senso e il fine della cristianità. Per lui, i socialdemocratici sono strumenti del Dio vivente; “Devono” annunciare al mondo la propria sentenza sia la grande svolta nel loro servizio a Dio, senza rendersene conto se stessi. Tuttavia, Kutter mai ha aderito al partito socialdemocratico (come Leonhard Ragaz fatto e Karl Barth); né ha fatto identificare il Vangelo con il socialismo.
Era un pacifista.
 
La questione sociale
Predica
“Perché calpestate il mio popolo e opprimente la persona dei miseri? Dice il Signore, Il Signore di Sebaoth (Is 3,15)”
La questione sociale! Perché ne parliamo tanto? Non vi sono altre questioni che, come questa, attendono con uguale urgenza una risposta? Son tutti risolti gli enigmi che affliggono il pensatore solitario, sono rischiarate dal raggio della luce tutte le oscurità e le imperscrutabilità che gravano su migliaia di anime tribolate? Quanti uomini vi sono che, lontano dall’affanno del frastuono pubblico devono confrontarsi con le struggenti questioni che irrompono impetuosamente , dolorosamente nella loro vita personale, tendendo con ardente desiderio verso una risposta dalla quale dipende la pace della loro anima – e tu, noncurante di questi affanni del cuore, parli della questione sociale come se fosse l’unico mezzo di salvezza per le mille ferite del nostro tempo! Non vi è una sola questione, ve ne sono innumerevoli.
Cari amici! Chi ragiona in questo modo non comprende le forze che causano il progresso dei tempi. Non è vero che vi sono molte questioni, ogni tempo vien sempre nuovamente mosso da una sola questione. Solo i sognatori hanno molte questioni. Solo coloro che, fuori dalla grande corrente degli avvenimenti, si sono escogitati un proprio essere limitato e chiuso, o che noncuranti del resto del mondo si sono votati ai loro passeggeri interessi quotidiani, interrogano molto; i dolori e le lotte di chi cerca la verità sono sincronizzati con la ricerca del tempo.
Quando il giovane cristianesimo si scagliò contro le vecchie barriere della cultura romana, si levarono molti uomini sapienti e ragionevoli che lo accusavano di unilateralità e parlavano di un giusto impasto delle sue impetuose verità con l’antico. Non lo capivano! Non capitavano che la nuova religione aiutava il sorgere di un nuovo mondo, che una nuova vita si annunziava, che non si aggiungeva armonicamente all’antica. Vie era una sola questione, non molte! E più tardi quando dalla coscienza ferita fu dichiarata guerra ad un cristianesimo divenuto fiacco e corrotto e i riformatori rivelarono apertamente l’inganno della Chiesa, allora i “moderati” e gli “assennati” levarono nuovamente la loro voce in nome della giustizia per ammonire contro il crollo e il fanatismo – essi non vedevano che un novum era cresciuto e si era sostituito al vecchio; essi con le loro molte domande volevano soffocare l’unica e sola domanda.
Questo avviene nuovamente oggi. Gente “saggia” e “moderata” cerca nuovamente anche oggi di spezzettare l’unica grande domanda del nostro tempo – la sociale – in mille innocue domande particolari, beatamente ignorando che un nuovo mondo si annunzia nella questione sociale, che l’interesse dei contemporanei è divenuto così “unilaterale” e “passionale” solo perché il vecchio essere cade a pezzi.
1.
La questione sociale ! Che cosa cerchiamo in essa? Ci vogliamo far introdurre da essa nei diversi campi dell’economia nazionale? Deve essa insegnarci la differenza fra proletario e borghesia? Esigiamo da essa informazioni sulla regolazione dei rapporti di salario o una giusta divisione dei beni sociali? No. Tutto questo appartiene alla questione sociale, ma non la esaurisce. Oppure vogliamo informarci sull’odio sociale che spumeggia sempre più violento, divide sempre più nettamente la società in due schiere nemiche? No. Queste sono le nuvole di polvere che fa mulinare la entrata della questione sociale, non essa stessa. Chi si lascia impaurire dalla polvere, non ha qui il diritto di parlare. Cari Amici! I molti pregiudizi , le molte e stupide opinioni sulla questione sociale provengono dal fatto che la gente vede solo le nuvole di polvere, la confusione attuale, i peccati dei singoli uomini e classi, ma non la grande forza creatrice che vi si nasconde dietro. E proprio questo è il nostro dovere, non guardare scoraggiati e sbigottiti nel fremente abisso del caos attuale, ma riconoscere il regno dello spirito creatore che aleggia sulle acque agitate, minacciose.
La questione sociale è la questione dell’umanità. Essa, oltre che alla regolazione dei rapporti economici, tende verso quella fraternità umana nella quale tutte le differenze di nazione e di razza non si impediscono e combattono, ma si completino in una vera comunità, dove non regnino più astrazioni e chimere, non più pregiudizi causali e secondari, non più assiomi giuridici nati dalla necessità, non più diverse religioni, ma la stessa umanità. Fin qui i popoli son vissuti sotto la tirannia di ideali immaginari; ora debbono creare il senso della loro vita a partire dalla loro anima. La stessa personalità dell’uomo deve essere valorizzata dopo una lunga schiavitù sotto il falso dominio di forze spirituali. Queste forze: religione, diritto, morale hanno versato un’ondata di miseria e necessità sugli uomini. Se si troverà l’umanità, allora le guerre e le lotte sociali che sono sorte appunto per il disprezzo dell’uomo, cesseranno.
Questa è la questione sociale: un’unica umanità in cui abita la giustizia; dove le cose non dominano ma sono al servizio, dove le differenze formano tutte le correnti viventi della comunità
2.
La questione sociale è la questione dell’umanità. E proprio perciò la questione di Dio. La questione della realtà di Dio. Dove la umanità crea se stessa; lì cerca anche Dio. Solo l’uomo corrotto, schiavo, oppresso da false potenze può dimenticare Dio, l’uomo stesso non lo può. Da questo dipende che oggi il desiderio di Dio, l’uomo respinga da sé la vecchia divinità e allora risplende nella sua anima il vero Dio ad immagine del quale egli è creato. Le false potenze divine lo avevano piegato sotto la schiavitù delle religioni, delle confessioni e dei dogmi e gli avevano insegnato a vedere la verità nel dominio senza senso di una sorte che schiacciava tutto il Vangelo del Dio vivente gli propose l’amore come unica legge del suo essere, l’amore che sottomette tutte le differenze al suo dominio. Dio è l’amore. Dio unisce e lega. Egli solo.
Gli uomini di oggi più di quelli di una volta sentono che la loro unione è solamente possibile se quel che ci unisce è più grande di ogni pura astrazione o filosofia. I pensieri su Dio dividono, il vero Dio unisce. Non vogliamo sapere più niente di soli dogmi ; noi stessi siamo più che un dogma. Così anche quel che tutti ci unisce deve essere di più. Non qualcosa di pensato, non una formula di fede, non una confessione , non un cristianesimo, no, ma una forza reale che penetra la nostra personalità e porta frutti: Dio, come egli vive, non una religione; Dio che ci si dà da sperimentare, questo noi sentiamo e comprendiamo. Lui, lui solo, come si è rivelato in Gesù cristo, noi dobbiamo nuovamente avere.
Questo è il vero grido verso Dio nella questione sociale, più potente e passionale quanto la questione sociale è più importante di tutte le altre finora.
Il grido verso Dio! Se c’è un Dio vivente allora egli ci si deve rivelare e far conoscere. Finora la questione di Dio era unita a tradizioni religiose, cosa di preti, parroci e cristiani “credenti”, ora essa si deve liberare di questi involucri. Il Dio vivente non si può trovare nei comandamenti e negli assiomi che prescrivono i ministri della religione, no, piccolo e grande debbono poterlo comprendere, deve essere un piacere e una gioia avere il nome di Dio sulle labbra, non tormento e paura dell’inferno . Se Dio vive veramente , l’amore di cui parla il Vangelo non può essere una beata devozione di pii cristiani, ma la luce riscaldante e illuminante che rispende nelle masse, la forza irresistibile che spezza in due il male sotto il quale essi soffrono e rappacifica i cuori degli uomini che ora sono divisi dall’odio. Se vi è un amore esso deve regnare. Come l’odio estende il suo spaventoso dominio sul mondo, così anche l’amore deve essere una forza riconoscibile e percepibile ad ognuno. Se l’amore è vero, allora deve esserci un regno dell’amore, non solo sentori e comandamenti dell’amore. Un amore che viene solamente insegnato e al quale si e no riesce di essere accettato ed obbedito qua e là in piccoli gruppi, non è amore. Grazia, misericordia, pace, queste belle parole del Vangelo devono diventare opere, realtà. Esse debbono assoggettare i cuori in modo tale che rapporti, produzione, interpersonalità, in breve , tutto ciò in cui sono impegnati gli uomini, deve essere illuminato dal suo raggio, se non dobbiamo credere che queste parole sono state scoperte solamente per piegare una massa paziente e silenziosa sotto lo scettro di preti sfruttatori. Non più compromessi, non più zoppicare dalle due parti, più amore a metà, non più Vangelo a metà: O tutto o niente.
Così parla il nostro tempo. Vi è un potente fermento creativo in tutti i circoli. Il seme sparso da cristo nei cuori è cresciuto e porta il suo frutto. Dio si manifesta. La questione sociale è la questione di Dio.
3.
La questione di Dio. Perciò essa non ci lascia più in pace. Le parole del nostro testo: “perché calpestate il mio popolo e opprimete la persona dei miseri? Dice il Signore di Sebaoth” bruciano in tutti i cuori. Noi non possiamo liberarcene. Esse non sono solamente un verso della Bibbia, no, esse sono scritte a carattere di fuoco sui fogli della coscienza moderna. Se noi tutti, altolocati e umili, ricchi e poveri, per quanto diversi possiamo altrimenti essere, crediamo in qualcosa, questa, è la convinzione che bisogna aiutare i miseri. Noi tremiamo di fronte alla grandezza di questo compito poiché esso non è stato mai proposto agli uomini in questa assolutezza, – ma non possiamo far diversamente, dobbiamo impegnarci alla sua soluzione, render possibile l’impossibile. Come aiutare i bisognosi? In questa domanda c’è tutto l’oscuro mistero, ma anche tutto lo scottante interesse del nostro tempo. Fino ad oggi tutte le più grandi forze si sono paralizzate a questo punto; sullo scoglio di questa domanda si è infranta l’antichità, essa era il contenuto dell’appassionata inquietudine della storia cristiana fino ad oggi. Essa è l’abisso nel quale minaccia di affondare la nostra cultura. Essa, nonostante ogni arte e scienza umana. Lo spirito mondano sottomette tutto il resto , solo essa, no. Il mondo deve ignorare la miseria. Dio la supera. Perciò abbiamo detto: la questione sociale è la questione di Dio. Ma la questione di Dio che deve essere risolta oggi: Che grande impresa ! Oggi viene attaccato il punto in cui il mondo viene sempre colto da paralisi. La più grande stoltezza e impossibilità – il benessere del piccolo uomo – il nostro tempo la realizza. Lo spirito del Vangelo, al quale niente è impossibile, aleggia su di esso.
Tutto il resto passa, al confronto , in secondo ordine. Noi abbiamo il vivo sentimento che ogni tendenza, ogni opera è passeggera, vana e inutile se non è in relazione alla nostra questione. Solo con cattiva coscienza agiamo diversamente. Solo con animo diviso seguitiamo ad occuparci dei beni tramandati, consci che esso non si rivolge più primariamente ad essi. I problemi scientifici e religiosi perdonosemprre più terreno . Non ci interessa più se l’uomo si sia sviluppato da un contrasto: Mosé o Darwin non ci tiene più col fiato sospeso. Siamo stanche di stare a sentire le liti ecclesiastiche; insegnamenti di fede e confronti di dogmi ci lasciano indifferenti . Brucia solo come fuoco nel nostro spirito: “Perché calpestate il mio popolo e opprimete la persona dei miseri”?.

Coi maestri, ricercatori e professori tutti, noi vi crederemo nuovamente quando ci direte come si può venire incontro ai miseri – non prima. Fin quando la vostra sapienza trascura i mille mali che lì affliggono, noi ne abbiamo orrore. Il nostro tempo non accetta più la vanità di maestri e professori, esso è troppo serio. Voi preti, parroci e predicatori tu8tti, la vostra testimonianza non impressiona più. Non vi si crede più poiché non avete altro a disposizione che informazioni imbarazzate per l’unica domanda che oggi vale: come aiutare i bisognosi? Quel che voi predicate sulla redenzione, la grazia e l’amore è falso finché non sapete dirci come possono essere liberati i miseri dalle loro catene. Sono passati i tempi quando la Chiesa riteneva accordabile con la sua fede spiegare con “l’imperscrutabilità dei consigli divini” la miseria degli uomini e procurare a se stessa, dai loro dolori, un’esistenza sazia, comoda. Nessuno crede più alla favola di un tale Dio, la cui inscrutabilità può essere fatta responsabile di ogni male. Se per secoli la pia cristianità ne ha avuto bisogno per coprire la propria ipocrisia e per tenere in alto il suo credito, oggi anche i più piccoli sanno che non è niente, oggi che lo stesso Dio vivente spazza via nella tempesta di un nuovo movimento la cultura cristiana divenuta marcia. No, la questione sociale deve essere risolta. Ogni resistenza, ogni sospetto, ogni maledizione non aiuta più. Tutto ciò che si leva contro viene spazzato oppure strappato via come gli alberi sradicati che la corrente scatena trascina sui suoi flutti agitati. I secoli antichi conobbero pure l’indigenza , ma riuscirono ad accordarsi con essa. E’ la grandezza del nostro tempo non accordarsi più, ma tentare il tutto per tutto per superarla. Esso non conosce più compromessi, non vuole più vivere in situazioni rabberciate e provvisorie, non lasciarsi più ingannare, non rifuggire più dalla dura realtà nel regno degli ideali che fioriscono nell’al di là. Esso si confronta con la domanda : “Perché opprimete il mio popolo e calpestate la persona dei miseri”?

 
 
4.
Esso si confronta con la domanda perché non può più ignorare l’ingiustizia che in essa si manifesta. Noi moderni sappiamo meglio di qualsiasi altro tempo passato che la miseria degli uomini non è il loro destino, ma la loro colpa. Noi scacciamo dalla nostra coscienza nuovamente “risvegliata “Incomprensibilità”, “consigli” e “decreti del destino”, tutte queste forze morte che ci hanno così gravemente fermato nella nostra autodecisione. Noi stessi siamo colpevoli della nostra miseria, noi dobbiamo eliminarla dal mondo. Questa è la parola redentrice del nostro tempo. Noi non vogliamo più lavarcene le mani candidamente le mani noi prendiamo sulle nostre stesse spalle, la terribile responsabilità del male. Quanto ciò è più ricco di promesse, quanto grandi sono le forze che così liberiamo !
Noi diciamo: ingiustizia, senza limitazione, senza diminuzione. Non inevitabilità, non sviluppo storico, non legge sociale, non ingiustizia. Non accettiamo più niente come destino. Noi stessi vogliamo toccare con mano . E qui ci viene incontro il Dio vivente. Niente ci sarà più impossibile. Le radici del male giacciono scoperte davanti ai nostri occhi, niente ci impedisce di estirparle.
Una volta gli uomini prendevano tutto dalle mani di Dio. Essi potevano conciliare le realtà più terribile e abominevole con la pietà cristiana perché non avevano ancora coscienza del proprio io, non avevano ancora alcun sentore di ciò che l’uomo realizza quando si sveglia. Essi sognavano un al di là migliore, noncuranti del fatto che Dio ha sottomesso la terra agli uomini affinché essi conquistassero con solerte lavoro il regno della verità e della giustizia. Si immunizzavano dai torbidi rapporti dedicandosi alla devota pietà che trasfigurava sempre più la durezza della vita quotidiana con il suo splendore celeste e Signore e servo, nonostante tutte le differenze, appartenevano alla stessa categoria. Ciò riconciliava le masse con la sorte: per quanto potessero essere trattate duramente, gli sfruttatori condividevano, per molti aspetti, i loro interessi ed erano uniti ad esse da una fede comune. Nessuno era senza rifugio, nessuno abbandonato a se stesso. Poi venne il capitalismo, prima a tentoni, lentamente, poi crescendo improvvisamente, per irrompere infine impetuosamente sulle vecchie barriere. Venne la mania di guadagno senza limiti, il profitto che riconosce solo se stesso, quel calcolo tanto freddo quanto razionale per il quale gli uomini e le cose vengono considerati solamente come numeri.
Gli ideali, sotto la cui protezione gli uomini trovarono rifugio, vennero strappati via, l’uno dopo l’altro, con mano irriguardosa del nuovo spirito; sfacciato e sfrontato piegò i più nobili valori sotto la scettro del mammone. Scorse i troni dei re, infranse le corone della nobiltà, ruppe i legami che tenevano legato il popolo al lastrico. Come il vento agita le foglie staccate dagli alberi, così lo spirito del capitalismo sospingeva gli uomini sradicati da ogni luogo, portati via dal loro luogo d’origine senza interessi comuni, senza ideali, senza amore estranei e nemici tra di loro. Sotto l’illusorio pretesto dell’eguaglianza e della libertà di fronte alla stessa legge, costrinse i governi ad abbandonare le masse prive di ogni barriera protettiva ad una illimitata brama di sfruttamento da parte dei possidenti. La massima: laisser aller, laisser passer, provenienti dall’umanitarismo di innocui umanitaristi venne attaccata voracemente dalla brama di possesso senza scrupoli che con essa si procurava spazio per la sua attività. Il capitalismo non conosce doveri verso la comunità, non conosce principi per il benessere comune. Riconosce solo ciò che serve ad esso. Tutto il resto, fosse pure la più giusta richiesta dell’umanità, lo disprezza o lo lotta. Lo stato, ai suoi occhi, ha un solo compito: lasciar fare.
Ma proprio questo lasciar fare se per gli uni è via alla ricchezza, per altri, dati i nuovi rapporti, tanto più sicuramente, causa miseria. Chi non possiede niente viene calpestato molto più impietosamente dal liberalismo economico che dal controllo. Questo lo doveva ora sperimentare la società, prima con involontaria meraviglia, poi con morale spavento. Come fatti uscire da sottoterra dall’avanzata bronzea del capitalismo, vennero alla ribalta quelle potenti schiere di operai come il mondo non le aveva mai viste. Una massa piena di amara inimicizia contro tutto ciò che le stava sopra. Senza patria – poiché che patria è quella alla quale bisogna sacrificare tutto e non bisogna ringraziarla per niente? Senza paese (Hemat) – poiché che significato ha un paese con il quale si viene in contatto quasi esclusivamente tramite il rapporto poliziesco oppure i fastidi caritativi? Senza Dio – poiché che significa Dio che estenda la sua insegna sugli aurei monti del capitalismo? Senza amore, senza gioia, senza divertimenti ; destinati ad ingrandire le ricchezze dei possedimenti da una orribile sorte; tra poco destinati a morire ed egualmente tra poco nuovamente moltiplicantesi; un popolo povero, malato, disprezzato! Mentre la ricchezza del capitalismo cresce enormemente, il livello di vita della classe operaia resta sempre legato al più stretto necessario; quei che producono la ricchezza sono privi, più che mai nel passato, dei beni indispensabili al benessere fisico e spirituale. Mai tante mani operose hanno lavorato insieme per i beni della vita e , mai come oggi, queste stesse mani eran così poco in grado di raggiungerli. Come le Danaidi versavano acqua con il secchio senza fondo nella botte senza fondo, così centinaia di migliaia di nostri uomini. Essi lavoravano, si sforzavano, sprecano le loro forze ma non ottengono nulla, il loro lavoro resta sempre senza frutto – perché altre mani glielo portano via.
Cari amici! Questa è la grande ingiustizia che il capitalismo moderno ci pone davanti agli occhio con una chiarezza mai conosciuta. Non possiamo più sfuggirla, non ci lascia più in pace, di questo si è incaricato il capitalismo. Dovremmo quasi essergli grati per questo. L’ingiustizia sofferta datutte le classi sociali, le superiori come le inferiori. Come un incubo grava sui nostri cuori. E attraverso lo splendore della nostra cultura risuona sempre nuovamente la terribile domanda: “Perché opprimete il mio popolo e calpestate le persone dei miseri?”.
5.
L’accusa di ingiustizia si leva soprattutto contro i governi. Cosa han fatto essi per proteggere i loro sudditi contro lo sfruttamento? Quali misure hanno preso a favore di coloro sui quali gravano gli oneri più pesanti e dai quali essi richiedono i maggiori sacrifici in pace come in guerra? Essi assistettero immobili alla realizzazione del vergognoso sistema di sfruttamento capitalista, protessero ben volentieri tutte le misure del capitalismo, coprirono i maltrattamenti dei deboli con le loro insegne, con l’arbitrio delle loro leggi costrinsero addirittura masse a piegarsi al dominio del capitale con il pretesto di sviluppare industria e guadagno. Quel che, infine , intrapresero a favore dei miseri, quando le devastazioni del nuovo sistema economico si rivelarono nella loro terribile chiarezza anche al più duro di cuore, è stato loro strappato dall’opinione pubblica e dalla crescente forza di resistenza degli operai ogni libero incontro per discutere la loro comune sorte – l’unico mezzo contro l’arbitrio dei loro potenti nemici – mentre costoro che si accordavano liberamente sullo sfruttamento comune. E quando, finalmente, i sindacati, appena sorti, strapparono il loro diritto d’esistenza, allora dovettero sempre più e sempre nuovamente far fronte alle diverse misure da parte dello stato. Si fece capire al movimento sorto potentemente da mezzo al popolo martoriato che lo si sopportava solo perché costretti, oppure di malavoglia. Che dobbiamo dire degli interventi militari che diventano sempre più abitudine dei governi nelle interruzioni di lavoro? Certo, l’ordine della vita pubblica non può essere danneggiato. Ma di chi è colpa se i contrasti economici tendono sempre più a risolversi in violenza crudele? Di nessun altro che del governo che ha portato questi contrasti ad una acutezza funesta con il suo inattivo lasciar correre e non ha saputo, poi, trovare nessun altro mezzo contro il popolo amareggiato che il popolo armato – un mezzo pericoloso e a doppio taglio che, come ci insegna attualmente la Russia, può avere gli effetti contrari a quelli voluti. Negli interventi unilaterali dei governi, i loro peccati di omissione in campo sociale trovano la loro abbagliante espressione. Se il governo invece di fungere unicamente da guardia notturna della società, fosse entrato dall’inizio nel crudele gioco della vita economica e avesse distribuito i pesi in maniera eguale su tutte le classi, come sarebbe stato suo dovere, non avremmo mai assistito a questo spettacolo tanto indegno quanto doloroso dell’intervento della forza armata. Lo stato ha doveri sociali; è tempo ormai che se ne ricordi se vuole vincere il sordo brontolio della rivoluzione sociale che comincia già a farsi sentire.
In secondo luogo hanno torto gli stessi rappresentanti del capitalismo. Non neghiamo che ve ne sono molti tra di loro di buon cuore e mano pronta per il bisogno dei miseri – ma in genere non si può non far loro il rimprovero di commettere un’ingiustizia spaventosa.
In verità essi non hanno minimamente il diritto di lamentarsi dei contrasti di classe, della crescente “istigazione del popolo” ad opera della socialdemocrazia ed altro. Essi stessi hanno provocato la lotta di classe con la loro brama di guadagno senza scrupoli. I rappresentanti del capitalismo debbono ritenere se stessi responsabili se il mondo operaio comprende oggi il rapporto alle classi superiori solo dal punto di vista della lotta. Per decenni potevano dare un indirizzo diverso allo spirito dei loro operai con un trattamento umano, una ricompensa giusta e sufficiente. Non l’anno voluto. Essi non hanno mai considerato diversamente gli operai che dal punto di vista del loro profitto . Essi parlavano di “mani lavoratrici” non di uomini. La loro unica politica contro i deboli era la violenza: essa ora ricade sulle loro stesse teste. Essi si godono e gustano la vita che essi hanno comprato con la miseria dei loro simili e non pensano a partecipare il frutto rubato a coloro il cui lavoro lo ha procurato. La colpa delle lotte di classe, dell’odio e della rabbia, della disperazione e crudeltà delle masse è di coloro che in esse non hanno visto altro che lo strumento della loro sete di denaro.
La nostra accusa si leva, inoltre, contro la chiesa. In mezzo a dure lotte, nelle quali si decide dell’essere e del non essere di molte migliaia di persone, tace, impaurita, imbavagliata dal rispetto verso l’alto. Si essa fa solo gli interessi dei potenti, quando di fronte alla terribile diseguaglianza di classi propone la sua antiquata morale per spiegare “a ciascuno i doveri spettantigli”. Come se lo si potesse ancora! Come se la diseguaglianza che condanna gli uni alla miseria, mentre conduce gli altri alle fonti del superfluo, fosse la sorte voluta da Dio per gli uomini e tutto il male consistesse solo nel peccato del singolo, non nelle terribili condizioni che si sviluppano dal peccato. A che giova che la Chiesa ripeta sempre la stessa predica quando questa predica incontra sempre meno comprensione? Nei grandi contrasti della epoca non si tratta di vizi o virtù del singolo, ma del fatto che centinaia di migliaia di persone si trovano in una condizione che soffoca ogni pensiero superiore e rende letteralmente impossibile la virtù ostinatamente pretesa.
Noi non lottiamo per i miseri perché essi sono migliori dei ricchi e possidenti – uomini viziosi ve ne sono in tutte le classi – ma perché essi sono gli oppressi, di diseredati. Proprio così Gesù concepiva la sua posizione verso il ricco e il povero. Egli ha scagliato il suoi “guai” contro i ricchi e gridato il suo “beato” ai poveri, non perché gli uni erano cattivi, gli altri buoni, ma perché la ricchezza opprime e avvilisce e la povertà viene disprezzata e maltrattata. “Tu te la sei goduta nella tua vita”, si legge nella parabola del ricco epulone (Lc 16) – “egli ha sofferto; così tu vieni ora punito, egli consolato”.
Nella confusione sociale del presente abbiamo nuovamente bisogno di un Vangelo forte, deciso contro il mammone e a protezione dei miseri, come proclamato da Gesù – ma la Chiesa non sa niente di classi indigenti, conosce solo il singolo individuo religioso, come se accanto ai singoli con le loro necessità non vi fossero anche le necessità di tutto il popolo, come se fossero necessari solo pii sentimenti di beatitudine, e non situazioni giuste e sane. Essa vede solo il singolo, non ciò che Dio fa per tutti. Si dovrebbe far quello e non omettere questo. Il singolo vive di sentimenti e convinzioni, la massa ha bisogno di giustizia nei rapporti, se non vuole degenerare. Il singolo può restare indenne nella sua fede nonostante l’indigenza esterna, la moltitudine non lo può. E non è vero che proprio che proprio la giustizia realizzata all’esterno si ripercuote nell’anima aiutando e guarendo l’interno? E’ possibile una vera devozione in mezzo a situazioni che deteriorano? E non è la posizione biblica che vuole riconoscere la salute della vita interna dai frutti che porta?
Molti singoli parroci si svegliano, ma in genere la nostra Chiesa dormicchia, noncurante della furia del mare che fluttua intorno ad essa, beata qui in mezzo. Sua è la colpa se gli uomini si allontanano da essa, poiché essa non dice alcuna parola al nostro tempo. L’ingiustizia di cui parliamo è constatabile, finalmente, in tutta la società. Cari amici, tutti quanti abbiamo la nostra parte di colpa nelle situazioni ci circondano. Colpa a causa dell’indifferenza e della noncuranza, con la quale osserviamo la lotta degli oppressi. Ognuno pensa solo a se stesso e non trova tempo per prestare attenzione alla grande questione del presente che tuttavia gli parla così chiaramente. Famiglia, doveri sociali, incarico, professione, posizione glielo impediscono: la cosa più importante è sempre il proprio bene. Così noi tutti vegetiamo, paurosamente preoccupati di tenere lontano da noi tutti i pensieri eccitati e unilaterali che potrebbero disturbare il nostro comodo equilibrio, felici quando i giorni scorrono via il più regolarmente possibile. Del resto non si può cambiare nulla, che può fare il singolo?
Cari amici, questo tipico ragionamento di borghesucci e filistei evidenzia la nostra colpa più di ogni altra cosa. Certo, il singolo non può far niente – ma più di ogni agire vale uno spirito forte, deciso che condivide e sopporta l’indigenza del tempo, valgono occhi aperti per la miseria e sofferenza del mondo circostante, vale un cuore caldo e imperterrito quando bisogna impegnarsi per il diritto e la giustizia, a qualsiasi costo. Questo spirito manca a tutti noi. Se noi lo avessimo, non avremmo più paura di agire. L’azione giusta scaturirebbe da se stessa, dalla sua sorgente, al tempo giusto, mentre noi ci chiediamo ora: “cosa dobbiamo fare?”. Perché non sentiamo ancora in noi alcuna forza operativa. Noi siamo paurosi e stanchi.
Questa è l’ingiustizia. L’ingiustizia nello stato e nella società; l’ingiustizia che non si può nascondere più, l’ingiustizia per la quale tutti noi periamo se non l’eliminiamo di mezzo a noi. La questione sociale deve essere risolta, niente può più fermarla. Essa si muove da sola – per la nostra salvezza se noi la sottomettiamo alla nostra forza operativa, per la nostra perdizione se la abbandoniamo al suo destino.
6.
La questione sociale sarà risolta. Noi lo annunciamo nel nome di Gesù crocifisso e risorto per il quale la salvezza è entrata nel mondo. Ce ne è garanzia il Vangelo della penitenza e del mutamento di senso, il Vangelo che crea nuovi cuori, genera da sé nuovi spiriti. Dall’interno verso l’esterno, dalla fede vivente in Gesù Cristo in cui si è manifestata la gloria del Padre, deve venire la salvezza. Ma questo spirito non è uno spirito di devota contemplazione e di egoistico sentimento di beatitudine, ma lo spirito della forza e della vita, un fuoco che Gesù è venuto ad accendere sulla terra. La croce di Gesù ha un senso non solo per la salvezza delle anime, ma anche per la vita del mondo. Da lui si è sviluppata la nuova storia, da lui fiorirà quella nuova comunità di cui parla la questione sociale. Quest’ultima ha avuto origine da lui; vi è una questione sociale solo lì dove viene predicato il Vangelo del Crocifisso e risorto. In questo vangelo si agitano le grandi forze sconvolgenti della lotta sociale moderna. Già le sentiamo all’opera, già la loro tempesta freme nei cuori di tutti infiammandoli contro il dominio del mammone, già preparano al nostro tempo le doglie di una nuova era! Noi risolveremo la questione sociale poiché il vangelo di Cristo opera in mezzo a noi. Ci aspettano ancora lotta, indigenza, confusione in maniera diversa – ma alla fine sarà la pace.
O voi tutti grandi e potenti, voi nobili e possidenti che ora pretendete per voi soli il bel mondo di Dio – come l’afflizione del vostro cuore si muterà in gioia e gaudio quando i milioni, coi quali indorate oggi la vostra esistenza, vi serviranno per partecipare ai fratelli asserviti i beni di cui essi oggi han solo sentito parlare.
Per la vostra stessa salvezza, e date la metà della vostra ricchezza per il bene dei poveri, affinché la paurosa domanda di Dio non guasti più la vostra gioia: perché calpestate il mio popolo? – e tu, società cristiana inizia ad arare dal nuovo, getta via da te i vecchi ripensamenti, svegliati dalle tue vecchie, indolenti abitudini, riconosci quel che il braccio del Dio vivente oggi opera, credi, spera, ama! Amen.
 

ESSI DEVONO

UNA PAROLA CHIARA ALLA SOCIETA’ CRISTIANA

DI Hermann Kutter

 

Come dobbiamo , dunque, intendere il fatto che la cristianità si oppone alla socialdemocrazia rimproverandola di ateismo? I socialdemocratici hanno fame e sete , anche loro, di situazioni giuste e dovrebbero essere atei! Essi lottano per la misericordia e non dovrebbe ottenere misericordia? Essi odiano ciò che è volgare, sporco, vizioso – e non dovrebbero chiamarsi anche loro figli di Dio?

Essi vengono disprezzati e perseguitati da ogni parte e Dio li dovrebbe cacciare nell’inferno?

Essi non raccolgono tesori per loro stessi come gli altri partiti, essi dichiarano guerra al denaro e non dovrebbero appartenere a Dio, essere suoi servitori?

Essi fanno ciò che Dio ha chiesto dall’inizio tramite i suoi testimoni: essi si occupano solamente dei poveri ed umiliati in maniera energica e dovrebbero essere senza Dio! In realtà non vi è niente che illumina così chiaramente l’ateismo cristiano come il rimprovero che i Cristiani fanno alla socialdemocrazia. La cristianità, salvo rare eccezioni, vegeta per secoli, infingarda e trionfa, senza altra preoccupazione per i poveri che di concedere loro il duro pane della pia elemosina; essa non pensa a ciò cui il Vangelo la incita in ogni pagina, vale a dire: superare male e peccato, cattiverie e oscurità; essa serve a Dio con ogni genere di devozione e sentimento di beatitudine, ma essa dimentica di secolo in secolo che Dio considera un suo vero servizio il superamento del male e l’amore per i piccoli: Esa sogna sogni d’oro sui dogmi e le sue istituzioni – e ora che Dio la sveglia con i tuoni della rivoluzione sociale, la prima parola che si presenta sulle sue labbra addormentate è : Ateismo.

Ateismo era la parola d’ordine che Stoecker dava contro la socialdemocrazia, ateismo la parola che Naumann oppone sempre nuovamente ai socialdemocratici.

Come? Un movimento in cui è impresso tanto profondamente il marchio del Dio vivente, che prende tanto seriamente le esigenze della sua  parola, che si dichiarava oppositore del suo unico nemico, il mammone, viene definito ateo dai portatori della fede cristiana? Non è chiaro che tra Dio e questa fede si è scavato un profondo abisso?

Ci si può apporre al nemico solo con intenzioni e risoluzioni, ideali e convinzioni, nemico che viene superato solo da uno spirito nuovo, solo da fuoco e fiamme, solo dall’azione del Dio vivente? E queste fiamme di fuoco ardono nelle file dei socialdemocratici. Davanti a me c’è la dichiarazione di un liberale sulla socialdemocrazia .  Essa dice: “ Non si capisce, dunque, che questo movimento è ugualmente necessario come le lotte dinastiche medioevali e quelle del pazzo 1848? Non poggia, in gran parte , su questi “compagni” il futuro della nazione tedesca? Si vada nelle officine e si vedano gli occhi splendenti, le sane tempie dietro le quali pulsano forze spirituali non ancora consunte, non ancora guaste che un giorno entreranno in azione per il bene e l’utilità della patria… Noi vediamo solo l’amarezza e l’astio delle masse e non il grande e potente che riposa in esse… Questo è il giovane Sigfrido che si forgerà da se stesso la spada della vittoria. Noi lo vediamo come si sforza ed agita potentemente (Conte Richard du Moulin Eckerd sul giornale Freistatt, stampato in Volkrecht 1903, n. 143).

Questo giovane partito dispone di tanto fuoco, forza e spirito che uomini di tutte le classi cominciano a guardare con nostalgia ai suoi successi. In tutti gli angoli si sente imprecare e maledire contro di esso. I suoi errori vengono presentati a tinte rosso-sangue agli occhi di una società sazia e snervata; essi sono, sulla bocca di coloro che li odiano, in compendio di ogni male; nei saloni dei circoli aristocratici si parla con raccapriccio dei loro orrendi futuri stati – di questo immane castello di una fantasia entusiastica! La stampa borghese non si stanca di sparlare davanti a un grato circolo di lettori. Ma quando si entra al loro interno, che quadro differente! Non vogliamo continuare con la morale, soprattutto non vogliamo dire: qui c’è pura squisitezza e bontà e lì solo ombre e cattiveria. No. Uomini manchevoli ve ne sono dappertutto, in tutti i partiti. Ma dobbiamo ammettere: un così grande, puro entusiasmo per un’alta causa non l’abbiamo incontrato altrove in nessun altro posto. Né presso i conservatori, né presso i liberali. Presso nessun partito religioso. Essi sono tutti uniti nella malattia dell’amicizia del mammone. Solo la socialdemocrazia si oppone a loro come onesto avversario, comunque sia formato il singolo compagno. Essi si preoccupano tutti per le loro cose – la socialdemocrazia per l’umanità. Essi son tutti pieni di impulsi personali, di avarizia e misantropia – la socialdemocrazia ha una grande realtà che la entusiasma. Cos’è questa realtà?

Nel fondo neppure essa lo sa. Si, essa non lo sa. E questo è proprio il suo vantaggio sugli altri partiti. Essi sano molto bene cosa vogliono. Ah! E’ tanto facile comprendere lo stretto cerchio dei loro desideri, Chi vuole l’invisibile, l’indefinito, i cui desideri non sono limitati da barriere, che non può esprimere i propri scopi in sapienti parole – sono quello ha una vera volontà. Dietro una tale volontà c’è il Dio vivente . Sapevano i profeti, agitati dallo spirito di Dio, cosa volevano? Con orrore, un Geremia guarda alla sua sorte che egli vede realizzarsi. Egli preferirebbe morire piuttosto che vivere come deve vivere. Ma egli deve. Ed oggi debbono i socialdemocratici. Essi portano in sé un imperativo grande, irresistibile. Dove conduce, non lo sanno. Lo sa un Altro.

Tu, Chiesa di Cristo, dovresti opporre oppure unire il tuo “devono” a questo “devono”. Se tu non hai alcun imperativo da presentare ai socialdemocratici, hai perduto il diritto di opporti a loro. Ma proprio il fatto che hai attaccato così rabbiosamente le loro teorie “scientifiche”, che tu hai creduto di dover rintuzzare teoria con teoria, postulato con postulato, che tu ti sei fermata nel roveto di domande e domandine sociali, questa prova che tu sei veramente privata di questo diritto. Tu non ha alcun “devono” – non hai Dio. Lo abbiamo già detto una volta e lo ripetiamo qui; le teorie scientifiche della socialdemocrazia non sono affatto importanti. Aveva importanza il modo in cui i primi cristiani immaginavano i nuovi impulsi di cui erano divenuti i portatori! La grande forza che li agitava, dipendeva dalla loro insicura dogmatica, fatta di tentativi? Era la cosa più importante nella riforma il fatto che i loro araldi escogitassero teorie con le quali speravano di rivestire le incomprensibili spinte di pensiero del nuovo tempo? “Non soffia lo spirito dove vuole e tu odi il fruscio, ma non sai donde viene e dove vada?” (Gv 3).

E quanto oggi è passato nell’aria l’eco dei futuri stati, di teoria del plusvalore e simili, si è già detto l’essenziale, il contenuto vero del movimento socialdemocratico?  Il significativo in esso non è piuttosto l’entusiasmo meraviglioso ed irresistibile che è impregnato dalla missione di creare qualcosa di nuovo? I teorici socialdemocratici lo coprono con le loro formule – colui che oggi crede ancora , per esempio , che il plusvalore di Marx costituisce il battito vitale della nova forza spirituale che in essa spira, non sa come progredisce la storia mondiale, non conosce quelle nascoste profondità dalle quali ogni nuovo evento attinge forze motrici. Certo, i socialdemocratici progettano un ordinamento sociale completamento nuovo, ma considerano unilateralmente solo i fattori economici; ma non questo stesso ordinamento pensato in un modo e nell’altro, bensì proprio la convinzione della netezza – l’elemento grandioso, divinamente suscitato nella loro attività.

Essi portano una meravigliosa speranza nel cuore, essi parlano e cantano di un affratellamento di tutti gli uomini, di un’epoca d’oro della libertà e dell’eguaglianza. Li si deride – lo sopportano. Li si schiaffeggia – restano immobili. Li si schernisce – non si aspettano altro. Essi sanno che il mondo presente non ha posto per loro; perciò preparano il posto ai posteri. Essi hanno scoperto che il Dio di questo mondo, in mammone deve cadere. Essi non si alleano con lui, non dicono molte, vane parole, essi non parlano enigmaticamente e non sofisticano, no essi sono decisi, rida pure tutto il mondo, essi lo dicono chiaramente: il mammone è il nemico mortale dell’uomo. Ma esso non può cadere con le sole buone intenzioni, egli cade solo con l’azione. E quando egli cadrà, allora vi saranno nuove situazioni, non solo nuovi cuori. Questo è il loro grande dovere che li ripaga di tutti gli insulti che una società sempre più impaurita, sempre più accecata accumula su di loro.

Non debbono dire che debbono finire le differenze tra gli uomini? Non provengono queste dalla signoria del mammone?

Non debbano esigere che l’umanità formi una grande unità, se è il mammone che l’ha suddivisa in mille parti?

Non debbono pretendere che le barriere nazionali vengano meno, dato che è una verità ammessa che è la ricchezza, il mammone che costituisce la forza della nazione?

Non debbono predire una nuova epoca, quando quelle durate finora, sono state creazioni del mammone?

E non debbono essere derisi e disprezzati come entusiasti fantastici, fanatici quando questo disprezzo non è altro che il rispetto che una generazione marcia porta al mammone?

E non debbono essi postulare solo “impossibilità”, fin quanto le “possibilità” ed “attuabilità” significano inchinarsi davanti all’immagine del mammone?

Le loro richieste vengono definite non pratiche, imponderate, impossibili. Perché? – perché non si vuole offendere il mammone.

Li chiamiamo stolti e pazzi – bene : anche il divino è stato chiamato stolto e pazzo da sempre nel mondo. Non si potrebbe riserbare loro titolo onorifico più bello di quello che porta la divina verità. Dio regna in essi e proprio nel nome di Dio essi combattono la Chiesa.

Se il mammone deve cadere, allora deve anche cadere l’attuale proprietà privata. Questo ha scoperto la socialdemocrazia, essa ha riconosciuto il nemico. Essa sola gli si oppone . Essa dice: parole e pii desideri non possono aiutarci. Dobbiamo agire. Qui sta il motivo nascosto del suo ateismo. Essa vede la fede in Dio indietreggiare per paura davanti al mammone: Perciò considera ogni religione come superstizione. E questa è una grande colpa. La Chiesa stessa si è sottomessa al mammone.

Perciò essa parla tanto. Poiché dove vi sono molte parole e nessuna voglia di agire, li sta in agguato il mammone.

Perciò essa mette in mostra così precipitosamente la sua fede in Dio. Essa nasconde così i lacci che il mammone le cince intorno. Perciò essa ha solo propositi buoni, “pratici” nei rigardi della questione sociale; perciò essa parla delle molte “possibilità”, al contrario delle “impossibilità della socialdemocrazia. Le “possibilità” appartengono al campo del mammone, solo l’”impossibile” gli si oppone. Poiché esso è il signore del mondo. Ah. La chiesa non ha più “impossibilità”!

Le molte parole che essa dice sono una prova che essa non vuole, che non può.

C’era un tempo quando era una pazzia appartenere alla Chiesa. Allora ardeva in essa dall’alto spirito e vita. Allora essa faceva strada ad un nuovo mondo con le forze della “impossibile follia”. Questo tempo è passato. La chiesa è diventata ragionevole, amante della cultura , pratica e maneggiabile. Ma essa rimprovera di ateismo la socialdemocrazia – per tacciare il rimorso della sua coscienza. La disposizione a veder ateismo dappertutto, dove vien sola negata la confessione di Dio, a stigmatizzare col marchio “ateismo” un movimento i cui radicali postulanti tradiscono una forza veramente divina – è essa stessa ateismo. La socialdemocrazia può riconoscere un Dio nel cui nome vengono curati gli affari del mammone? Si sono mutati i ruoli. Gli arditi e i potenti son divenuti stanchi e gli stanchi, poveri e miseri son divenuti arditi e potenti. Quel che dovrebbe far la Chiesa lo fanno i socialdemocratici. Dio si tiene lontano dal lugo dove dovrebbe abitare ed abita dove non lo si riconosce. Come allora quando i primi pagani entrarono nel suo regno, così oggi vale:

“io sono stato trovato da coloro che non mi hanno cercato; ed ai pagani che non invocarono il mio nome io dico: Io sono qui” (Is. 64,1)

“Ma ad Israele dice: “I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi”.

Piena di questo spirito unilaterale, superbo, anche la chiesa protestante vuole oggi combattere la socialdemocrazia. Quando essa, dopo un lungo sonno, rifletté finalmente sulla sua posizione nei riguardi del nuovo movimento, allora essa si circondò dell’ornamento dei suoi insegnamenti e delle sue opinioni , combatté con l’insegna della fede protestante, con la spada dello spirito protestante. Essa scrisse, disputò , oppose principio a principio, trasse conseguenze, contraddisse e predisse  – ma non pensò che questo suo stesso spirito testimoniava contro di essa, che in tutti i suoi sottili insegnamenti si specchiavano chiaramente i suoi peccati di omissione nel campo che Dio aveva sottomesso espressamente e solamente agli uomini – quello materiale. Quando i suoi teologi ed oratori parlarono davanti alle moltitudini con opinioni prontamente desunte dal Vangelo – donde trassero il diritto di queste opinioni? Quando Stoecker dal suo punto di vista conservatore e Naumann dal suo nazionalsociale combatterono la socialdemocrazia, donde derivano la noncuranza del fatto che vengono isolati “punti di vista” e simili come fili di paglia dai fluttui di un movimento che tende alla realtà con tutto l’ardore della sua anima passionale?

Donde sapeva Stoecker che il legame tra Vangelo e patria, parola di Dio e fedeltà al re ecc… che egli sapeva illustrare così eloquentemente, era l’originale parola di Dio; per quali motivi Naumann poneva la questione sociale al centro del suo cristianesimo? Un tale vangelo non era lo spirito proprio dei signori? Tutto il movimento cristiano-sociale con le sue mezze domande e mezze risposte non esprimeva chiaramente che con il solo spirito non si era neppure pensato fino in fondo l’importanza fondamentale delle questioni materiali? Perché tanti tentativi di soluzione, propositi, opinioni, differenze , partiti, tanto cristianesimo e tante istituzioni di fede? Perché si voleva sottoporre la questione sociale allo spirito tramandato , invece di sottomettere questo al compito tassativo che Dio da sempre ha affidato all’uomo. Se la Chiesa cristiana vuol aumentare l’influsso sul movimento sociale, deve riconoscere che un giusto ordinamento dei rapporti di produzione materiali appartiene ai compiti più urgenti, certamente non meno della stessa obbedienza al Creatore.

La socialdemocrazia non può andare avanti solo con pensieri – fossero pure molto cristiani, ma con fatti. Il nostro spirito deve prima perdere il suo sterile isolamento e lasciarsi nuovamente nutrire dai reali contenuti vitali di Dio e dobbiamo imparare ad attingere dalla stessa fonte, non da qualsiasi stagno e pozzanghera prima di poterci attendere che gli uomini ci seguano. Il Dio vivente deve nuovamente divenire la nostra unica realtà, solo allora ci riuscirà di comprendere e superare la realtà della materia. Il reale vien solo compreso dal reale. Poiché abbiamo perso la realtà del Dio vivente, non comprendiamo più le questioni materiali e vaghiamo in giro con una intellettualità e spiritualità i cui magri dogmi rimbalzano sui duri spigoli della realtà materiale. Tutta la storia della chiesa prova ampiamente che la nostra spiritualità è importante a diminuire di qualche po’ la realtà della vita terrena. Sempre nuovamente, anche gli spiriti più sottili ed elevati cercano nei rapporti materiali che li circondano i raggi aurei della vita, per quanti essi cerchino di nascondere questa “fatale” verità a se stessi e ai loro contemporanei dietro una quantità di discorsi ideali.

Attualmente non è la chiesa con tutti i suoi prodotti spirituali, religiosi, morali, ma lo stato, non qualsiasi altro vecchio partito, che promuovono il progresso, ma la socialdemocrazia poiché essa ha compreso che i rapporti materiali sono il vero campo di lavoro spirituale, umano. Essa dichiara guerra alle pure idee, astrazioni e sistemi di fede. Essa comprende nuovamente in tutta la sua portata la parola di Dio: riempite la terra e sottomettetela a voi. Essa pensa ed agisce realmente. Perciò è così forte. La realtà del Dio vivente sta dietro di essa.

C’è una grande verità nel motto socialdemocratico che i rapporti materiali degli uomini interessati si rispecchiano nelle loro idee e nei loro pensieri, che quindi queste idee non sono altro che l’indice costante della situazione alta oppure bassa dello stato materiale. La socialdemocrazia l’ha, naturalmente, grandemente discreditata con l’accentuazione unilaterale ed esagerata, che essa ha favorito, di questa proposizione. Nel senso in cui essa la intende, non può essere vera. E’ una com’ne stupidaggine affermare che ogni diritto, ogni morale, ogni filosofia, in breve tutto ed ogni lavoro mentale sia solo prodotto di rapporti economici. La socialdemocrazia dimentica sempre nuovamente – e questo è il suo errore fatale che ha condannato finora le sue attuazioni a così grande e immeritato disprezzo – che l’uomo stesso appartiene anche a quella realtà che essa fa valere, che egli non solamente la somma di nutrimento, aria, casa, vestiti, a cui lo riduce il materialismo teorico di un Buecher e Moleschott, che quindi nelle sue idee si annunzia un movimento indipendente che viene certamente favorito, ma non può essere generato dai rapporti materiali.

E’ certamente giusto che nelle idee costanti di un’epoca si rispecchiano i rapporti economici. Ma questo vuol solo dire che l’uomo stesso si trova in strettissimo rapporto con la materia, che non si può sottrarre impunemente ai suoi doveri, che il movimento del suo spirito corrisponde a quello dei suoi rapporti economici – non che questo movimento sia solo l’ombra senza volontà e senza anima dei mutamenti sociali. L’uomo deve percorrere un cammino spirituale autonomo che nella sua intima essenza è tato diverso dagli sviluppi materiali quanto lo spirito si differenzia dalla materia. Al contrario la socialdemocrazia ha compreso perfettamente che finora la vita spirituale della storia umana è un’apparizione irrazionale; ed anche la sua ulteriore affermazione secondo cui questa irrazionalità proviene dal falso rapporto in cui si trova lo spirito alla materia, è indiscutibile. La prosecuzione della vita spirituale umana non è altro che il tentativo dell’uomo, sempre ripetuto, di impossessarsi della materia, questo elemento di vita immediata che Dio gli ha dato. Perciò tutti i pensieri e le filosofie, ogni morale e religione con le quali si realizza il suo rispettivo livello di sviluppo, sono in stretto rapporto con la sua situazione economica. In qualche modo si esprime sempre nuovamente lo spirito sta alla materia e l’intenzione di eliminare questa incompiutezza. Non appena quel rapporto sarà un rapporto perfetto, permanente terminerà pure la falsa autonomia della vita spirituale umana con le sue idee, teorie, sistemi di fede, ecc… In questa convinzione sta la forza motrice del materialismo socialdemocratico.

Lo spirito di Dio regna nella materia. Solo lo spirito del cristianesimo si edifica affianco ad esso un proprio regno. Perciò nello spirito di Dio son presenti le forze di un nuovo mondo, sono decisi i mutamenti, i progressi, le rivoluzioni dalle quali dipende la vita degli uomini; mentre nello spirito del Cristianesimo sono presenti, in uno stato chiuso, la quiete, il regresso, la reazione, le tenebre.

Lo spirito è la realtà più grandiosa che esiste. Ma lo spirito è lo scultore della materia. Spirito astratto  non è spirito, ma corruzione dello spirito. Se il nostro cristianesimo vuole nuovamente rivestirsi di spirito e vita, deve nuovamente rivolgersi alla materia.

George Wuensch

Nato il 29 giugno 1887 a Lechhausen; studio della teologia a Erlangen e Berlino. Con Karl Koll e J. Kaftan e ad Heildelberg conJ. Weiss, Windelband, Niebergall ed Ernst Troelsch; parroco in Offengurg; 1914 servizio militare; 1916 ferimento e parroco a Messkirch; nel 1918 insieme a H. Dietrich e E. Dietz fondazione della chiesa popolare di Baden; 1919; licenziato con Jordan ad Erlangen; nel 1922 abilitazione in Marburg; nel 1923 redattore del Mondo cristiano; 1929/1933 redattore della rivista per religione e socialismo; 1931 professore di teologia sistematica e etica sociale; tentativo di un “metodo indiretto di influenza con un attivo mantenimento delle distanze”; 1945 assoluzione nel processo del tribunale politico; 1955 emerito presidente dell’associazione del cristianesimo libero; morto il 22 novembre 1964.

 

MORALITA’ CRISTIANA ED ECONOMIA SOCIALISTA

1.

La peculiarità e il diritto del nostro movimento consistono nel fatto che noi siamo allo stesso tempo cristiani e socialisti e riconosciamo così i due più potenti movimenti spirituali del presente nei quali si riconoscono milioni di persone; cristianesimo e socialismo. Ma non solo questo, noi siamo convinti che essi formano un tutt’uno e devono essere amalgamati in una unità se la società del futuro non vuole essere lacerata senza la possibilità di salvezza, se non vuole andare in frantumi e sfasciarsi.

Al servizio dell’unità del futuro sociale ci riconosciamo nella chiesa come movimenti di protesta contro le visuali imperanti, socialmente e economicament5e conservatrici, contro l’unione arbitraria del cristianesimo con il feudalesimo patriarcale e capitalismo liberale. Se questa unione. Se questa unione arbitraria viene sempre più rinnegata dalle istanze ufficiali, tuttavia essa è inufficialmente una realtà e si rivela praticamente in tutti gli angoli e le estremità della vita quotidiana. Bisogna finalmente liberarsi dell’illusione che si possa agire all’interno della chiesa “solo religiosamente” , vale a dire senza professare una determinata visione sociale. In realtà non viviamo in uno spazio anaerobico; anche l’annuncio del vangelo può avvenire solamente nella decisione per un modello sociale. Oggi la società patriarcale oppure il liberismo borghese vengono da molte parti accettati come moralmente naturali nei circoli ecclesiastici.

Così pure nel socialismo noi siamo un movimento di protesta contro la concezione che solo il libero pensatore materialista sia un vero socialista. Anche questa concezione è conservatrice, poichè il materialismo naturalista è stato superato dalle ultime scoperte scientifiche degli ultimi 10 anni. Oggi , per es. , non si può più parlare così ingenuamente del significato ideologico delle leggi naturali, quando la scienza naturale non si ritiene in grado di affrontare anche una sola legge naturale generalmente valida. Anche qui le istanze ufficiali dei partiti politici sottolineano che il socialismo è neutrale in questioni di ideologie, ma inufficialmente la stampa di partito e i burocrati dei sindacati lasciano sempre nuovamente scorgere la nostra simpatia per il materialismo ideologico e la loro avversione contro la fede cristiana. Da tutte e due le parti combattiamo la nostra battaglia su duplice fronte e non possiamo far di meglio che richiamarci sempre nuovamente con severità scientifica alla connessione fra cristianesimo e socialismo. In questo contesto ci riferiamo solo ad una parte del tutto: la moralità cristiana e l’economia socialista; poichè cristianesimo non è solo moralità e socialismo non è solo organizzazione economica.

Così il cristianesimo viene considerato qui solo come esigenza etica e l’economia sociale diviene allora una necessità che segue dall’esigenza cristiano-morale nel momento storico dato. Se noi – come detto – siamo socialisti pur essendo cristiani, allora per noi una necessità che segue dall’esigenza etica e l’economia socialista diviene allora non è una mostruosità capricciosa se ci rifacciamo alla storia cristiana e al socialismo estero. Proprio il cristianesimo serio e radicale mostrò una predilezione particolare per il socialismo.

(Ci fermiamo qui ma il testo e molto lungo e l’autore è considerato minore rispetto ai giganti come Ragaz o Fuchs)

 

(segui Paul Tillich nella pagina “la Fede dei socialisti religiosi ” su http://www.quaccheri.it e Ragaz nella pagina a lui dedicata su questo sito)